Letteratura

John le Carré, gigante letterario guidato dall'etica

Il maestro dei romanzi di spionaggio, morto sabato scorso all'età di 89 anni, raccontato con Fabrizio Quadranti, organizzatore di ‘Tutti i colori del giallo’

John Le Carré, 1931-2020 (Keystone)
14 dicembre 2020
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“È con grande tristezza che devo annunciare che David Cornwell, noto al mondo come John le Carrè, è morto sabato 12 dicembre 2020 dopo una breve malattia, non legata al Covid-19”. L’annuncio della dipartita del maestro britannico dei romanzi di spionaggio viene dal suo agente Jonny Geller. L’89enne scrittore ha concluso i suoi giorni terreni, umani e letterari, in Cornovaglia. “I nostri pensieri vanno ai suoi quattro figli, alle loro famiglie e alla sua cara moglie Jane”, scrive Geller. le Carré, simbolicamente, lascia anche il figlioccio George Smiley, l’ufficiale dirigente dei servizi segreti inglesi (MI6) uscito dalla sua fervida immaginazione per la prima volta in ‘Chiamata per il morto’, romanzo d'esordio pubblicato nel 1961, quando lo scrittore nato a Poole, nel Dorset, ancora si trovava al servizio di Sua Maestà, nell’MI6.

Proprio le dinamiche dei servizi segreti britannici sono stati fonte preziosa per i plot e i dettagli dell’intera opera di le Carré, realistica più di altro spionaggio in forma di fiction. Smiley è il Bond ripulito degli orpelli e delle ridondanze concesse da Fleming alla spettacolarità, è l’anti-Bond per eccellenza quanto a caratteristiche fisiche, non per acutezza; è il personaggio che nel 1966 avrà i tratti somatici di James Mason (‘Chiamata per il morto’), nel 1982 quelli di Alec Guinness (‘Tutti gli uomini di Smiley’) e nel 2011 quelli di Gary Oldman, candidato all’Oscar 2012 per ‘La talpa’, film basato sull’omonimo romanzo del 1974. «Gran bel film, sì, ma si partiva da un grande canovaccio, e da una grande storia», commenta Fabrizio Quadranti, organizzatore di ‘Tutti i colori del giallo’, rassegna ticinese dedicata alla cultura noir. «Tra i suoi personaggi, Smiley in particolare è proprio l’opposto di 007. È un agente trattato male dalla moglie fedifraga, trattato male dai superiori, vestito male, eppure valido e lucido». Lucido come lucida era anche la visione del mondo del suo autore: «le Carré era patriottico ma non nazionalista. Non era un sovranista o un imperialista, e tanto meno un razzista. Era un nazionalista puro, non per niente contrario alla Brexit. E negli ultimi romanzi non l’ha mandato a dire».

In piazza

Nel 2019, in ‘La spia corre sul campo’, John le Carré si era immaginato un accordo tra i servizi segreti di Londra e Trump per mettere in discussione le istituzioni democratiche europee e far saltare il sistema internazionale dei dazi. In quell'ultimo romanzo, lo scrittore sembrò aver messo in bocca a uno dei personaggi parole sue: “È mia convinta opinione che (…) l'uscita del Regno Unito dalla Ue al tempo di Trump e la conseguente dipendenza senza riserve sugli Stati Uniti in un'era in cui gli Usa hanno imboccato la strada del razzismo istituzionale e del neo-fascismo è un disastro senza precedenti”. Già 89enne, nell'ottobre del 2019 lo scrittore scese addirittura in piazza per manifestare contro la Brexit: «Non è così frequente – sottolinea Quadranti – che uno scrittore, invecchiando, si conservi così combattivo. È piena la storia di autori che nascono incendiari e muoiono pompieri. Non era il suo caso. Questo aspetto profondamente umano è ciò che, oltre al resto, colpisce di lui. È l’umanità contenuta nei suoi libri, che non sono le storie di spionaggio che ci presentano il buono, il cattivo e il colpo di scena. le Carré era concentrato sulle persone. Oserei dire che fosse sempre guidato dall'etica, una profondità etica insita in lui». Sintetizzato nei pochi caratteri di Twitter, anche il re del brivido Stephen King omaggia, oltre al “gigante letterario”, anche il suo “spirito umanitario”.

'Il modo per salutare uno scrittore che scompare è leggerlo'

C’è anche un po’ di Svizzera nella storia di John le Carré: «È importante il fatto che abbia studiato da noi (nel 1948 si iscrisse all’Università di Berna, ndr) e che si sia appassionato alla cultura tedesca proprio tramite gli studi effettuati in terra elvetica», dice Quadranti, che di le Carré ha letto le prime righe «di rimbalzo, per caso. Per me lo spionaggio era James Bond, era Fleming, perché mi ci avevano portato i film, l’Aston Martin, gli intrighi. le Carré l’ho scoperto più tardi, capendo che in quel genere esisteva anche altro». Per la capacità di rendere le storie credibili – «Da agente segreto qual’era stato in passato sapeva perfettamente di cosa parlava e di cosa scriveva» – e per la qualità di scrittura, «oggi, nel suo caso – continua Quadranti – non avrei alcun problema a parlare di letteratura».

Nemmeno si è fatta problemi la stampa inglese, a parlare di letteratura. C’è addirittura chi rimpiange un Nobel mai dato. Quadranti: «Nel momento del trapasso le definizioni si sprecano. Dal mio punto di vista, e senza alcun intento nazionalistico, se un Nobel è mancato a qualcuno, allora è mancato a Dürremmat, se si parla di noir e di gialli, o a Simenon, scrittori per i quali, d’altra parte, il riconoscimento della grandezza ha necessitato di tempi molti lunghi. Chissà che non succeda anche con le Carré, che in tanti non conoscono. E il modo per conoscere, e salutare, uno scrittore che scompare è leggerlo». E per conoscerlo si può partire «dai romanzi ambientati durante la Guerra Fredda, con il muro di Berlino alle spalle. Il Muro è qualcosa che ha segnato la nostra storia». Inserendo nella sua personale ‘Guida alla lettura’ anche ‘Il sarto di Panama’, Quadranti ricorda che «tra le qualità di le Carré c’è anche quella di non essersi fatto rovinare dal successo dell'immensa quantità di libri venduti». Sin dai tempi de ‘La spia che venne dal freddo’, 1963, venti milioni di copie e fama planetaria per la storia dell’agente britannico trasferito nella Germania dell’Est: «Ecco, come non si può stimare qualcuno che raggiunge il successo mondiale a 37 anni e rimane fedele a sé stesso?».

 

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