Culture

Scopriamo #Locarno2020 con Lili Hinstin

La direttrice artistica ci racconta questa insolita edizione, senza piazza e concorso ma con lo spirito del festival

Hinstin (Ti-Press)
4 agosto 2020
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È un’edizione insolita, quella del Locarno film festival che si aprirà domani sera al GranRex: pochi eventi in presenza e molto online, al posto del concorso un’iniziativa speciale, The films after tomorrow, dedicato alle produzioni bloccate dall’emergenza sanitaria globale.

Lili Hinstin, il festival si aprirà con ‘First Cow’ di Kelly Reichardt, film in Concorso alla Berlinale, praticamente l’ultimo festival riuscito a scampare alla pandemia.

In realtà abbiamo scelto il film di Kelly Reichardt innanzitutto perché ci è sembrato naturale: è una delle più grandi registe mondiali, è coinvolta in questo nostro progetto nella veste di giurata e ha appena finito un film stupendo che nessuno ha visto – negli Stati Uniti per via della pandemia, ma non solo dal momento che in Europa non ha ancora un distributore. Soprattutto, il suo è un film sullo spazio: ‘First Cow’ è un western, con questi favolosi paesaggi dell’Oregon che Reichardt ha già dimostrato quanto è capace di rendere vivo. Nei suoi film la natura è una forza viva e io credo che un rinnovato rapporto con la natura sia stato, per molte persone, una delle conseguenze del confinamento, almeno per i fortunati che hanno potuto frequentarla.

La serata di chiusura sarà invece di cortometraggi. Iniziando da ‘La France contre les robots’ Jean-Marie Straub.

È veramente bellissimo: l’ho aggiunto innanzitutto perché in un certo senso è un “film di confinamento” anche lui: Straub da molti anni conduce una vita ritirata, è quindi un “film domestico”. E come detto è un film stupendo che parte da un testo di Bernanos sul rapporto dell’uomo con la tecnologia, su come la tecnologia ci trasforma secondo le sue logiche. Il testo è degli anni Quaranta ma è di un’incredibile attualità.

E poi i cortometraggi del progetto Collection Lockdown by Swiss Filmmakers.

È un progetto nato durante il confinamento dalla collaborazione di tre case di produzione, una della Svizzera italiana, una della Svizzera tedesca e una della Romandia, che insieme alla Ssr Srg, inclusa la Rsi, hanno chiesto a diversi registi di realizzare dei film partendo da questa situazione inedita. Per noi è un bellissimo modo di chiudere il festival, perché è la condivisione di una situazione particolare che abbiamo vissuto tutti e perché alla serata conclusiva abbiamo invitato tutti i registi: sarà un ritrovarsi, la celebrazione di una comunità.

Uno sguardo immediato sul confinamento.

E anche un riconoscere come l’arte in generale e il cinema in particolare ha la capacità di impadronirsi delle peggiori situazioni, di superare i peggiori ostacoli.

Abbiamo accennato alla giuria: quella internazionale composta di Nadav Lapid e Lemohang Jeremiah Mosese oltre a Kelly Reichardt; quella nazionale vede Alina Marazzi, Matías Piñeiro e Mohsen Makhmalbaf. Di solito a Locarno troviamo membri appartenenti a tutto il mondo del cinema: quest’anno solo registi.

Avere solo registi in giuria faceva parte del progetto iniziale di tutelare al massimo i registi che stanno lavorando in una situazione molto difficile. Fin dall’inizio il nostro obiettivo è stato garantire ai registi la massima protezione chiedendo loro il minimo impegno: per poter selezionare i lavori abbiamo voluto solo le informazioni base, documentazione spesso già pronta. E trattandosi di progetti in lavorazione, quindi in una fase di forte fragilità, non potevamo chiedere di esporli all’industria cinematografica: niente produttori o distributori in giuria, quindi, per evitare che si parlasse del film prima della realizzazione.

Giurie di soli registi, così da restare in uno spirito di solidarietà e fraternità. Ho presentato le giurie come “colleghi che aiutano altri colleghi”. Per quanto riguarda la scelta dei membri: è un lento lavoro di costruzione, si contatta una persona, si aspetta la risposta, poi se ne cerca un’altra perché è necessario l’equilibrio: geografico e anche in genere, non puoi avere solo donne o solo uomini. Sono molto contenta della composizione delle due giurie perché penso che riflettano perfettamente sia la selezione, sia lo spirito del festival con generi diversi, giovani talenti, autori conosciuti.

