Culture

Le ragioni dell'individuo: Cinzia Sciuto domani a Lugano

Giovedì 16 maggio alle 20.30 all'Hotel Dante, la giornalista presenterà il suo ‘Manifesto laico contro il multiculturalismo’

Cinzia Sciuto
15 maggio 2019
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La nostra società è sempre più multiforme: una diversità e varietà di tradizioni, culture e religioni che possiamo esaltare o condannare, ma sulla quale dovremmo innanzitutto riflettere come fa la giornalista Cinzia Sciuto nel suo saggio ‘Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo’ (Feltrinelli 2018) che presenterà domani, giovedì 16 maggio, alle 20.30 all’Hotel Dante di Lugano in un incontro organizzato dai Liberi Pensatori.

Il libro è una critica al multiculturalismo. Che non è semplicemente avere società sempre più eterogenee…

Esatto. Il problema con la parola multiculturalismo è che è una parola molto ingannevole: superficialmente richiama l’incontro di usi, costumi, tradizioni, cibi, lingue diversi. Ma è anche un preciso modello politico di gestione di società complesse e disomogenee, un modello che si fonda sull’idea che le culture possano essere individuate, che abbiano delle caratteristiche precise e definite, non cogliendo i movimenti interni alle varie comunità. Soprattutto, l’idea centrale del multiculturalismo è che ciascuna di queste culture così definite – in maniera sostanzialmente astorica e artificiosa – si possa e si debba autoregolamentare, che abbia una sorta di vita propria indipendente. È questo il punto critico del multiculturalismo che metto in discussione nel libro; non certo il dato di fatto della disomogeneità delle nostre società e neppure la possibilità di convivenza tra queste diversità.

Multiculturalismo e fondamentalismo hanno quindi una cosa in comune: appiattiscono l’identità dell’individuo su quella di comunità.

Sì, anche se non metterei in relazione multiculturalismo e fondamentalismo: il primo è una visione politica più ampia, il secondo riguarda le religioni. Ma certamente condividono lo stesso presupposto teorico il multiculturalismo e le ideologie identitarie. Penso ai modelli alla Salvini o alla Le Pen che si inventano una identità inesistente, astorica, astratta, che ignora le contraddizioni presenti nelle diverse comunità, compresa la propria.

L’idea alla base della sua critica è che il rispetto è per le persone, non per le culture o le comunità.

Esatto: l’idea è esattamente mettere al centro l’individuo.

Tuttavia le persone si rispettano anche permettendo loro di vivere come credono, nella comunità cui si sentono di appartenere.

Su questo non c’è alcun dubbio. Il problema è che questo argomento viene spesso contorto in una maniera tale per cui la mia libertà di vivere come mi pare – e quindi anche aderendo alle regole di una precisa comunità, se voglio – si amplia al punto da includere anche la mia “libertà” di imporre ad altri, ad esempio ai miei figli, la mia visione e il mio modo di vivere. L’appello alla libertà – in questo caso di religione, ma non solo – diventa un sostanziale via libera a ideologie che sono oppressive nei confronti di qualcun altro. Un esempio che si trova nel libro: la famiglia amish cui è stato concesso, nel 1972 negli Stati Uniti, di ritirare i figli da scuola prima della fine dell’età dell’obbligo. Io non nego a nessuno il diritto di essere amish; nego ai genitori il diritto di limitare il diritto allo studio dei figli in nome della propria religione, perché i figli non sono proprietà dei genitori. Nella pratica significa che lo Stato si deve impegnare a garantire che ciascun singolo individuo sia nelle condizioni di praticare questa libertà.

Un altro esempio che si fa nel libro riguarda il velo.

Sì. Molte donne che portano il velo e lo rivendicano come autentica scelta di libertà vorrebbero che non lo si imponesse alle bambine, perché si tratta di una scelta importante che implica una certa maturità.

Ma c’è un altro elemento: ognuno ha il diritto di vivere come vuole, ma le convinzioni di ciascuno di noi contribuiscono a creare il contesto sociale nel quale tutti vivono. In linea teorica non dovrei protestare contro chi ha posizioni omofobe, perché ognuno è libero di pensarla come vuole, con l’unico limite della violenza. Ma a me questo non basta: perché se questi pensieri omofobi si diffondono nella società, anche senza arrivare alla violenza la vita di una persona omosessuale diventa impossibile, essere omosessuali diventa una sfida quotidiana, un atto eroico. Lo stesso discorso si può fare per l’abbigliamento femminile: non mi basta che una donna con la minigonna non venga aggredita, voglio una società in cui una donna con la minigonna non venga considerata una poco di buono.

Ma non è in contraddizione con la visione che mette al centro l’individuo, la cui libertà viene limitata per una questione di contesto sociale?

Ma non si tratta di intervenire sul singolo, ma di fare un discorso culturale e politico affinché certi comportamenti e certe visioni del mondo siano sempre meno diffusi. Forse è meglio fare un esempio concreto…

Magari tornando sul velo, che lei critica senza però auspicare un divieto generale.

Esattamente: è qui la chiave per comprendere questa apparente contraddizione che poi in realtà è la complessità della vita. Non sono per un divieto totale: perché dovrei limitare la libertà di una persona di indossare quello che vuole? Ma questo non significa fare spallucce e ignorare la questione, perché come ho detto prima la scelta del velo è una scelta libera solo a certe condizioni, per esempio che non venga imposto alle bambine. E allora si possono prendere tutta una serie di misure per disincentivare certi comportamenti. Le scuole, per fare solo un esempio, non dovrebbero accettare che una bambina non frequenti le lezioni di nuoto in quanto bambina. Un divieto del velo per le bambine lo trovo dunque plausibile perché incentiverebbe esattamente quelle condizioni che poi garantiscono una scelta davvero libera. E molte donne che indossano il velo la pensano come me. Tornando alla sua domanda precedente, mettere al centro l’individuo non significa mettere al centro me, ma tutti gli individui. Le opinioni oppressive impediscono agli altri di essere pienamente individui e hanno quindi meno diritto di cittadinanza rispetto ai discorsi aperti e accoglienti.

La laicità qui proposta non è quindi la semplice indifferenza verso le credenze religiose dei cittadini.

Il che vuol dire, ad esempio, intervenire se ci sono dei quartieri dove una coppia gay non può passeggiare senza venir aggredita. “Loro vivono così tu non ci andare” non è la risposta, perché il problema è rappresentato anche dagli omosessuali che vivono dentro quella comunità e che non hanno la possibilità di vivere la loro vita, se non con scelte molto gravose sul piano sociale ed emotivo. È di queste persone – le donne, gli omosessuali, i bambini – che rappresentano di norma i “senza potere” dentro le comunità, che uno Stato laico, democratico e liberale dovrebbe farsi carico innanzitutto.

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