Ticino7

Venghino siori, venghino: il circo discusso con Rocco Tanica

La genesi del 'Circo discutibile', interamente scritta per Elio e le Storie Tese, a 25 anni dalla morte di Fellini (attenzione, contiene materiale inedito)

Rocco Tanica a Barolo, giugno 2018 (foto Riccardo Medana)
13 ottobre 2018
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Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

All’inizio di questo articolo la tentazione è quella di usare queste due pagine per metterci il testo di una canzone e basta. Come un’installazione artistica, metà per lato, nero su fondo bianco, font 'Cordel Circo', free use (meglio se con piccola donazione). Poi, la memoria a breve produce ricordi del mare d’inverno. «A proposito, per caso hai avuto modo di ascoltare la traccia due?». Non ancora, mi devo ripulire le orecchie. «Ecco, quando l’hai sentita fammi sapere cosa ne pensi…».

La traccia due è 'Il circo discutibile'. In febbraio, ascoltata venendo via da Sanremo, ci si accorgeva che la varia umanità incontrata durante i giorni del Festival non era poi così distante dal “circo di sticazzi” di cui si parla nel brano. Rocco Tanica l'avevamo lasciato lì, in riva al mare a raccontarci aneddoti di musica vissuta e a consigliarci, ma solo alla fine, l’ascolto di una cosa che poteva essere stata scritta solo da lui. In pieno luglio, ‘Il circo discutibile’ pare ancora la quadratura del cerchio, l’addio più addio di ‘Arrivedorci’, che lì il groppone in gola te lo devi sudare. L’avessero portata in gara, ‘Il circo discutibile’, Elio e le Storie Tese avrebbero vinto il Premio della Critica Mia Martini. Davanti a Ron, almeno questa volta. «Credo anch’io», dice il Tanica di luglio. «Almeno un premietto piccolo, tipo “Ragazzi in gambissima”. Ron peraltro meritava il podio, occupato dal duo Meta-Moro violando il regolamento».

L’ultimo Rocco Tanica svizzero è quello che a ‘Storie’, Rsi, raccontava la voglia di farla finita, vittima di una parabola di vita divenuta il volo di un parapendista senza vela. L’umana fragilità sembra il motore del ‘Circo discutibile’. E invece no. «Quella storia non c’entra molto. La canzone è un misto di pensieri liberamente associati – grazie, benzodiazepine! – e di “tecnica”. Conosco la relazione fra i suoni e gli stati d’animo, mi riesce facile costruire ad arte passaggi “coinvolgenti” senza essere necessariamente coinvolto. Ma se devo trovare un parallelo tra i momenti neri che ho vissuto qualche anno fa e la mia vita in questi giorni dico che Il Circo, oggi, è l’autobiografia di una persona serena». Una persona che, appunto, non lo cambierebbe “per nulla al mondo questo circo del miracolo”.

La depressione del ‘Tastiere’ ha rotto una generale riservatezza sul privato di Elio e le Storie Tese, del quale soltanto ‘Ritmo sbilenco’, il ‘filmino’, mostra fogliesche storie di tutti i giorni. Quasi che parlarne, della depressione, sia stato parte della cura. «Parte della convalescenza. Durante la bufera parlavo per ore alle persone che mi erano rimaste vicine, ma non ascoltavo. I primi buoni risultati sono arrivati solo dopo che il quadro clinico è migliorato grazie ai farmaci. Il sollievo generato dall’affetto dei miei cari è stato un effetto sul lunghissimo periodo, certo non una conquista immediata».

Il Gran Bugiardo

In coda al brano c’è un monologo di Federico Fellini, che sta al circo come Sergio Conforti a tutti i suoi alias, a partire da Rocco Tanica, che questa canzone la scrisse nel 2011 non per sé, ma per noto showman televisivo (che declinò l’invito). La presenza del Maestro non è esattamente una visione mistica, ma piuttosto «la poco romantica “tecnica”», spiega il Conforti. «La canzone in sé è breve, serviva un diversivo, un piccolo regalo per chi l’avesse ascoltata fin lì. Registrando la versione per Fiorello stavo cercando frammenti de ‘La Strada’ per ascoltare la musica di Nino Rota sulle immagini e rubargli qualche nota. Di video in video sono capitato sul documentario ‘Sono un gran bugiardo’ di Damian Pettigrew; ho fatto partire un frammento a caso e non ho avuto dubbi, quello era il momento conclusivo della canzone. C’era tutto, il cinismo, la malinconia senza rimpianto, lo humour amarognolo del Maestro. Nel 2017 abbiamo chiesto a Pettigrew l’autorizzazione all’utilizzo e lui ha detto sì».

