Culture

Biblioteca Cisa al PalaCinema, la settima arte tutta da leggere

Dodicimila volumi dedicati alle arti di cui ottomila all'audiovisivo, in futuro nel circuito delle biblioteche cantonali (intervista ai protagonisti del lascito).

Il lascito di Alfonso Canziani e Mariano Morace
1 ottobre 2019
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Un doppio lascito per quello che è, anche, un doppio atto d’amore. Allestita dal Conservatorio internazionale di scienze audiovisive (Cisa), il PalaCinema ha da oggi una sua biblioteca: dodicimila volumi dedicati alle arti, ottomila dei quali inerenti l’audiovisivo, quattromila legati ad altre materie artistiche e alle scienze naturali. Circa diecimila pezzi giungono a Locarno, per il tramite della figliastra Loretta Guerrini, dal professor Alfonso Canziani, uno dei primi insegnanti di filmologia in Europa; un altro paio di migliaia arrivano invece dal critico cinematografico Mariano Morace. Il tutto per un desiderio comune, che è anche quello del Cisa: «Dare accesso non solo agli inquilini di Palacinema – spiega il direttore Domenico Lucchini – ma anche al pubblico, per il valore indiscutibile dei volumi raccolti». A catalogazione avvenuta, da effettuarsi scientificamente a cura di esperti bibliotecari, l’intenzione è quella di inserire l’intero patrimonio nel contesto del prestito interbibliotecario, sull’onda della valutazione della Biblioteca Cantonale che ne ha rilevata l’importanza (collezione da legarsi in particolar modo a quella della biblioteca di Locarno, già dedicata in parte alla settima arte).

La soddisfazione per questo focus sull’audiovisivo che va riempire ulteriormente uno spazio – dice ancora Lucchini – «che alcuni scettici avevano definito un contenitore senza contenuti» è anche quella di Roberto Pomari, direttore del PalaCinema e amante del libro ‘fisico’ («Non ho ceduto a Tinder, vivo circondato da libri, mi sento a casa»). La neonata biblioteca è «un valore aggiunto» cui si aggiungerà ulteriore valore dato dall’archivio del Locarno Festival attualmente parcheggiato presso la Biblioteca cantonale di Bellinzona: «L’intenzione è quella di riportare a casa tutto questo materiale non solo cartaceo, oggetto di un progetto in partenariato con l’Usi per la sua digitalizzazione, con lo scopo di renderlo fruibile anche agli utenti del festival e anche in rete, per una documentazione completa della manifestazione».

Valigie piene di libri

Il primo atto d’amore verso la biblioteca è raccontato da Loretta Guerrini Canziani. «Mio padre sarebbe contento, vedo la sua raccolta germogliare nuovamente in un luogo in cui crescono dei ragazzi per fare regia. Altri volumi sono ancora da trasportare. Credo che con l’apporto di Morace toccheremo le 13mila unità». Una raccolta che giunge al PalaCinema che pare oggi sede naturale e predestinata, frutto dell’infatuazione del professore per Locarno e per il suo festival: «Frequentava assiduamente quello di Venezia – spiega Guerrini Canziani – perché il padre pittore amava la città. Ma il festival del cinema preferito di mio padre è sempre stato quello di Locarno. Era convinto avesse una marcia diversa, ha sempre sperato che Salsomaggiore potesse fare altrettanto. In Locarno ha sempre visto una manifestazione non di cartolina, non “mercantile”, come diceva lui».

Canziani, pur minato nel fisico, ha trasportato per tutta la vita valigie piene di libri dalla Francia, nazione in cui si era spostato proprio per approfondire i suoi studi sul cinema, incontrando Bresson, Visconti, stringendo amicizia con Sergio Leone: «Quella particolare estensione del montaggio, per esempio, la suspence in ‘Per un pugno di dollari’, fu l’esito di un lungo confronto avuto con mio padre».

Quella volta a casa di Eco

A proposito di amanti del ‘supporto fisico’. «Avevo 23 anni. Umberto Eco era l’intellettuale nuovo; chiamo l’Espresso, fisso l’intervista e vado a Milano; quando entro mi spavento, perché tutte le pareti di casa sono ricoperte di libri». Parte da qui il racconto del ticinese Mariano Morace, «non uno studioso del cinema, ma un critico militante» come si autodefinisce, fulminato in giovane età da ‘Le mani sulla città’ di Francesco Rosi e cresciuto a pane e film («Mi ritengo fortunato, la mia passione è diventata un lavoro, venivo pagato per andare al cinema: non è cosa da poco»). I duemila volumi donati al Cisa sono il ‘raccolto’ del suo mestiere, in particolare di quei festival «che non si limitavano al catalogo, ma si spendevano anche in monografie». Una volta in pensione, Morace si è dovuto confrontare con un problema logistico: «Non avevo spazio in casa; ho pensato che forse ai giovani potessero interessare». Quei giovani, oggi, ringraziano.

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