Culture

Con le radici per aria

A Zurigo si è tenuto il primo festival di cultura e letteratura jenisch, sinti e rom

13 aprile 2019
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Musica, poesia, letteratura, cinema e perfino una passeggiata nei luoghi della memoria: sono stati questi i punti salienti del festival di cultura e letteratura jenisch, sinti e rom che si è svolto, con un ottimo successo di pubblico, il 5 e il 6 aprile a Zurigo presso il centro Kosmos, accanto ai binari della ferrovia, mentre i treni sfrecciavano veloci infondendo la voglia di partire e viaggiare, come moderni nomadi.

Una prima in Svizzera davvero interessante e coinvolgente, organizzata dalla Fondazione Litar che porta avanti progetti di letteratura e traduzione con l’obiettivo di divulgare cultura fuori dagli schemi e dalle convenzioni. L’idea è partita dall’attività che Christa Baum- berger, responsabile del festival, ha svolto per nove anni presso l’Archivio svizzero di letteratura a Berna, dov’era responsabile degli scritti di Mariella Mehr, nota autrice e giornalista jenisch che da sempre si batte in favore del suo popolo. Strappata alla famiglia da piccola, Mariella Mehr è stata una delle vittime del programma ‘Enfants de la grand-route’ promosso dal governo svizzero e portato avanti dalla Pro Juventute dal 1926 al 1973. Esso coinvolse dai 600 ai 2’000 bambini che vennero tolti alle famiglie per essere dati in adozione affinché crescessero come “normali” cittadini svizzeri in un’epoca in cui si riteneva, basandosi su studi psichiatrici condotti fin dalla fine del XIX secolo, che i nomadi fossero una razza inferiore e che andasse dunque “migliorata”. Il programma ebbe conseguenze tragiche e fatali per i bambini coinvolti, in molti casi furono vittime di brutalità e abusi sessuali.

Negli scritti di Mariella Mehr, spesso a sfondo autobiografico, si ritrova tutta la violenza che subì non solo da bambina, ma anche da giovane adulta, quando a 18 anni il figlio che aveva appena partorito le venne a sua volta sottratto. Mariella trovò rifugio nei libri, che la salvarono dalla follia e dalla morte e che lei, per un certo periodo, rubò dalle librerie, facendone una specie di bottino diguerra, indispensabile per sfuggire dall’isolamento e imparare concetti importanti come la solidarietà, il vero senso della rabbia e l’umanità.

La scrittrice, che in un’intervista ha dichiarato di avere radici “penzolanti per aria”, è convinta che ogni popolo abbia bisogno di un’élite intellettuale che lo racconti e che ne prenda in mano il destino liberandolo. La letteratura, la musica, l’arte e la scienza creano un’identità con cui presentarsi al mondo ed essere accettati. Un traguardo, intanto, gli jenisch e i sinti sono riusciti a raggiungerlo: nel 2016 sono stati riconosciuti ufficialmente come minoranza dal governo svizzero. Un passo importante, questo, che facilita i rapporti con Berna e permette ai soci della Radgenossenschaft (“la cooperativa della ruota” che cura gli interessi degli jenisch, così chiamata per celebrare il loro spirito itinerante) di discutere faccia a faccia con i politici.

Una maggiore comprensione verso le culture nomadi la auspica anche Christa Baumberger: “Non avendo mai voluto conquistare nessun territorio, rom, sinti e jenisch andrebbero presi come esempio perfetto di coesistenza pacifica, in particolare in un’epoca come la nostra, dominata dai nazionalismi e dalle chiusure mentali”. Gli jenisch, che spesso nascondono la loro appartenenza culturale per paura di discriminazioni e che ormai sono noma- di solo in piccolissima parte – il 90 per cento sono stanziali – hanno saputo fondersi con gli altri svizzeri, integrando e sviluppando elementi del folclore.
Una caratteristica, questa, che spicca nel documentario del 2017 intitolato ‘Unerhört jenisch’ (“Inauditamente jenisch”) realizzato da Martina Rieder e Karoline Arn, ospiti della rassegna. Il film parla del processo di riscoperta delle proprie origini jenisch da parte del noto cantautore bernese Stephan Eicher portandoci nel paesino grigionese di Obervaz, dove vivono i parenti dell’artista.

La letteratura, la musica, l’arte e la scienza creano un’identità con cui presentarsi al mondo

Lì lo spettatore viene catapultato nel mondo della musica folcloristica sviz- zera alla quale le famiglie jenisch dei Waser, dei Moser e dei Kollegger si dedicano con passione da sempre. Lo spettatore scopre che la tipica musica svizzera suonata con l’organetto è stata fortemente influenzata dagli jenisch. Eppure Martina Rieder racconta che il loro merito fatica a essere riconosciuto: “Durante le riprese ci trovava- mo a un festival musicale nei Grigioni e dei musicisti ci chiesero per chi fossi- mo venuti; quando seppero che eravamo lì per i Bündner Spitzbueba (formati dalla famiglia Waser), dissero che eravamo venuti per quelli sbagliati”. La musica tradizionale, legata soprattutto alla corrente dell’Udc, a fatica tollera la presenza di “elementi estranei”.

Così anche in campo musicale gli jenisch vivono con un piede dentro e uno fuori dalla società, tra appartenenza ed esclusione, tra professioni ordinarie e lavori precari, guadagnati girando di casa in casa a offrire i propri servizi. Temi ricorrenti, approfonditi durante la lettura di brani tratti dall’atlante della poesia rom e sinti (in cui è stato citato anche Santino Spinelli, professore di cultura e letteratura rom all’Università diTrieste) o durante la discussione svoltasi con due autrici jenisch: la svizzera Isabella Huser e l’austriaca Simone Schönett, autrice di un romanzo sull’utopia di uno stato rom senza territorio. Nei prossimi mesi Litar organizzerà altri momenti di incontro, per esempio il 6 giugno, alla casa della letteratura di Zurigo per sentire favole rom, o il 15 giugno nel campeggio jenisch di Zillis, nella Viamala, per festeggiare banchettando al ritmo di musica.

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