Il Gran Bugiardo disse un giorno che “il cinema è come una vecchia puttana, come il circo e il varietà, e sa come dare molte forme di piacere”. Si può cambiare “cinema” con “musica”, Sergio? «Sì, è perfetto. Per inciso trovo che “cinema” si possa cambiare con “musica”, ma il cambio perfetto è con “puttana”». Nella non più realizzabile idea di affidare a Fellini un videoclip degli Elii, ‘Il Tastiere’ avrebbe optato per «’La Saga di Addolorato’, ne sarebbe uscito un mini-film interessante. Essendo Fellini mancato nel 1993 non avremmo avuto molta scelta (c’era ancora poco repertorio). Giulietta Masina avrebbe potuto interpretarne l’anziana madre».

Quella volta negli anni 90 (feat. Michael Bolton)

Da qualche anno si è sparsa la voce di un “libro” («faccio il segno delle virgolette»). Si chiamerà ‘L’inguine all’astice’, ‘Sottaceti Sottaciuti’, “ma non sottovalutiamo ‘Libro’: titolo corto, ficcante, memorabile” diceva mesi fa Il Tastiere alla 'Regione'. Sarà l’autobiografia che ci priverà dell’essere stati un giorno – previa richiesta scritta – il biografo di Sergio Conforti in arte Rocco Tanica per il solo piacere di farsi raccontare di persona cose come «quella volta negli anni ’90 in cui Tutto, mensile di Sorrisi e Canzoni, mi chiede di intervistare Michael Bolton, all’epoca quasi sconosciuto in Italia; qualcuno in redazione sa che mi aggrada e si convince che uno degli EelST che chiede cose all’americanone sia motivo di interesse per i lettori. Se lo dite voi. Accetto.

Fervono i preparativi per la trasferta a Zurigo, l’incontro privato con il Bolton, il concerto, la festa del dopo-spettacolo e tutte le cosine a posto. Solo che a ridosso della data mi trovo stritolato da una scadenza-capestro, il famoso impegno precedentemente assunto. Andare a Zurigo diventa improponibile se non a costo di inenarrabili casini con l’universo mondo. Con quelli di Tutto – non proprio convinti in verità – ci inventiamo che mi sono rotto una gamba e viaggiare mi è impossibile, dovremo fare al telefono. I michaelbòltoni sono un po’ contrariati, ma tant’è. Qualche giorno dopo ho una piacevole conversazione interurbana con l’affabile Michael, tanto affabile che congedandomi dice: “Ti aspetto al prossimo show, allora!”. Io: «Certo!». Lui: “Ben saldo sulle tue gambe, mi raccomando!”. Io: «In che senso?» (mi sono completamente dimenticato della balla della frattura). “…Beh, nel senso che ora hai il gesso ma presto non lo avrai più”. Io: pausa lunga. Poi: «Ma cerrrrrrrto!, la frattura! Scusa – ah ah! – è che ormai ci ho fatto quasi l’abitudine e quasi non ci penso, ah ah!». Michael Bolton: “Mmh, okay”. Insomma è vero che le bugie hanno le gambe (rotte) corte».

