Culture

Le libertà di Emilio Bossi a cent’anni dalla sua morte

Laicità, attenzione alle minoranze: il liberalismo di Milesbo al centro del libro di Edy Bernasconi sul politico e giornalista ticinese

Monumento a Emilio Bossi (Ti-Press)
21 novembre 2020
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1870 e 1920: sono gli anni di nascita e di morte di Emilio Bossi, gli estremi di una vita dedicata alla cosa pubblica, a ‘Libertà e laicità‘ come riassume il titolo del volume scritto da Edy Bernasconi, con disegni di Ivo Soldini e prefazione dello storico Orazio Martinetti, e pubblicato da Fontana edizioni in collaborazione con l’Associazione ticinese di cremazione che oggi gli dedicherà il Crematorio di Lugano. Le due date sono importanti, non solo perché ricordano il doppio anniversario – centocinquant’anni dalla nascita e cento dalla morte – che fa da occasione per il volume, ma perché sono il contesto nel quale si mosse Emilio Bossi, o Milesbo come era solito firmarsi nei suoi interventi di fine polemista. Parliamo dello sviluppo del Ticino moderno, della feroce contrapposizione tra conservatori e liberali che portò, nel 1890, a un colpo di Stato da parte dei liberali; dello sviluppo del movimento operaio, del dibattito sulla neutralità e l’identità nazionale con la Grande Guerra. È anche il periodo dell’introduzione della cremazione in Ticino, alla quale è dedicata un’appendice.

Edy Bernasconi dedica quasi un terzo del libro a ripercorrere quegli anni, a ricordare il contesto sociale e politico: non per fare una lezioncina di storia, ma per dare un senso all’opera e alle idee di Emilio Bossi, evitando così letture “astoriche” del suo anticlericalismo o della sua difesa della “italianità” del Ticino. Un’interpretazione storica che guarda anche al presente: alle date del 1870 e del 1920 dobbiamo infatti aggiungere quella del 2020, perché quello di Edy Bernasconi è un lavoro che potremmo definire militante, con un invito a riflettere sull’attualità di certe battaglie.

Edy Bernasconi, perché è così importante il contesto storico per comprendere l’anticlericalismo di Milesbo?

Perché cambia il paradigma del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa: durante l’Ottocento più che la separazione tra Chiesa e Stato, il problema era sottoporre la Chiesa al controllo dello Stato. Questo, pensando in particolare alla situazione ticinese, per due motivi. Il primo è che non esisteva la diocesi di Lugano, per cui il Ticino erano territorio di diocesi “straniere”. Ma soprattutto queste diocesi disponevano di grossi beni: il principio dell’imposizione diretta su reddito e sostanza arriva solo verso la fine dell’Ottocento e il Cantone, nato nel 1803, aveva bisogno di molti fondi per la scuola, per le vie di collegamento. L’idea dominante, anche tra i liberali, è controllare la Chiesa, fare in modo che le diocesi contribuiscano con i loro averi allo sviluppo del Paese.

Cosa capita con Milesbo?

Con personaggi come Emilio Bossi e Romeo Manzoni si fa largo un’idea più francese di laicità: la separazione tra Stato e Chiesa, garantendo alla Chiesa la sua piena libertà ma senza nessun diritto su leggi e regolamenti, prerogative presenti invece nella legge civile-ecclesiastica del 1886 voluta dai conservatori.

E attenzione: negli scritti di Milesbo io non ho mai trovato la parola “ateo”. È evidente che le sue ricerche l’hanno portato a essere, se non ateo, quantomeno agnostico, ma ha sempre separato il discorso filosofico da quello politico.

Il suo saggio ‘Gesù Cristo non è mai esistito’ va certamente in quella direzione, atea o agnostica.

Sì, ma è l’opera innanzitutto di una persona convinta che la religione sia una produzione
 
culturale umana e non divina e come tale la studia. Il Bossi filosofo e intellettuale è un positivista, vicino a Herbert Spencer, a Ernest Renan e convinto che la scienza fosse l’unica via per la ricerca della verità.

Ma il Bossi politico è per la libertà religiosa: intervenne addirittura a favore del diritto dei gesuiti a professare in Svizzera, cosa assolutamente non banale per un liberale visto il loro ruolo della guerra del Sonderbund. I gesuiti, per Bossi, sono reazionari e pericolosi, ma la proibizione viola i loro diritti. La libertà può essere tale solo se lo Stato non ha religione: e all’epoca in Ticino la religione cattolica era religione di stato. Libertà e laicità non intesa come lotta alla religione: lui non ha in mente uno Stato ateo, ma uno Stato neutro in materia religiosa.

