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'Sei tu, Ticino?': è lui, Andina

Dal romanzo al racconto. Il 17 settembre, con 'La pozza del Felice' ancora nella Top 20 dei bestseller svizzeri, esce il suo nuovo libro

Fabio Andina
5 settembre 2020
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Per dirla coi runner, perché lui runner lo è, «scrivere un romanzo è una maratona, mentre il racconto è uno sprint secco di tre chilometri su una salita di montagna». Sono trascorsi quasi due anni dall’uscita de ‘La pozza del Felice’, la maratona, e Fabio Andina dà alla luce ‘Sei tu, Ticino?’, lo sprint. È una raccolta di racconti il nuovo libro del malcantonese, in uscita – come fu per il Felice – per Rubbettino, il 17 settembre. Il nuovo libro esce nel momento in cui il racconto breve è la forma letteraria della nostra epoca, stando al Guardian che fa i conti col tempo massimo d’attenzione del lettore medio sceso, grazie alla (per colpa della) rivoluzione digitale, a otto secondi. Otto come i protagonisti di ‘Sei tu, Ticino?’, spalmati su sette racconti: ‘Il Seba’ che ascoltava i Dire Straits, l’autostoppista senza una destinazione precisa (‘Autostop’), ‘Il poro Michi’ che te lo raccomando, ‘Il Fede’ “che lo farei vedere da uno bravo”, il Teo e l’Eros dalle parti del Felice (‘Il piz del Teo’), ‘L’Andrea’ che è un bel mistero e ‘Shrek’ che si depila, calati in un Ticino che a tratti è un altrove e raccontati nello stile dell’Andina a noi è tanto caro: poche menate, dritti al sodo.

‘Sei tu, Ticino?’ – in questi giorni ‘dal vivo’ insieme agli altri scritti, con Sandro Schneebeli in un equo scambio tra musica e letteratura – si palesa nei giorni in cui ‘La pozza del Felice’ è nel pieno delle sue ristampe: vincitore di uno ‘Schiller’ e di un Gambrinus ‘Giuseppe Mazzotti’ (dato anche a Terzani e Sepúlveda), il romanzo è nella top 20 dei bestseller di Svizzera da 14 settimane, forte delle finora 16mila copie vendute come ‘Tage mit Felice’, versione per germanofoni edita da Rotpunktverlag. In attesa di quella per francofoni annunciata per la primavera 2021 dalla Edizions Zoé, che ha affidato l’originale ad Anita Rochedy, traduttrice dell’opera omnia di Paolo Cognetti. Editore e autore, inutile dirlo, confidano in un effetto-valanga, cosa che per uno che trascorre gran parte del suo tempo tra le nevi non sarebbe una sorpresa…

Fabio Andina: dove e come è nato ‘Sei tu, Ticino?’

È nato tra Madonna del Piano e Leontica. Alcuni racconti sono nati prima de ‘La pozza del Felice’, alcuni durante, altri dopo. Sono arrivati tra un romanzo e l’altro, quando si è stanchi di stare chinati ore e ore sullo stesso pezzo a rivedere la solite trecento pagine, e si ha voglia di cambiare ritmo. Il racconto è qualcosa di più immediato, concede la piacevolezza di vedere il risultato in meno tempo. Sono nati quasi per gioco: l’editore li ha voluti leggere, sono piaciuti. È stata della Rubbettino l’idea di pubblicarli in questo momento in cui il racconto è un genere che va molto, malgrado qualcuno pensi che stia sempre uno scalino sotto il romanzo e invece ci sono esempi illustri come Flaubert, Rigoni Stern, Hemingway, Poe…

In confidenza: se ‘L’Andrea’ fosse durato altre duecento pagine, le avrei lette tutte…

‘L’Andrea’ era nato dall'idea del serial killer, e sullo slancio pensavo potesse diventare un romanzo. Poi, dopo quaranta pagine, mi sono accorto che stava in piedi da solo così. È il bello dell’iniziare a scrivere senza sapere dove andare, quali temi toccare, lasciandoli affiorare durante la scrittura, fino a mettere il punto in quello che si crede sia il momento esatto. È il mio approccio alla scrittura: non ho una scaletta, non programmo le parti, non seleziono gli attori principali, l’antagonista. Parto dall’aneddoto e da lì mi muovo. Se dopo venti pagine la storia va bene così com’è, mi fermo. Ed è un sollievo scoprire che non c’è nulla da aggiungere. Nella maggior parte dei casi, forzare significa snaturare. Meglio lasciare che sia la storia a portarti per mano.