Nella memoria di un Nokia con lo schermino piccolo

Il Tanica che, al contrario del Califano, aveva escluso il ritorno è tornato a Barolo per il Concerto d’addio, ma non sa dire com’è andata: «Forse devo elaborare il lutto. Suonare sul palco è stato piacevole, ma mi ha fatto ricordare tutti i motivi per cui a suo tempo avevo appeso i tasti al chiodo. E ho capito che erano ottimi motivi. Canzone esemplificativa, ‘Nessun Dolore’ nella versione di Giorgia». Il funerale degli Elii adesso è compiuto. Anche la tumulazione. Restano la resurrezione e, male che vada, la reincarnazione. «Se mai dovessi tornare, vorrei tornare in qualità di Fedez, farmi dare dagli sponsor tutti i soldi che hanno, chiudere la carriera con una buona pizza e comprarmi una casa a Sonning, Berkshire, vicino a George Clooney e signora. Solo per la soddisfazione, quando vengono a chiedermi il sale, di dir loro: “Eye, that makes come the high pressure” (“Occhio, che fa venire la pressione alta”). E quando mi guardano con quegli occhioni smarriti abbracciarli in silenzio sussurrando: “Shhh, all will go well” (“Shhh, tutto andrà bene”)».

L’idea del testo e niente più continua a non essere male. Resta il rischio che aprendo il giornale le due pagine semivuote sembrino l'inserzione a pagamento per i 100 anni di Nonna Erminia alla quale si stringono la figlia Anna e il genero Armando. Per spiegare com’è nato questo ‘Circo discutibile’, forse, si potrebbe lasciare la tastiera a Tanica (quale ovvietà) e trovarsi un posto nel buio del tendone con una nuvola di zucchero filato nelle mani. Che alla fine del suo numero, le mani, saranno appiccicose, ma a staccarle ci penserà l'applauso: «York, Gran Bretagna, agosto 2011. Nottataccia di pensieracci, tipo tutti mi odiano, la CIA mi spia [cit. Eugenio Finardi], c’è un complotto internazionale per internarmi (un po’ qui e un po’ là). Faccio l’alba pensando a sparire come l’avvocato alla fine di Breaking Bad (che nel 2011 è ancora a metà saga, ma io prevedo). Opto per un rimedio meno drastico, il Lexotan dell’elvetica Roche. Ehi, fa effetto. Mi tranquillizzo. Forse non mi odiano tutti ma solo la metà; la CIA si limita a guardarmi di sottecchi e l’internamento sarà in day-hospital. Quasi quasi dormo. Mi sovviene che Fiorello mi ha chiesto di scrivere una canzone per lui. Anzi due. Una ce l’ho già, si chiama “Amore amorissimo” ed è un finto inedito di Domenico Modugno periodo metà anni ’70, basetta e camicia aperta. L’altra la scrive il Lexotan. Essendo l’alba, trovandomi a letto nonostante le ambasce e non avendo carta e penna a portata di mano, la trascrivo verso per verso sul telefono e mi mando degli sms. Un messaggio un verso, seguito dalle note corrispondenti alle sillabe: mi fa# si la la la la la la la la sol# fa# mi re do# mi mi. Quando il Lexotan finisce l’ispirazione mi saluto e buonanotte buongiorno. Il giorno dopo rileggo gli sms e l’insieme non è male. Mi sono pure passate le manie. Forse la canzone era come il dirigibile marrone, doveva trovare l’uscita perché mi passasse il mal di pancia. Quando la registro e la mando a Fiorello mi risponde che è troppa roba (“Questa se la faccio io mi menano”). Non sono d’accordo, ma il cantante è lui. Il circo rimane nella memoria di un Nokia con lo schermino piccolo. Nel 2017 Claudio Dentes alias Otar Bolivecic, produttore degli EelST, mi ricorda che esiste. Ah è vero, quella del circo. Eccetera».

 

 

Appendice

‘Canzone per bambini’, di Rocco Tanica

Prima degli Elio e le Storie Tese ho avuto una carriera solista nella canzone per bambini. È durata poco, facciamo mezzo pomeriggio più cinque minuti ma ragazzi, quelli erano tempi. Nel 1968 la protesta studentesca montava; tutti, giustamente, volevano i voti alti – minimo il 9 o il magna cum laude – anche se non avevano studiato. Canoramente parlando, l’aria del cambiamento soffiava anche in provincia di Imperia; Al Festival di Sanremo, Gianni Pettenati e Antoine cantavano parole dure come pietre:

Da quando il giorno non è più il giorno, da quando il sole non è più il sole
Da quando l'alba si è fatta strana ho perduto la tramontana
Da quando il vento mi ha sussurrato che lei va in giro col carrarmato
Da quando ho visto che fai l'indiana ho perduto la tramontana
L'ho perduta seguendo lei
(La Tramontana, di Daniele Pace – Mario Panzeri)

Dovranno passare altri due anni prima che un tema forte come quello del proletariato che chiava venga affrontato con la credibilità di un Adriano Celentano featuring Claudia Mori.

