Culture

Irvine Welsh a Bellinzona, 'Le culture della droga' (parte II)

In collaborazione con il festival Babel pubblichiamo, in due parti, il testo di Welsh dedicato a come è cambiata la cultura della droga da ‘Trainspotting’ a ‘Porno’

Welsh è ospite del festival Babel che si tiene dal 12 al 15 settembre a Bellinzona
14 settembre 2019
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Se ripercorro grossomodo gli anni che ho vissuto io, ricordo che gli hippy avevano la loro erba, i punk le loro anfetamine e i loro beveroni, i pochi beatnik che venivano dai sobborghi di periferia preferivano l’eroina, i raver le loro chicche, gli yuppie la coca, i poveracci il crack, e il resto si ubriacava. Ora che invece sono tutti consumatori, ognuno sceglie quello che gli serve in base alla serata che lo attende. Attualmente, l’offerta dipende dalla disponibilità, dai «soci», dagli stili di vita (e di questi ne possiamo avere tanti, tutti quelli che riusciamo a permetterci), dall’immagine che ognuno ha di sé, e anche questa è flessibile. In breve, le tendenze dei consumatori di droga rispecchiano, e al contempo senza dubbio influenzano, quello che succede nel resto della società. Sostanze che un tempo erano considerate elitarie e di un certo prestigio, ora sono di uso comune a ogni livello sociale. Oggi gli ultrà del calcio consumano forse più coca degli yuppie, il prezzo di un grammo è sceso da cento a circa quaranta sterline nel giro di pochi anni. E molti di questi ultrà ora addirittura disprezzano l’ecstasy perché a un paio di sterline a botta non può certo essere all’altezza, roba da ragazzini. Molti giovani borghesi sembrano imitare il proletariato nel modo di parlare e di vestire, mentre la gente di umili origini fa l’esatto contrario e adotta i vecchi modelli di successo cospicuo, il che naturalmente significa consumo cospicuo. Una decina di anni fa, se vedevi una limousine accostare in una strada di Londra ti voltavi a guardare chi fosse la rockstar di turno strafatta di coca che ne usciva barcollando con una bottiglia di champagne in mano. Ora è molto più facile che da una limo scenda un gruppo di amiche di Dagenham dirette a un addio al nubilato.

Ai tempi di Trainspotting di solito ti facevi con le stesse cose che prendevano i tuoi amici. Insomma, senza girarci tanto intorno, se bevevano Pimm’s a una festa in giardino, ti passavano il bicchiere. Se bevevano pinte di lager, tu facevi lo stesso. Se erano tipi da scatenarsi a un rave con l’ecstasy, lo avresti sicuramente provato anche tu. Se li trovavi seduti in un appartamento squallido con un ago piantato nel braccio, le probabilità che ti beccassero nello stesso stato aumentavano esponenzialmente. Quando però la cultura era ancora cultura, un vero punk non avrebbe mai fumato l’erba di un hippy, e un raver avrebbe disprezzato quella droga violenta e da vecchi che è l’alcol. Non ti saresti mai immaginato di incontrare un gruppo di tifosi dello Stoke City in un covo di cocainomani del Lower East Side di New York, com’è accaduto a me qualche tempo fa. È questo che succede ora, e c’è da aspettarsi proprio di tutto, gruppi di simili che con le droghe hanno un rapporto paragonabile a quello tra la pubblicità e i cibi preconfezionati e malsani che consumiamo in quantità sempre più industriali. Il problema, naturalmente, è che le droghe adesso le trovi ovunque, e non solo nell’underground, nella clandestinità dove dovrebbero stare, perché la clandestinità non esiste più. Si adegua quasi subito al mercato dominante, non appena è consapevole di sé. Così le droghe non rimangono più nella loro cultura o sottocultura.

