Culture

I nuovi pirati, come ladri con la complicità dello Stato

Incontro con Jacques Pilet, ideatore dell'Hebdo e di Le Temps: l'informazione vivrà, ma bisogna prendere delle decisioni. E far pagare le tasse a tutti...

21 febbraio 2019
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Per lui, a 75 anni, il giornalismo resta un «virus». Dopo la chiusura del suo Hebdo, è questa malattia che lo ha indotto insieme ad altri avventurieri a fondare ‘Bonne pour la tête’, giornale digitale le cui riunioni si tengono nei caffè e che prova a percorrere vie nuove: «Abbiamo 2’500 abbonati, ma sono molto motivati».

Jacques Pilet ieri era a Bellinzona, ospite di una serata del Club Plinio Verda: al centro le metamorfosi dell’informazione in un’epoca in cui il pluralismo si ritrova a rischio. Pilet, ideatore anche del Nouveau Quotidien (oggi Le Temps), non si nasconde una realtà in cui «il disastro» si è già compiuto: «In Romandia i 3/4 dei giornali sono in mano a un gruppo zurighese, Tamedia, che ha trasformato le redazioni in fabbriche di notizie». Eppure guarda al futuro con un certo ottimismo, oltre che con la stessa verve polemica.

Aiuti di Stato ai media? «Di certo si può aiutare la stampa locale con un abbassamento delle tariffe postali. Ma penso si dovrebbe soprattutto sostenere una fondazione per l’innovazione giornalistica. Lo Stato può fare di più, ma non per prolungare la vita di un morente, piuttosto per finanziare progetti innovativi».

Quanto a denaro, per Pilet, il tema più urgente è però un altro: «I pirati americani, una piovra giunta a succhiare ulteriori risorse pubblicitarie. Google incassa centinaia di milioni ogni anno e non paga nessuna imposta. Governo e parlamento devono intervenire, è una distorsione della concorrenza, ma non fanno niente, non se ne parla nemmeno per non dare fastidio a Google che ha un centro di ricerca a Zurigo...».

Non parlate poi a Pilet di facoltà in Scienze della comunicazione: «L’origine di una confusione grave: giornalismo e comunicazione sono due cose diverse, in totale contrasto». Cioè, il giornalista indaga, approfondisce, stimola riflessioni; non comunica, non vende.

Un futuro senza quotidiani? «No, forse si potrà discutere sul loro ritmo di uscita, ma la carta ci sarà sempre. Anche le persone nate con la comunicazione digitale ne saranno sempre tentate, se sapremo offrire loro dei prodotti moderni».

Come saranno questi giornali? «Non potranno limitarsi a dare notizie, si dovranno distinguere per la scelta dei soggetti, il modo di trattare le notizie importanti, la scoperta di nuovi soggetti, ma soprattutto attraverso due armi eterne: la lingua e l’immagine. Oggi abbiamo più che mai immagini ma poche pubblicazioni si preoccupano del linguaggio visivo. Un’immagine pensata è un’arma formidabile: la pagina dovrà diventare come una scenografia, una drammaturgia».

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