Lo Stato come arbitro dei conflitti.

E non solo religiosi ma anche sociali: per il liberale Bossi lo Stato non dovrebbe parteggiare né per il mondo del capitale e dell’economia né per il mondo del lavoro ma mettere entrambi i fronti sullo stesso piano.

 Un liberale anomalo, per gli standard moderni.

Certo. Arriva addirittura a dire il liberalismo ha fatto il proprio tempo: non per i rapporti tra Chiesa e Stato – su quel tema i radicali hanno praticamente perso tutte le battaglie –, ma su temi quali il diritto di voto universale e lo Stato di diritto il liberalismo ha esaurito il suo compito. Dovrebbe quindi rinnovarsi perché la sfida è passare da una democrazia formale a una democrazia con maggiori contenuti, il che significa riconoscere maggiore spazio, maggiori diritti ai ceti subalterni e ai lavoratori.

Un avvicinamento al socialismo.

Nel 1900 Bossi partecipò alla fondazione del Partito socialista ticinese. Ma ci sarà una rottura con il movimento operaio e i socialisti anche a causa dell’interventismo di Bossi durante la Prima guerra mondiale, ma magari ci torniamo più avanti. Bossi spinge per un rinnovamento del pensiero liberale in una direzione più sociale: si batte per una riforma delle leggi sul lavoro, per il principio di proporzionalità delle imposte.

Rimaneva comunque un liberale.

Non ha mai contestato il principio della proprietà privata: più che un socialista era un fabiano inglese. Sembra che conoscesse bene Marx ma non pensava che la storia potesse essere spiegata solo come storia delle lotte di classe. Il liberalismo deve cercare di coniugarsi con le istanze dei più deboli affinché la democrazia liberali diventi effettiva. Critica duramente la Rivoluzione russa, contrario alla dittatura del proletariato perché ad andare al potere non è il popolo, ma dei burocrati che si presentano come rappresentanti del popolo e diventano dittatori – e su questo possiamo dire che la storia gli ha dato ragione. Critica lo sciopero generale del 1918, secondo lui opera di agenti tedeschi.

E l’interventismo?

Questione delicata, perché c’era il rischio di confondere interventismo con irredentismo, ma Bossi non mi sembra proprio avesse simpatie per il movimento che voleva separare il Ticino dal resto della Svizzera. Il suo interventismo si rifà alla tradizione risorgimentale, in difesa dei diritti dell’Italia. E perché Austria e Germania erano viste come potenze reazionarie e oscurantiste.

Queste sue battaglie lo portano a intervenire – dai banchi del parlamento federale, con un’aspra polemica con il consigliere federale Giuseppe Motta – in difesa del Belgio invaso dalla Germania. È interessante ricordarlo perché sviluppa una concezione della neutralità svizzera che direi molto moderna: il fatto di essere neutrali non significa chiudere gli occhi quando una grande potenza sottomette un piccolo Paese. La sua nozione di neutralità come apertura, invece che come chiusura, sarebbe stata molto utile durante la Seconda guerra mondiale.

Guardando a noi: quali idee di Milesbo sono ancora attuali, oggi?

La prima è la nozione di laicità: è vero che ormai viviamo in una società secolarizzata ma dobbiamo guardare ai nuovi scenari come l’Islam violento. Come dobbiamo rispondere a questa minaccia? Ribadendo i valori della laicità, la centralità dell’individuo e la libertà di scelta, oppure con le radici cristiane d’Europa? Dobbiamo rispondere mandando indietro il mondo con un rosario in mano oppure riaffermando con forza i valori dell’Illuminismo? Se non rimettiamo al centro la nozione di laicità, facciamo una battaglia tra greggi perdendo la centralità dell’individuo e della sua libertà.

Per la politica, un’idea importante è certamente l’apertura della Svizzera, la neutralità vista non come chiusura ma come dialogo.

Infine, cosa vuol dire essere liberali quando si parla di economia? Il movimento liberale è sempre stato una grande famiglia, molto differenziato al suo interno, in dialogo tra varie anime. Ma oggi il partito liberale svizzero è diventato essenzialmente la cassa di risonanza dell’economia. Che poi l’economia abbia le sue ragioni, perché non puoi distribuire ricchezza se non la produci, è indubbio. Ma si tratta di porsi appunto anche il problema della distribuzione di questa ricchezza, soprattutto nella nostra realtà globalizzata con la crescente insicurezza di ampie fasce dei cittadini. E dico cittadini, non “gente”, termine che continuano imperterriti a utilizzare anche i candidati alla presidenza del partito liberale ticinese.

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