Culture

Giunti al bivio, abbiamo scelto la musica: Nic Gyalson

Quattro musicisti che hanno scelto di vivere il loro sogno svelano il ‘backstage’ della vita d'artista

Nic Gyalson (Gioele Pozzi)
5 dicembre 2018
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‘Per la radio sono troppo strano, per gli alternativi sono troppo pop’

Nicolò Mariani alias Nic Gyalson (26 anni) era in Ladakh, a fianco del padre regista Fulvio, in viaggio in un ambiente desertico e ghiacciato, quando ha sentito dentro che la sua vita era ad un bivio. Allora 21enne, sapeva quale strada avrebbe scelto. Un viaggio che è sfociato nel suo primo album ‘Alluvision’ nel 2016. «A 13 anni, quando ho sentito per la prima volta Jon Lord dei Deep Purple, sapevo che avrei fatto il musicista», dice. Da 5 anni, da quel viaggio nell’antico regno himalayano, la musica non è più un hobby, ma è un mestiere. «Da allora mi dedico anima e corpo alla musica, ho fatto una scuola di fonico, scrivo le mie canzoni e sono iniziati i casini», commenta scherzando.

Tante soddisfazioni ma economicamente non è facile. «Sto a galla grazie al mio lavoro di fonico e cameraman, entrambe mie passioni, ma in un anno guadagno come un apprendista. A volte penso che è stata tutta una follia, ma poi guardo i miei coetanei. Chi ha fatto scelte più classiche fatica comunque a trovare lavoro. Almeno io nutro i miei sogni», spiega il giovane che ha composto colonne sonore per vari documentari (‘Afghan Winter’, ‘To The Origins Of Skiing’, ‘SOS Baviera’) e per la serie televisiva Sottosopra. Ha capito quasi subito che la sua musica, espressione di vissuti intimi, che non si piega a compromessi e mode, in un contesto tutto sommato di provincia, non avrebbe avuto un mercato facile in un settore dove la concorrenza è enorme: «Per la radio sono troppo strano e per gli alternativi sono troppo pop. Mi sento stretto tra due greggi. Ci vorrà tempo per vivere solo della mia musica. Intanto vivo dai miei, la casa è grande. Loro mi sostengono anche nei momenti più difficili», precisa. Ci sono ostacoli ma anche soddisfazioni, quando un’emozione forte diventa musica che fa vibrare chi l’ascolta. «Sono un perfezionista, mi piace arrangiare un brano e registrarlo, un percorso che ti assorbe completamente. E quando il risultato è fedele alle aspettative è bellissimo». Durante l’estate ha prodotto tre nuove canzoni e due video, che costituiscono il primo di 4 capitoli del suo secondo album, ‘You Could Almost’. Tutto autoprodotto anche grazie al crowdfunding.

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Giunti al bivio, abbiamo scelto la musica

Si può vivere al massimo o sopravvivere. C’è chi si butta e decide di realizzare i propri sogni, restando fedele alla propria natura, nutrendo il proprio talento, pur consapevole che non sarà una passeggiata. Perché oggi con la musica non si diventa ricchi, anzi, a stento si riesce a stare a galla. La rete ha cambiato molto, nel bene e nel male, basta postare un video per sentirsi musicista. «Il mercato è stato deteriorato da internet, meno persone acquistano Cd o vanno ai concerti, perché tutto sembra già fruibile online. Le radio spesso spingono artisti che durano il tempo di una stagione, mentre musicisti di qualità restano nell’ombra», dice il batterista Rocco Lombardi.

Ogni artista ha dovuto superare un bivio come Rocco. E come Sighanda, che ha scelto la via meno rapida, non riconoscendosi nel mondo del pop più effimero che l’aveva lanciata da giovanissima e ritagliandosi un posto nella canzone d’autore. Una scelta premiata dall’invito al Premio Tenco 2018.

Tutti hanno scelto di seguire la loro passione, anche Nic e Irina, dedicandosi anima e corpo alla musica. In queste pagine ci svelano il ‘backstage’ della vita di un artista. Tanti sacrifici (‘È un percorso in salita, finanziariamente sei spesso precario’) e rinunce, ma anche tante soddisfazioni (‘Sei ricompensato quando offri agli altri la tua arte e la condividi’).

