L'intervista

Bugo: ‘La notorietà è una cosa seria’

Sabato 8 agosto al LongLake Festival Lugano. È all'apice della popolarità all'età di 47 anni (compiuti domenica), "ma mi sono goduto il successo già vent'anni fa".

'Cristian Bugatti', all'anagrafe e anche titolo dell'album
5 agosto 2020
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Solo gli struzzi non conoscono la storia di ‘Sincero’, duetto che a Sanremo è finito in vacca, ultimo grande momento mediatico prima dell’avvento dei virologi. Se un lato positivo ha avuto la pandemia, è stato quello di avere abbassato i riflettori sulla tv spazzatura; solo allora si è tornati a parlare di ‘Cristian Bugatti’ inteso come Bugo e come titolo di un bell’album con dentro una canzone entrata, col suo carico di veleni, nella storia di Sanremo. Finita la polemica che aveva eclissato la storia di uno che voleva fare il cantante delle canzoni inglesi così nessuno capiva quello che diceva, si è tornati a parlare di musica, di Bugo in quanto artista, autore del brano del ‘fattaccio’ ma anche di ‘Mi manca’, duetto con Ermal Meta (e anche di ‘Fuori dal mondo’, che tanto ci piace). Bugo sarà a Lugano all'apice della popolarità, dopo vent’anni di carriera non convenzionale. È atteso al LongLake Festival sabato 8 agosto (Terrazze Foce, ore 21, entrata libera con iscrizione obbligatoria a www.prenota.lugano.ch). Quale migliore occasione per fare due chiacchiere. Sincere.

T'immaginiamo durante il lockdown davanti ai fornelli, come cantavi in ‘Casalingo’. Stare in casa è stato davvero “qualcosa di spettacolare”?

Con la capacità di adattamento si può stare dovunque. Noi artisti siamo fortunati, non è che dobbiamo alzarci la mattina presto per andare in ufficio. Francamente non ho capito chi di noi si è lamentato del lockdown, e preferisco non commentare. È lo spirito di sacrificio che doveva prevalere e molti hanno un po’ perso la testa. Posso anche capirlo in una situazione di tale restrizione, ma fino a un certo punto. Quindi, se mi chiedi se l’ho vissuta male, ti dico di no perché, per esempio, ho avuto tempo per stare con mio figlio. Ma nemmeno posso risponderti che è stato un momento di gioia, perché nessuno poteva restare immune a quel che accadeva nel mondo. C’è andato di mezzo anche un caro amico, che ho perso (Mirko de I Camillas, ndr).

Niente musica durante il lockdown. Così come Morricone, hai pensato che non fosse il caso.

Sì. Anche Ruggeri ha detto qualcosa di simile. In quella dichiarazione Morricone comprendeva la voglia di esorcizzare il dolore, ma sosteneva anche che con cinque-seicento morti al giorno potesse non essere il momento di fare musica. La pensavo così anche io. Mi chiedevano di suonare nelle dirette instagram e rispondevo che non me la sentivo. Mi dicevo che se anche avessi smesso per un mese di suonare non sarebbe stato grave, visto che nello stesso momento c’era gente impegnata a salvarci la vita. Quando ho letto la dichiarazione del Maestro mi sono sentito meno solo.

Che ‘Sincero’ fosse la più bella canzone del Festival l'avevamo già scritto a febbraio. Il 1° maggio è uscita ‘Mi manca’, con Ermal Meta. Che tanti anni fa fece il roadie per un tuo concerto pugliese…

Era il 2006. Sì, questa cosa me l’ha ricordata lui, ovviamente. Me lo immagino giovanissimo che già sogna la musica, che fa la sua strada mentre io faccio la mia, me l'immagino che va a Sanremo e lo vince, e io che ci arrivo anni dopo e poi ci ritroviamo. Scherzando gli ho detto: “Ti devo una giornata da roadie”. Ecco, se un giorno mi vedrete a un concerto di Ermal mentre gli passo una chitarra, vorrà dire che gli ho reso il favore…

“Ah che noia essere grandi. Andare ai compleanni e parlare dei soldi o dei figli degli altri”. E quanta nostalgia “delle porte fatte con le magliette, di giocare “a chi sputa più lontano”, “del tuo primo pallone che finiva sotto le macchine” e di “pagare qualcosa con le figurine”. In ‘Mi manca’ parla il bimbo che è in noi o, citando la tua ‘Fuori dal mondo’, “si può essere adolescenti anche a quarant’anni”…