Informazioni all’essenziale, film interrotti dalla pandemia in fasi diverse della produzione: la selezione non deve essere stata semplice.

È stato terribilmente difficile: abbiamo ricevuto più di 500 progetti internazionali e 45 svizzeri e come ha visto c’erano nomi di grandissimo rilievo internazionale, alcuni che mai ci saremmo aspettati e che credo siano una testimonianza delle difficoltà finanziarie in cui si trova il cinema d’autore, al di là della crisi Covid. Sceglierne dieci è stato veramente un crepacuore e devo dire che quando abbiamo iniziato la riunione col comitato per la scelta finale, mi dicevo che non ce l’avremmo fatta a trovare un accordo, ma in realtà ci siamo riusciti.

Con una selezione molto interessante. Peccato non poterli vedere a Locarno.

Sono progetti veramente bellissimi. E questo ci dà speranza per gli anni futuri: vuol dire che ci saranno tanti bei film da vedere.

Magari in una prossima edizione del festival.

Magari. Ma l’unico impegno che chiediamo ai progetti selezionati è la presenza del nome di Locarno nei crediti: per il resto non sarebbe stato giusto pretendere alcunché, porre dei vincoli.

Passiamo ai Secret Screening, film a sorpresa scelti da lei. Novità di quest’anno che avremo anche in futuro?

Chi lo sa. Vediamo come viene.

Non le chiedo i titoli, ma che criteri ha seguito nella scelta?

Non si tratta dei film della mia vita o dei più grandi capolavori secondo me: sono scelte più circostanziate e un po’ istintive. Film che mi hanno sorpreso o che volevo programmare da tempo ma non ne avevo mai avuto l’occasione. Ci sono anche collegamenti tra i film, e anche alcune prime nazionali.

Abbiamo poi il Viaggio nella storia del festival, sorta di retrospettiva di quest’anno.

Sì, potremmo chiamarla così. Di solito in un festival c’è come un cerchio tra autori e pubblico, ma con questo progetto di The Films After Tomorrow, di cui sono molto orgogliosa, come detto non c’è niente da far vedere al pubblico. O meglio: qualcosa c’è, perché ogni regista presenterà il proprio progetto e sarà interessantissimo, ma non sono film. Per cui ho proposto ai registi di scegliere un titolo tra i lungometraggi selezionati dal 1946 a oggi: una lista di oltre 1400 titoli. Il risultato lo trovo sorprendente e in sintonia con i valori del festival.

Anche in questa edizione ibrida, Locarno rimane un luogo di scoperta cinematografica?

Penso di sì. Una delle prime decisioni che abbiamo preso è stata andare avanti con il concorso di corto e mediometraggi, quei Pardi di domani che sono spesso opera di registi nuovi. Open Doors è un’altra sezione che è per essenza di scoperta, esplorando cinematografie meno note di quelle occidentali. E quest’anno Open Doors avrà, solo in sala, una retrospettiva che permetterà di vedere film da tutto il mondo, opere di registi che hanno marcato profondamente cinema contemporaneo come Souleymane Cissé, Haile Gerima o Darezhan Omirbaev. Registi importantissimi che fanno di Through the Open Doors una delle sezioni imperdibili di quest’anno.

Come si dice in francese, bon gré mal gré siamo riusciti a mettere in piedi un programma che rispecchia la storia e lo spirito dedicato al futuro del festival.

Locarno 2020 edizione in parte digitale per forza di cose. In futuro?

Il digitale sarà uno strumento sempre più presente per contenuti pensati e curati da noi come masterclass e incontri. A livello di film, è complicato perché è bellissimo dirsi che possiamo raggiungere degli spettatori dall’altra parte del pianeta, ma non è così semplice. Se io online rendo disponibile in tutto il mondo un film, posso creare problemi a un altro festival che ha come regola la prima nazionale dei film. Poi se guardiamo ad altri festival che sono andati o andranno online, vediamo che le proiezioni erano spesso limitate geograficamente, il che secondo me rende questa operazione meno interessante, più lontana da quella dimensione utopica che aveva all’inizio la rete, quell’idea di condivisione del sapere al di là delle frontiere.

Insomma, il festival del 2025 sarà in parte digitale. Ma non per i film.

Non è detto. Un festival si inserisce in un ecosistema fatto di altri festival, del mondo dell’industria cinematografica. Nel 2025 il rapporto degli aventi diritto con il digitale sarà sicuramente diverso da quello attuale: non so come, ma sarà diverso. Il compito del festival di Locarno è capire i propri tempi, restare al passo e se possibile anticiparli.

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