Culture

Masi, l'arte c'è e si vede (anche da fuori)

Le parole di Nora Turato in mostra dalla finestra del primo piano. Dentro, la società del consumo messa alla berlina da Beni Bischof. Da oggi a gennaio.

Nora Turato, da oggi al 24 gennaio 2021; a destra, Beni Bischof, da oggi al 10 gennaio 2021
5 dicembre 2020
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Gente con la mascherina che si parla nel totale azzeramento del labiale; trionfo della gestualità, movimenti sincroni per distanze da rispettare, stabilite da un regista esterno. Una performance. Perché così ci sentiamo a muoverci dentro le stanze di un museo, elementi mobili di un più grande drammatico spettacolare progetto collettivo, parte comunque secondaria che ha il solo compito di riferire dell'arte che asseconda il tempo invece che farsi assecondare. Per usare parole d'artista (che seguono a breve).

Si aprono entrambe oggi, al Museo d'arte della Svizzera italiana (o Masi di Lugano) un'installazione e un'esposizione, una per artista, a tener viva la vita di un centro culturale svuotato di pubblico ma non di contenuti e significati. Interni o esterni che siano. Entrando più nello specifico...

‘that’s the only way i can come by nora turato’

La chiama ‘Pool’, piscina. È l’archivio o l’inventario di parole di Nora Turato, artista performativa che ha come strumento della propria creatività il linguaggio. Nota per le sue performance parlate immersive che nascono dalla rielaborazione di cliché linguistici, slogan, frammenti del parlato quotidiano, letteratura e pubblicità, testi cinematografici e post da social – il tutto dentro un affascinante frullatore – partendo proprio da questo inventario la giovane artista croata di stanza ad Amsterdam ha concepito una installazione di citazioni che occuperanno da oggi e fino al 24 gennaio 2021 la grande finestra panoramica del primo piano del Masi. Parole diffuse tramite maxischermo a essa applicato. Altro Turato-linguaggio è sotto forma di manifesti affissi per tutta Lugano. «Sì, le frasi che scorrono vengono dal pool – spiega Turato – e questa volta ho cercato di espanderlo, estendendolo alla lingua italiana». Il cognome, le sue origini fiumane, aiutano.

L’installazione prende il nome di ‘that’s the only way i can come by nora turato’, e cioè 'il solo modo' di vedere l’opera è dall’esterno, per comunicare con i visitatori adattandosi alle restrizioni imposte dall'emergenza sanitaria. «Se si guarda alle crisi nella storia – commenta l'artista – da situazioni come queste emergono tanto slanci ancor più conservatori quanto nuovi movimenti. Ero un po’ infastidita dall’immobilismo generale, dal far finta che tutto fosse normale, che si aspettasse, e invece ho pensato che si dovesse assecondare il tempo e non dipendere da esso. E poi ho visto questa finestra…». Fermo restando che «non ho certo reinventato la ruota, non è la prima volta degli schermi in un museo», questo progetto è «una lezione, anche solo per me, per reagire anziché prendersela, o subire». Il pool come ponte verso ogni altro tipo di opera realizzata: «Leggo tanto, parlo tanto, registro molto. Il mio potrebbe avvicinarsi al giornalismo turistico, salvo che i miei appunti non finiscono in un articolo, ma restano accumulati».

Nel 2019, Nora Turato si diceva che il 2020 sarebbe stato il grande anno. Ma il MoMa di New York, per esempio, potrà ospitarla soltanto l’anno prossimo. Eppure, l'artista si sente fortunata: «Per quanto in modo ‘perverso’ si possa trovare qualcosa di fortunato in questa tragedia, la mia fortuna è il senso di sollievo datomi da questo gap, una pausa mai provata prima e che mi ha dato tempo per riflettere».

‘Intensity Intensifies’

Le sue geniali e disturbanti mostruosità visive create manipolando le immagini (donne con bocche al posto degli occhi turbano, ma anche un panorama tropicale dozzinalmente idilliaco con una bruciatura al posto del sole) al Masi non ci sono. Perché non c'è il misto di commedia e orrore di ‘Try Out Something Today’. Però dentro ‘Intensity Intensifies’, esposizione dedicata allo svizzero Beni Bischof aperta fino al 10 gennaio 2021, quella stessa provocazione applicata al flusso d’immagini della nostra quotidianità sbattuti in faccia insieme ai relativi significati, palesi o sottesi, non manca. Ha solo altre forme.

Simboli, statement con immagini o in solitaria, o scritti a mano sui muri del museo. O in video. È il caso della prima installazione concepita da Bischof appositamente per Lugano e che dà il nome alla mostra, lo scorrere di gif dell’iconografia di massa, qui dai ritmi sostenibili. Poco più in là, nella seconda chiamata ‘Disturb Reality’, gif a ritmi ossessivi dove il paradosso umano è, per esempio, un compassato swing che fa da colonna sonora a un’auto in fiamme a margine di una protesta di piazza, o le risate confezionate del comedy show a sottolineare alcuni must di noi società del consumo come gli orologi e le auto di lusso, o la consolle di un d.j. (quella che fa tutto lei).

«Sono grandi immagini raccolte da internet, unite a musica e rumore, l'insieme in cui porto a termine un contrasto», spiega Bischof tra uno statement ancora da completare e l’altro. È il contrasto, il «paradosso» che l’artista riassume come «essere seduto sul divano di casa a mangiare un piatto di spaghetti mentre sui social o in tv passano immagini di guerra e tutto il resto. È questo tipo di contrasto che cerco nella mia quotidianità. Amo l’umorismo e l’assurdità. È anche un modo per esternare la mia rabbia». Non c’è coronavirus alle pareti e nemmeno nei video. Quello è in mostra sulle pagine social. «In primavera, durante il lockdown – prosegue l'artista – sono stato solo a lungo nel mio studio e, almeno all’inizio, senza alcuna ispirazione. Ciò che ho fatto con più coinvolgimento è stato seguire i notiziari, assistendo a come l'ambito culturale sia rimasto totalmente ignorato perché inghiottito da numeri e statistiche».

Le due installazioni video paiono un viaggio nella superficie e nella superficialità, dalla quale Bischof è attratto: «Quindici anni fa sono stato un graphic designer. Non posso dire di conoscere esattamente la superficie nella sua totalità, ma potrei dire di sapere come manipolarla, avendo avuto a che fare con la pubblicità. So anche leggere le immagini dal punto di vista della materia, della composizione, del colore, del tipo di fotografia». Un punto avanti per salvarsi dall’inganno mediatico imperante.


Tra i protagonisti di ‘Disturb Reality’

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