La vita è un continuo recuperare. ‘Mi manca’ non è una canzone nostalgica, ma una canzone dedicata alla nostalgia. Non è un “era meglio prima e adesso è tutto brutto”, perché io vivo i miei anni con grande gioia. Però quegli anni lì, quelli dell’infanzia, tra elementari e medie, hanno un sapore che da adulti può far bene recuperare. Sia chiaro, ci sono cinquantenni che sono ancora bambini e questo è un altro argomento, magari buono per farci una canzone. Ma la potenza, l’ingenuità dei sogni può essere utile. Non significa rimettersi a giocare coi Puffi, ma avere voglia di stupore. È chiaro che io parlo da artista, che sembra un discorso da illusi, ma questo è il mio ruolo: infondere desideri, sogni, ambizioni. Non sono un politico e la gente, nel mio caso, deve poter dire “Che bello, voglio farlo anch’io”.

A parte forse il Bugo che abbandona il palco dell’Ariston, dall'album esce un tizio misurato e consapevole. Non il pazzo che si ama citare.

Sono uno che ha imparato a gestire il suo lato folle e gli altri aspetti di sé. La follia creativa, non quella malata ed egoriferita, è simile alla nostalgia, scopre cose che altri non vedono. Per aver gestito vent’anni di carriera, per com’è andato Sanremo, a mio parere i folli sono altri. Sono i cantanti che si atteggiano a politici, che fanno i sermoni e magari crollano al primo contraddittorio. Comunque coltivo sempre il mio lato folle, e dal vivo si vede.

Tipo cucinare la pasta al burro sul palco?

Quella cosa è irripetibile. In quel posto avevano un fornelletto da campeggio, fu vera follia. Ecco, chi mi ha visto vent’anni fa, non mi ha più seguito e mi ritrova adesso, può restare spiazzato. Ti faccio un paragone con Lennon, senza la minima intenzione di paragonarmi a lui: non è che in ‘Love me do’ lui era uguale a quello di ‘Woman’ dell’81. È che la gente cambia, matura, e ben venga che Lennon abbia cantato ‘Woman’, perché bisogna crescere.

Nella sincerità dell’album metto anche ‘Che ci vuole’: “Che ci vuole a tirarsela un po’, basta dire che Sanremo fa cagare”…

Nell’ambiente alternativo da cui provengo io è la frase fatta per eccellenza. Ma anche tra la gente comune che ascolta solo i Dream Theater e tutto il resto è merda. Io sono uno di quelli che prima di giudicare affronta le cose, e Sanremo è stata un’avventura che ho voluto. Già due anni fa, quando scrissi quella canzone, immaginavo le reazioni…

“Ah eccolo lì, Bugo che va a Sanremo”…

Sì, e tu stai a casa a guardarlo. Viviamo in un paese in cui la critica a volte è fine a sé stessa. Io guardo il bicchiere pieno e quello vuoto non m’interessa. Se avessi guardato solo quello vuoto, la mia carriera sarebbe durata cinque anni e non venti. Lo dico non perché mi ritenga meglio degli altri, ma per quegli artisti, e mi fanno tanta tenerezza, che dopo le critiche hanno abbandonato. Sono tanti e anche di talento. Li ho avuti pure io i momenti di sconforto. Il mio è un invito a non mollare, è stata dura ma ce l’ho fatta a 46 anni… (46 al tempo di 'Sincero'. Da domenica scorsa Bugo ne ha 47, ndr).

È vero, raggiungi il massimo della notorietà decisamente adulto…

Sì, ma mi sono goduto il successo già vent’anni fa. Firmare con la Universal, per me che venivo da un paese di 5mila abitanti, è stato come firmare con la Apple Records. Nella mia vita è accaduto tutto in modo graduale. Sanremo ha portato la notorietà e va benissimo, mi è sempre interessata e negli ultimi anni segue il mio sviluppo umano. Mi piace, mi diverte, è una parte importante del mio lavoro, da prendersi molto seriamente. Guarda Vasco come tratta bene in suoi fan: la cosa ripaga. Ovviamente coinvolge il tuo privato, quando passa il paparazzo e ti fotografa con la moglie e il bambino. Ma per il momento va bene così. D’altra parte, se non mi stava bene andavo a fare l’operaio.

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