Chi ama davvero la musica e decide di viverci non guarda orari e incassi. «Se fai ciò che ami, non ti pesa se gran parte del tuo lavoro non è remunerato, come le prove, lo studio e il tempo dedicato alla composizione», chiosa Lombardi. Spesso è importante avere il sostegno di amici e familiari, perché i momenti di scoramento ci sono: «A volte penso che è stata tutta una follia, ma poi guardo i miei coetanei. Chi ha fatto scelte più classiche fatica comunque a trovare lavoro», aggiunge Nicolò Mariani. Ma tutti, giunti al bivio, alla fine hanno scelto la musica.

‘Ho fatto la gavetta io, mica il Grande Fratello’

“Ho presenziato a più matrimoni di un prete”, diceva anni fa Gigi D’Alessio a una radio italiana. ‘Ho fatto la gavetta io, mica il Grande Fratello!’. Se anche il pianista napoletano non fosse il vostro punto di riferimento in musica (nonostante l’insospettabile base di fan nordici e autoctoni), suonare ai matrimoni è la quintessenza della gavetta. Grossa spesa per chi convola a giuste nozze, il matrimonio è una non deprecabile fonte di reddito per chi suona, oltre che, spesso, interminabile momento ‘zen’ durante il quale controllare le proprie reazioni di fronte alle richieste dei festeggiati o dei parenti dei festeggiati. Ma è lavoro, e a ‘Despacito’ (‘Summertime’ per i jazzisti) ci si può – anzi, ci si deve – passare sopra.

Con volo pindarico, spostiamoci da Gigi D’Alessio a Madonna. Veronica Ciccone è il simbolo di chi, i suoi 350 milioni di dischi venduti, se li è dovuti sudare: “Il primo anno a New York mi hanno rapinato con una pistola, sono stata violentata sul tetto di un edificio e il mio appartamento è stato svaligiato tre volte. Per vivere ho posato nuda per i corsi d’arte”. Concludendo: “Rischiare, per me, è la norma”.

“Nessuna radio passerà mai i vostri 6 minuti di canzone” disse Ray Foster, capo della Emi, ai Queen che per il primo singolo da ‘A night at the opera’ (1975) si impuntarono su ‘Bohemian Rhapsody’ (poi numero uno). “Questo artista non ha futuro”, disse il capo della Cbs francese di Umberto Tozzi. “Nella musica non combinerai mai nulla” fu uno dei primi incoraggiamenti ricevuti dal giovane Claudio Baglioni, chiamato al tempo ‘Agonia’. Il pop italico ha una buona storia anche in Tiziano Ferro, uno al quale sino all’anno 2000 tutti avevano chiuso le porte in faccia. “Nel momento peggiore – raccontava alla ‘Regione’ nel 2015 – Mara (Maionchi, ndr) mi spedì a Padova a scrivere per altri, come diversivo. Lì conobbi Michele Canova”. E così ‘Perdono’, fatta uscire dalla porta di ogni major, rientrò dalla relativa finestra.

“La perseveranza è a mio parere il segreto di tutti i grandi che ho avuto la fortuna d’incontrare”, sostiene Jacky Marti, patron di Estival Jazz. Dev’essere quella che ha permesso a Louis Armstrong, nipote di schiavi, all’orfana Ella Fitzgerald, un’infanzia in mezzo alla feccia newyorkese, a Elvis Presley, figlio della Grande depressione, di diventare qualcuno. Tutte storie di chi non ha avuto un padre così facoltoso da girare per negozi acquistando quante più copie possibile dei dischi del figlio, così che ne venissero stampate altre (è successo nel Nord Italia nei primi anni 80. E anche questa si può chiamare perseveranza).

Insomma a fare la differenza tra chi ha la stoffa della ‘star’ e chi naufraga in un mare di porte chiuse è forse anche quella che in psicologia si chiama resilienza: la capacità di resistere, di far fronte ai traumi in modo positivo, ossia trasformando le circostanze avverse in sfide. È un ottimo compagno di viaggio, un modo di prendere la vita, scrollandosi di dosso i panni di vittima e dandosi da fare per trasformare le delusioni e le ferite in affermazioni di sé stessi.

Tutto ciò sembra preservare alcuni da depressioni e dagli strascichi di una serie di momenti no. Anche in musica, chi fa la gavetta e sa rialzarsi, anche più volte, senza perdere il sorriso rischia di farcela.

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