Quando la musica house è uscita in superficie e è diventata «overground», le megadiscoteche hanno assunto il controllo e hanno involontariamente esportato la cultura del consumo di droga nell’intrattenimento mainstream. Ogni spot televisivo che mostra dei ragazzini con gli occhi di fuori che si dimenano in pista al ritmo dell’ultima compilation di musica dance di Ibiza è, a tutti gli effetti, propaganda per l’ecstasy, la cocaina e le altre droghe. Pubblicità, film e televisione sono ormai saturi di immagini «da sballo». Nel caso specifico, il suggerimento che arriva è che il prodotto pubblicizzato possiede proprietà di alterazione mentale o poteri sensibilizzanti, nonostante il principio attivo sia solo la caffeina. Red Bull, Tango e Coca Cola sono pertanto destinate a deludere chi cerca le «ali» o quella botta davvero esplosiva. Non c’è da meravigliarsi se la gente poi passa alla svelta alla «roba vera». Oggi le persone consumano più droghe, ne provano di tutti i tipi e cominciano in età sempre più giovane, forse solo perché sono lì e possono permetterselo. E finisce che dei bambini piccoli muoiono per avere ingoiato una pasta di ecstasy trovata in casa. A una sterlina l’una, rispetto alle quindici di dieci anni fa, se ti cade per terra mentre tiri fuori di tasca un fazzoletto, non ci fai nemmeno caso. Questo genere di cose non sono mai accadute quando le pasticche stavano al sicuro al loro posto – «nella cultura». Ora che sono uscite dalla cultura e si trovano ovunque, l’ultimo metodo efficace per controllarle è svanito. Le sottoculture fornivano un contesto o un’ideologia – l’abito mentale di essere un «fuorilegge» – a gran parte delle trasgressioni dalla società convenzionale. Il più delle volte era un atteggiamento innocuo, immaginario, e forse pure politicamente conservatore, perfettamente riassunto nello slogan autolesionistico «la rivoluzione comincia dopo l’orario di chiusura». Comunque sia, la posa del ribelle, da James Dean a Che Guevara, aiuta molto a piazzare il prodotto nel mercato giovanile. Oggi tutti si presentano dentro a un involucro trasgressivo, persino i «cani sciolti» holliwoodiani, eroi tipicamente americani che vogliono solo prendere a calci nel sedere i comunisti o gli arabi affinché i buoni provinciali possano dormire sonni tranquilli nelle loro casette. L’ironia è che la trasgressione autentica è meno tollerata che mai. Oggi è anche molto più difficile trasgredire in modo rilevante, perché è quasi impossibile trovare un gruppo in cui farlo possa diventare un punto di riferimento. Come società, sembriamo più socialmente proscritti e monolitici che mai, la nostra libertà converge sempre più verso il nostro potere d’acquisto. Le ultime vere culture giovanili britanniche sono state quelle dei raver e dei football casuals, che hanno concluso la lunga serie iniziata con i teddy boy. Queste sono anche state le due culture giovanili che hanno verosimilmente provocato la risposta più risoluta da parte dello stato, dalle operazioni di polizia sotto copertura negli ambienti calcistici al Criminal Justice Bill. È più dura essere legati a una cultura adesso, e quindi i giovani di solito evitano di farlo. Ciò a cui sono legati è invece il mercato globale, che garantisce che lo stesso hip-hop in voga a Brooklyn possa essere contemporaneamente ascoltato anche a Brixton. Alle gang di giovani asiatici di Bradford non interessano le culture dei loro genitori o quelle britanniche dominanti nel luogo in cui vivono. Loro ascoltano l’hiphop e il rap dei neri alienati di South Los Angeles e Compton. E lo stesso fanno i ricchi fricchettoni bianchi del West End londinese. Ora puoi essere punk una volta alla settimana, mod il giorno dopo e casual nel weekend. Tutto quello che ti serve, è una carta di credito per comprare i vestiti giusti e la musica del caso. E un bel mucchio di contanti per la droga. Quello che non avrai sarà un drappello di anime affini che popolano con fervore uno scenario tutto loro, contente di essere qualcosa di diverso, separato da tutto il resto. Quel qualcosa era la sensazione, o anche la falsa presunzione, di far parte di una cultura fuorilegge. Tutto questo è morto nell’era di Porno. E quindi gli sballi cercati diventano vuoti, disperati, più edonistici e meno sociali, non sono più parte di niente. Dai bambini selvaggi dei sobborghi degradati agli operatori finanziari triviali e «puttanieri» dei quartieri alti, oggi siamo tutti consumatori.

Nell’era di Trainspotting, quelli che riuscivano a non morire e a non finire in prigione o internati, di solito mettevano la testa a posto. Diventavano compagni amorevoli, genitori coscienziosi e lavoratori diligenti. Per lo più smettevano di essere raver o discotecari o tifosi teppisti. Ma adesso il mondo è dei consumatori, e non finiremo mai di essere consumatori. Ci viene costantemente ripetuto che dobbiamo averlo, e averlo subito. Che sia per confermare la gioia o per fuggire dagli orrori del vivere, non smetteremo mai di consumare droga, mai, perché l’offerta è infinita, e l’unica cosa diversa che c’è rispetto alla Chicago proibizionista degli anni Trenta, è che il menu è stato ampliato. Le chiamano «scelte del consumatore». Nel mondo occidentale abbiamo bene o male accettato l’intossicazione come un diritto umano fondamentale. Produciamo, vendiamo, commercializziamo e pubblicizziamo prodotti pensati e realizzati solo per fare impazzire la gente. Avendo di fatto riconosciuto questo diritto, sembra il colmo che lo stato-balia venga a dire quali particolari sostanze possano o non possano essere considerate strumenti legittimi per raggiungere lo scopo. Soprattutto quando il sistema legale riconosciuto sembra essere disperatamente irrazionale e incredibilmente prevenuto, dal punto di vista culturale, e incidere pochissimo sui veri problemi che riguardano la valutazione delle droghe: danni immediati e prolungati alla salute, effetti sulla società, e potenziale assuefazione.

È ovvio che le droghe sono pericolose ma questa loro caratteristica di per sé basta appena a renderle evidenti tra le nostre dipendenze moderne. Sappiamo che gli hamburger venduti dalle grandi catene di fast food sono invasi da batteri fecali e infettati da mangimi per animali malati, non adatti ai ruminanti. Eppure continuiamo a mangiarli, soprattutto perché hanno un buon sapore, e sono così buoni perché sono saturi di aromi artificiali prodotti dall’industria del New Jersey Turnpike. Continuiamo a esercitare in modo negativo la nostra libertà di scelta, anche quando il risultato, come società, è una popolazione più grassa e meno sana. Sappiamo bene che i bambini sviluppano una dipendenza verso i cibi grassi che alla lunga avrà un effetto deleterio. Ciononostante, consentiamo a quei prodotti nocivi di essere pubblicizzati, consapevoli del fatto che molti bambini diventeranno obesi e moriranno in giovane età di malattie cardiovascolari dovute all’ingestione prolungata di queste porcherie. Il modello di sviluppo primario della globalizzazione è quello americano del motore a combustione interna, del calo del prezzo del petrolio, delle autostrade, dei fast food, delle scarse opportunità educative degli addetti al terziario, del low-cost e dei salari da fame. E questo succede in una società post-democratica depoliticizzata e despiritualizzata, dove un’industria della comunicazione trivialista e sensazionalista ci spinge di continuo a non rimandare mai la gratificazione. Se consideriamo tutto questo, allora l’aumento della criminalità, dell’uso delle armi e del consumo sfrenato di tutto quello che crediamo necessario e di cui siamo insaziabili, incluse le droghe, ci apparirà inevitabile.

2 – fine

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