Verzasca Foto Festival

Noi siamo leggende (intervista a Olga Cafiero)

La valle e le sue storie per riconnettersi con le origini, tramite la fotografia, nelle parole dell'artista 'residente'. L'evento da domani a domenica 8 a Sonogno

Animali di notte (© Olga Cafiero)
4 settembre 2019
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Si può fotografare tutto. Anche il profumo. Lo ha fatto Olga Cafiero prima di approdare a Sonogno come artista residente, parte di quel Verzasca Foto Festival che apre i battenti oggi (www.verzascafoto.com). Nata a Como da madre di Camorino e padre italiano, un bachelor in fotografia e un master in Art Direction all’Ecal, mentre studia storia dell’arte all’Università di Losanna i suoi scatti sono esposti dentro e fuori i confini svizzeri. Con lei proviamo a fare insieme un ‘Cammino’, tema di questa sesta edizione del festival, chiedendole della strada che l’ha portata in valle.

«Ho scelto di inviare la mia candidatura perché questa è una regione che è sempre contata nella mia vita. Mi sono detta che fotografarla poteva essere un modo per riconnettermi con le mie origini oltre i ricordi d’infanzia e le vacanze trascorse qui, un’occasione per confrontarmi di persona con questi posti, anche se arrivo da un posto un po’ più in pianura». Il tema della sua ‘residenza’ è ‘Costiss’, in dialetto verzaschese ‘Ascolta’: «Che la storia sia reale o immaginaria, ci apre gli occhi su chi siamo e da dove veniamo. E anche quand’è immaginaria, i miti, le fiabe e le leggende disegnano le paure e le speranze di un luogo e del suo popolo». Agli scatti esposti al ‘Tecc der Giacomina’ di Sonogno, Olga è arrivata lavorando sulle leggende locali, dapprima in modo scientifico, affondando nella letteratura locale, nella tradizione orale; poi, una volta in valle, ha provato a dimenticare tutto ciò che aveva letto per lasciarsi «invadere e sorprendere in prima persona da chiese, foreste, natura, e dalle storie che le raccontano».

Una Konica rossa, poi l’Inghilterra

Il cammino verso il Foto festival, a vederlo tutt’intero, inizia molto prima e ha a che fare le storie di chi parte per fare una cosa e finisce col farne un’altra che poco c’entra con la prima. «La fotografia è stata una scintilla, a tutto pensavo tranne che agli studi artistici. Studiavo scienze sociali all’Università di Ginevra per poter fare storia economica e un bel giorno, finiti gli esami, mi sono svegliata». Complice l’anno sabbatico in Inghilterra, le molte mostre e i relativi fotografi incontrati, complice «un environnement propizio», la sua macchina fotografica diventa prolungamento di mani e occhi, e le mani imbucano la candidatura all’Ecal di Losanna. «Mi hanno presa».

Accadeva tredici anni fa, nemmeno troppo lontano dal giorno in cui il padre – che negli anni 70 e 80 lavorava nei cantieri, ma aveva anche uno studio fotografico in Corso Venezia a Milano – le regalava una Konica rossa «con due pinguini sopra». Pur con approccio molto diverso dalla figlia («Prediligeva l’aspetto tecnico»), babbo Cafiero riconosceva nella piccola Olga un modo particolare di inquadrare. «Credo che la fotografia, in un certo senso, sia sempre stata con me».

Sonogno delle meraviglie

Allargando la visuale, in ‘Costiss’, per modalità di costruzione, c’è qualcosa del suo ‘Curioso’, progetto del 2011 ispirato al Wunderkammer, o gabinetto delle meraviglie, ambiente in cui i collezionisti, tra il XVI e il XVIII secolo erano soliti raccogliere oggetti straordinari (e il gabinetto di Cafiero include anche un cavallo che sbadiglia e un satellite dentro una stanza). «In Valle ho lavorato nello stesso modo, per categorie, con foto che si confrontano, si parlano, si completano. Ho voluto la foresta, sono andata verso l’acqua, sono salita in alto, sono entrata nei musei per recuperare oggetti del passato che non si trovano più, nei musei di storia naturale, dove c’è la storia di un territorio».

Le immagini restituiscono la storia, e per chi quella storia l’ha vissuta potrebbero anche restituire profumi, come in ‘Sillages’ (‘Scie’), recente progetto in cui fiori di plastica ‘intrappolati’ dentro immagini lenticolari si muovono al transitare dello spettatore, producendo, idealmente, fragranze. Ma se non saranno fragranze come a Bienne, a Sonogno potrebbero essere suoni, «come l’acqua, che in Verzasca è di sottofondo, sempre» (www.olgacafiero.com).

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