Se non sciopero mi picchiano. Se sciopero mia moglie dice:
“Chi non lavora non fa l'amore!”
Dammi l'aumento signor padrone,
così vedrai che in casa tua e in ogni casa entra l'amore.
(Chi Non Lavora Non Fa l’Amore, di Adriano Celentano – Luciano Beretta – Miki Del Prete)

Ma torniamo al 1968, e ad una bambina brava e bella che alla 10° edizione dello Zecchino d’Oro si piazza al terzo posto dietro le eterne rivali Barbara Ferigo e Daniela Ruiu. È la mia futura collega Cristina D’Avena con il ballabile Valzer del Moscerino. Presenza, stile, voce sicura appena venata di una malinconia R&B che a tratti può ricordare Shirley Bassey a quattro anni. Era stata una bella edizione quella, con un Mago Zurlì in grande forma ed una Mariele Ventre, direttrice del coro, sempre sorridente e spiritata. Di quello Zecchino sapevo a memoria anche Quarantaquattro Gatti, Il Topo Zorro, Il Torero Camomillo, Sitting Bull, Tinta e Ghiri. Degli Zecchini precedenti salvavo Popoff e la coraggiosa Per Un Ditino Nel Telefono, che costituisce un monumento alla memoria telefonica dell’epoca. Volete conoscere i numeri utili del ’68?

117 e son corsi tre tassì, 186 un telegramma è giunto qui
777 arrivò la polizia e invadendo casa mia
Portò via il mio papà
Per un ditino nel telefono ne son successe delle belle
Per un ditino nel telefono sono successi tanti guai
114 e la sveglia ci arrivò, 182 il centralino ci chiamò
6220 arrivò un carabiniere che ci mise le manette
E in prigione ci portò
(Per Un Ditino Nel Telefono, di Luciano Beretta e Adriano Della Giustina)

Questa cosa dell’arresto mi turbava, ma le forze dell’ordine facevano solo il loro dovere.

Il Valzer Del Moscerino lo cantavo come si deve, col vocino e le manine dietro la schiena. Era tutto molto gay: una montagna di muscoli superdotata di 5 anni (io) tesse le lodi di un insetto che vola sul naso di tale Beppone, il quale dorme della grossa e sogna piume, fiocchi di neve e petali rosa caduti dal ciel. Il brano era un buon espediente per intrattenere i parenti e ottenere regalie;  e prima che iniziassi a vergognarmi della mia voce (verso gli otto-nove anni, dopo essermi riascoltato in una registrazione) lo eseguivo volentieri.

Un giorno del 1971, fra gli avvisi al termine della messa, don Gallo (non quello) legge: audizioni “per il concorso canoro Zecchino d’Oro” si terranno a giorni presso il teatro dell’oratorio salesiano S. Agostino. Eccomi insieme ad un un centinaio di mini-colleghi e madri trepide come Anna Magnani in Bellissima. Siamo due compagni di gita, mia mamma e io, che non si filano tutto quel movimento; lei legge e io ripasso la canzone. I cantanti vengono fatti esibire a sipario chiuso per non intimidirli (lo trovo civile e sensato, anche i concerti dovrebbero essere così). Sul palco, di fronte al candidato, sono in tre: quella che ti dà il benvenuto e poi tace e scrive, quello che ascolta e dice bravo a tutti, il maestro al pianoforte. Tocca a me, mi si secca la gola come dopo aver mangiato la sabbia del gatto[1] e mi trema la voce. Però faccio il mio, canto decente e buonanotte al secchio. Mi interrompono prima del secondo ùllalla ùllalla ùllallallà. Grazie, torna pure con gli altri. Scendo ma non so se vuol dire bravissimo ci basta oppure che non gli sono arrivato (hai visto mai che non ho comunicato il travaglio di Beppone?). 
Grazie a tutti, vi faremo sapere. Anch’io vi farò sapere, penso; non vi ho ancora scelti, ricordatevi che esiste anche l’Ambrogino d’Oro. 
Qualche giorno dopo arriva la fatidica telefonata: riceveremo la visita di due incaricati dell’Antoniano di Bologna (i mitologici preti dello Zecchino!) che ci illustreranno le modalità delle fasi successive.