Chi ha amato ‘La pozza del Felice’ ritroverà qualcosa nel ‘Piz del Teo’…

Sì, è la storia nella quale mi sono immerso più a lungo, forse perché più vicina al Felice, al mio modo di vivere la montagna, forse perché è il racconto più recente ed è quello che sta tracciando la strada stilistica che vorrei seguire in futuro. Ma tutti i racconti mi hanno preso tempo. In alcuni l’implicazione personale è forte, c’è la morte di qualcuno e quel qualcuno l’ho conosciuto davvero, anche se sono sempre attento a che non sia riconoscibile. Se scrivi un romanzo e lo ambienti a Robasacco e il protagonista è un postino, è chiaro che il postino di Robasacco si senta chiamato in causa.

Nel libro si legge soprattutto di uomini, le donne sono sullo sfondo…

Quando scrivo, non parto con uno schema preciso, non decido di parlare di donne o di uomini. È vero, le idee di partenza sono incentrate su figure maschili, le donne rientrano nel discorso ma sono di sottofondo. La madre dell’Andrea, la barista nel ‘Piz del Teo’. In ‘Autostop’ sono anche più d’una. Mi vengono in mente scrittori come Cormac McCarty, per esempio, in cui la figura femminile non è certo al centro della narrazione.

Parlando di aspettative. C’è quella legge per la quale se nulla accade, sei sempre bravissimo. Ma il Felice ha fatto il botto: ora viene il difficile?

Arrivare nel frattempo, o subito dopo un romanzo che sta facendo così bene fa di certo salire le aspettative. Ma è giusto che sia così. Non nascondo che mi attendo di sentirmi dire che il Felice era meglio, o di essere accusato di cavalcare l’onda ‘buttando fuori’ una cosa veloce. Posso dire che Rubbettino l’ha programmato subito, tre anni fa, quando insieme alla bozza del Felice mi chiesero cosa avessi nel cassetto. E scrivendo da venticinque anni, il mio cassetto ha sempre qualcosa di pronto. Cinque di questi racconti furono spediti in quell’occasione. L’idea dell’editore era quella che non sarebbero trascorsi più di due anni tra una pubblicazione e l’altra. Sono comunque pronto a ricevere le bastonate. La risposta la daranno i lettori, e magari gli editori per la versione francese e tedesca.

Parlando di pandemia: quanto ha influito sulla tua scrittura?

Ti rispondo partendo dalla domanda che mi fanno spesso, e cioè da dove traggo la mia ispirazione. Di certo non da quel che succede in quel preciso momento storico. L’ispirazione arriva da aneddoti personali, dai dettagli del mio vissuto. Sono estraneo e non voglio scrivere di quel che sta succedendo, non m’interessa allacciarmi alla società di oggi e farne una dissertazione filosofica o economica. Cerco di creare una storia a sé, che può anche avere un legame con la società come nel caso del Felice, ma che invece, è il caso di questi racconti, è ancor più chiusa in sé stessa.

Come i registi, mentre esce l’ultimo sicuramente sarà già pronto quello nuovo…

In tanti si attendevano il prequel o il sequel del Felice, ma sarebbe stato rischioso. Ci avevo pensato e la Rubbettino mi ha stoppato, risparmiandomi l’essere etichettato per tutta la vita come lo scrittore di montagna. Mi piace l’idea di non farmi incastrare nello schema di scrivere un romanzo, scoprire che vende e non essere più capaci a uscire dalla trappola…

Magari verso l’età pensionabile potresti farci un pensiero…

Non saprei. Magari più in là mi permetterò un filotto di storie di montagna. Può anche essere che da qui alla pensione non vorrò più sentirne parlare, di montagna. Ma non credo esista il rischio (sito ufficiale: www.fabioandina.com).


'Sei tu, Ticino?' (Rubbettino)

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