Letteratura

Lin Shu, Chen Jalin e il cavaliere magico

Il settantenne cinese ha tradotto (o riscritto) 180 libri della tradizione letteraria europea, fra cui il Don Chisciotte insieme al suo collaboratore

Il Chisciotte di Daumier
(©Wikimedia)

Intendevo scrivere della prima traduzione italiana del Don Chisciotte, di Lorenzo Franciosini, che compie quattro secoli quest’anno, ma mi imbatto nella prima cinese che ne compie cento.

Pechino 1922. Un giorno a caso di tale anno, tardo pomeriggio, interno di casa della classe media o medio-bassa, trattandosi di un letterato. Due uomini a un tavolo, uno con carta e penna, l’altro davanti a un libro. L’uomo che legge è molto più giovane, l’altro ha 70 anni e sono amici. Quando il giovane legge, in mandarino colloquiale, l’altro ascolta e scrive, in mandarino classico. Quel libro è il Don Chisciotte ed è in inglese, sicché il giovane non legge ma traduce. Nessuno dei due conosce lo spagnolo.

Solo il cinese

Siamo a Novecento inoltrato ma le traduzioni si fanno con gli strumenti che si hanno, quali che siano, o che non si hanno. E non solo perché siamo nella Cina che da poco si apre all’Europa. Anche per la via inversa, oriente-occidente, spesso il tramite era una terza lingua, inglese, francese. Lin Shu, il settantenne, ha cominciato a tradurre più di vent’anni prima favorito da una circostanza: ignora ogni lingua salvo il cinese. La conoscenza del francese o del tedesco gli avrebbe reso possibile tradurre da quelle due lingue. Così invece può tradurle tutte, basta trovare un collaboratore. Si potrebbe continuare seguendo una delle due vie che il racconto dischiude: la umoristica, surreale, e quella reale e seria. La prima è la più allettante, dal nostro Novecento finito da più di vent’anni, specializzato e disinfettato anche nel portare da una lingua all’altra un romanzo. Ma allora nessuno si lamentava, e molti non si accorgevano, se dal Don Chisciotte si toglieva un episodio e se ne aggiungevano altri, si tirava dritto sui dubbi travolgendoli con risolute supposizioni.

Parallelismi

Imbocchiamo per qualche secondo la via seria della vicenda. Nell’aprile del 2021, anticipando un poco il centenario, una sinologa dell’università di Granada, Alicia Relinque, ha ritradotto la Biografia del cavaliere incantato di Cervantes-Lin Shu-Chen Jalin, pubblicando il risultato in Spagna, Latinoamerica e Cina. L’editore cinese è The Commercial Press, lo stesso di quella prima versione di un secolo fa, e pubblica il testo nelle due lingue.

Chi volesse scrivere un racconto sui due amici traduttori, forse partirebbe dal confronto tra Lin Shu e Don Chisciotte, tra Chen Jalin e Sancio. In ogni successivo lavoro con il collaboratore di turno, è certo che Don Chisciotte sia sempre Lin Shu. È lui il punto fisso ed è lui quindi (quasi) da solo che ha aperto nella Cina una finestra sull’Europa grande come i 180 libri che ha tradotto o riscritto. Con il suo stile tradizionale che faceva storcere il naso ai giovani letterati, ha ringiovanito la cultura cinese con una ventennale ventata di letteratura europea: Dumas e Tolstoj, Dickens, Defoe, Goethe sono solo pochi nomi. Uno che si mette in tale impresa, casualmente – resta vedovo e un amico gli suggerisce di tradurre ‘La signora delle camelie’, per alleviare la malinconia, e la lingua non è un ostacolo, lo aiuterà lui – e poi va avanti, umilmente, è giusto che sia preso molto sul serio e che susciti la simpatia e l’invidia che questo genere di follia suscita.

Riscritture

Chi volesse scrivere quel racconto, dicevamo, potrebbe rifarsi nella mente quella stanza di casa cinese del 1922. Più sarà precisa la ricostruzione, più lieviterà surrealmente il resto. Lin Shu che ascolta ma non scrive: è un episodio che si può lasciar perdere. Troppo distante dalla cultura cinese, il lettore non comprenderebbe. Oppure lui scrive e scrive e l’altro non legge. Jalin approfitta della pausa (sua) per scaldarsi le mani e la gola sorbendosi il suo saké: Lin Shu intanto inventa, infila Don Chisciotte in un’avventura inedita che sorprende perfino lui, il Cavaliere dalla Triste Figura. (La ri-traduttrice dice che il primo Don Chisciotte cinese risulta meno grottesco e più dignitoso. Assume tratti confuciani, che non contrastano con il personaggio).

Un tavolo e tre sedie, due delle quali occupate, un libro e due bicchieri, carta (su cosa si scriveva nella Pechino degli anni Venti?) e pennino. Un lume acceso, perché inizia il tramonto. In quattro ore si possono scrivere seimila parole, dirà Lin Shu tutto contento; chi sa se ha fatto il conto del lavoro di un giorno o di mezza giornata. Su un altro tavolo più basso pochi libri. E nessun dizionario. Non si nominano dizionari nelle fonti che ho visitato per ricostruire il lavoro ispano-anglo-cinese dei due amici. E la fascinazione per la coppia aumenta. Ho provato a immaginare poche ore del loro lavoro. Ma il Don Chisciotte è lungo quasi mille pagine.

Com’è facile tradurre. Si vede da come ci si intende tra due parlanti di due lingue lontane tra loro. Quando uno poi è un letterato e non parla ma scrive, con il tempo per riflettere. Quando poi i letterati sono due…

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