[1] E infatti l’avevo mangiata. Era il doping dei bambini degli anni ’70, ti rendeva più performante.

Ormai era fatta. Mi sentivo una cerbiatta in un vortice di sensazioni, premonizioni e altre cose che finiscono per “nizioni”, come “disibinizioni”. Già sentivo mie: la limousine a pedali (pedala l’autista), la piscinetta gonfiabile un po’ grossa (10, che dico, 20 litri!), le coetanee groupie che basta che fai un sorrisino e ti portano un ghiacciolo. Aeroplanini privati di carta, Nutella illimitata, doppia paghetta e voglio le royalties!
Mi servirà un agente?
Un signore e una signora sono al tavolo con mamma e papà. Caffè, convenevoli, io autorizzato a rimanere. E per Sergino sono complimenti, “ha cantato bene e ha stupito tutti da quanto è intonato [gli ero arrivato, n.d.a.]. All’inizio era incerto [la sabbia del gatto, n.d.a.], ma poi che polmoncini!”. Tutti sorridono compiaciuti. Io penso alla figa. Non è vero, ma scriverlo serve a strizzare l’occhio al lettore più depravato.
“Ora!” dice l’incaricato, ma suona più come “Pertanto!”, e precisa una cosa.
Da quello che capisco, l’Antoniano nel suo insieme ed il prossimo Zecchino d’Oro non possono prescindere dalla mia presenza. Ma è altrettanto vero che molti altri bambini hanno fatto una buona audizione. Quindi! – forse – l’acquisto di un certa enciclopedia in dodici volumi e comode rate potrebbe aiutare. È un’opera completa, ideale per Sergio che sta crescendo e figuriamoci suo fratello che va per i nove, vero signora?

Intanto: sarò anche piccolo ma mi sta sul cazzo che degli sconosciuti mi chiamino per nome come se si fosse mai giocato insieme ai giardinetti. E la mia ostilità trae sostanza da quella richiesta – così velata e camorrista al tempo stesso – di cui ho afferrato il senso. I miei genitori hanno la faccia movimentata da un’espressione che conosco: è l’indignazione di fronte a tutto ciò che è palesemente storto e fetente; al contempo mostrano riguardo per l’ospite chiunque sia. Così mio papà sfoggia la sua leggendaria piegolina all’ingiù dell’angolo della bocca, mia mamma è cordiale ma credetemi, mica troppo. Mamma: “Quindi: se non compro l’enciclopedia lui non va allo Zecchino d’Oro, giusto?”. Incaricato: “No, certo che no! L’enciclopedia è una sorta di corsia preferenziale, ma quando uno è bravo è bravo, ne terremo senz’altro conto!”. Incaricata: “Sì!”. Mio papà (alzandosi e sorridendo come uno che sta per darti una testata ma tu ringrazia che non te la dà): “Bene, allora ci vediamo a Bologna. Via Carlo Farini 1 se non erro”. Gli incaricati sono già fuori dal cancello. Gli è sfuggito il riferimento all’indirizzo (che è quello del tribunale), ma forse no. Sicuramente è sfuggito a me, mi verrà spiegato anni dopo. Mamma e papà mi chiedono se mi spiace non andare allo Zecchino d’Oro. Io rispondo che no, ed è vero. Mi secca rinunciare a tutti i vantaggi del successo ma lo spiacevole episodio non ha minato né le mie aspettative positive nei riguardi della competizione né la stima per l’Antoniano di Bologna, che certo non sa nulla di loschi maneggi e ci scommetterei anche una noce.

Fine

'Canta, bambino canta' (La7)

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