Culture

Paul Simon dance, ovvero come fare a pezzi 'Graceland'

Tutte le accuse di colonialismo ricevute nell'86, anno del capolavoro, sono superate: nei 'Remixes', purtroppo, non c'è traccia di africano

(Così mi uccidi l'Africa (cit.))
8 agosto 2018
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Privare ‘Homeless’ dei Ladysmith Black Mambazo, gruppo corale che è la canzone stessa, è un oltraggio alle trombe di Eustachio; ridurre il tema di fiati e synth di ‘You can call me Al’ a 20 miseri secondi è un furto; togliere la voce di Linda Ronstadt da ‘Under african skies’ è una sventura quanto il morbo di Parkinson che alla 72enne cantante americana non permette più di intonare una sola nota da anni. Passi la title-tack, che ha il sapore delle notti di Ibiza (ma sembra il lato B di ‘Amore e Capoeira’), è sul remix di ‘Diamonds on the soles of her shoes’ che si vorrebbe avere qualcuno da prendere simbolicamente a schiaffi a nome di tutti. Anche a nome del popolo africano. Anche non simbolicamente.

In barba al moderno concetto che se una cosa è bella lo decide l’ascoltatore e non il giornale (detto anche ‘Legge del televoto’), diremo ugualmente che ‘Graceland’ remixato dai produttori di dance è una vera schifezza, un ‘Orrore a 33 giri’ (così lo chiamerebbero quelli dell’omonimo tempio del trash) al quale deve evidentemente aver acconsentito in primis il suo autore. L’assurdità di questa revisione fa passare in secondo piano tutte le critiche poste all’originale ai tempi della sua realizzazione. Per quel ‘Graceland’, infatti, si rinfacciò a Paul Simon l’aver infranto il boicottaggio anti-apartheid in Sud Africa servendosi di musicisti del posto, di avere agito da colonialista, portandosi a casa le sessions dei neri per aggiungervi le parti dei bianchi. E altro ancora.

Realizzato tra l’ottobre dell’85 e il giugno dell’86, quel ‘Graceland’ ha probabilmente fatto per la musica africana più dei movimenti anti-apartheid, ma ogni ulteriore discorso in questo senso, con i ‘Remixes’, è superato: perché dei musicisti africani, qui, non c’è una sola nota. Di nero c’è al massimo la versione in vinile; e la copertina è così vicina all’originale che chi dovesse farsi catturare dall’avvenenza della grafica, di quel ‘Graceland’ avrebbe una visione distorta. Siano benedette le app grazie alle quali prima si ascolta un album e poi si decide se buttare via 13 franchi e 99 centesimi per la copia fisica, oppure lasciarla marcire nel negozio di dischi – pardon – al supermercato, nel settore che sta tra gli articoli per la casa e quelli per l’auto. A proposito di articoli per l’auto, perché di questo disco non c’è altro da dire: questo mese gli Arbre magique sono scontati (sempre che piaccia l’aroma “lavanda”).

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