Microcosmi

Transiti undici e dodici

Dalla Val Ceresio a Varese, indugiando nei Mulini Grassi e nei quartieri storici; approdiamo infine alla Galleria Ghiggini

‘L’anima dentro l’acqua’
(© Ghiggini)
18 luglio 2022
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Un pomeriggio di qualche anno fa, due amici fraterni, Adriana e Alfeo, seduti vicino a me ascoltavano un autore che presentava un libro di racconti. Eravamo alla Galleria Ghiggini, a Varese. Ci sono tornato oggi. Chi torna sa che qualche voce se ne è andata, ma basta che un bambino tagli all’improvviso la strada, distraendoti, perché queste risuonino ancora dentro un frammento di te, risvegliato. Riprendo così qualche verso di Tomas Tranströmer, mentre da un muretto rosso esce veloce una lucertola. "Ci muoviamo su una strada, / fra uomini, / nel calore solare. /Ma altrettanti che non vediamo / o forse più / stanno dietro oscuri edifici / che si levano da entrambi i lati/ A volte uno di loro si avvicina alla finestra / e getta uno sguardo in basso verso di noi".

Undici

Per andare a Varese passo dalla Val Ceresio, fino ad arrivare alla rotonda di Induno Olona. Qui, prendo una piccola discesa e dopo cento metri sulla destra ecco l’antico birrificio in stile Liberty, ‘Angelo Poretti’. Proseguendo, imbocco via dei Mulini Grassi che ricorda l’attività di macinazione diffusa sul corso del fiume Olona; dei tornanti ripidi, la cappella votiva, il cimitero, conducono al quartiere Sant’Ambrogio, alle pendici del Sacro Monte. Come altri quartieri di Varese troviamo diverse ville d’epoca, in particolare colpisce ‘Villa Toeplitz’, quattro ettari di parco, serre, il Museo etno-archeologico, Castiglioni. Nel nucleo, vicoli in sasso, cortili, case con balconi fioriti, per poi arrivare sulla piazza Milite Ignoto, alberata e con panchine. Salendo qualche gradino entro nel dehors dello storico circolo per un caffè. Più volte attraverso una delle stradine del nucleo osservando una casa d’angolo, primi ’900, abbandonata; il giardino in questa stagione trabocca di piante e fusti verdi, formando un tappeto che sembra tenere con sé le persone che hanno vissuto qui, per cui viene spontaneo allungare lo sguardo sul portone d’entrata, con intarsi in legno e un vetro opaco. Si partecipa a un tempo dove nessuna parola esiste, lontano da tutto e da tutti. Eppure, nel momento in cui i rumori sembrano attutiti, respinti dalle mura esterne, possiamo immaginare che l’abbandono della casa sia anche la sua forza. Non sento l’impulso a chiedere chi fosse qui, prima, qualcosa si annuncia sempre, come fa il silenzio se viene da un’assenza, da tutti gli odori animali, vegetali, di specie. Il corpo è una sola cosa con gli alberi di questo giardino, dimora, germoglio di piccole esistenze.

Dodici

Sul balcone di via Albuzzi 17, sede della ‘Galleria Ghiggini’ di Varese, dal 1822 al servizio dell’arte, incontro Eileen Ghiggini, che rappresenta oggi l’esperienza storica di una famiglia di decoratori, inverniciatori, corniciai. Da piazza delle Oche a qui, nel cuore della città, un percorso di artigianato artistico che dagli anni 70 trova una sua evoluzione nel progetto di Emilio Ghiggini, padre di Eileen. Cosa prova, sporgendosi sul fronte di questo tempo lungo? «Penso a un gran traguardo, ottenuto tenendo fede al nostro passato che era già segno di una forma artistica, un lavoro di belle arti. Lo leggiamo in una cronaca dell’epoca che parla del fondatore, Eugenio Ghiggini».

La vostra, una presenza visibile, continua. «Ci siamo spostati da piazza delle Oche a via Broggi, Corso Matteotti, fino a questa casa con le sue decorazioni. Pensavo che i duecento anni dovessero essere sottolineati per il lavoro fatto, così abbiamo prodotto un video per comunicare una presenza storica attiva nel presente».

L’idea di creare una galleria? «Si deve all’interesse che mio padre ha sempre avuto per l’arte, vissuto all’inizio nella galleria di via Sant’Andrea, a Milano. Da lì, un nuovo passo. Torna a Varese e come dice nel video stravolge l’attività, un cambio generazionale, mantenendo però viva quella legata al negozio di cornici del nonno Achille, anche lui appassionato d’arte».

L’orientamento? «Tenere i contatti che aveva a Milano con gli artisti, portarli a Varese, allora una novità, approfondendo i fermenti dell’arte concettuale, minimale, l’oggettistica d’arte». Come vive il suo ruolo? «Ne sono orgogliosa e allo stesso tempo intimorita. Non voglio dimenticare le scelte fatte in passato, ma il desiderio è quello di mettere la mia impronta, ad esempio nell’impegno verso giovani artisti».

I criteri? «L’attenzione per chi sviluppa una ricerca, dentro un percorso costruito insieme; quando ci si parla nascono affinità, si riflette con naturalezza". Mi diceva dei giovani. «Abbiamo dato il via al premio ‘Ghiggini Arte’, dal 2001 al 2016, un concorso impegnativo dedicato a giovani che per buona parte venivano dall’Accademia di Brera, valutati da una giuria qualificata. Una sfida, arrivando a cento iscritti e il vincitore di ogni edizione aveva diritto a una personale in galleria. Tutto questo mi ha fatto crescere, soprattutto nell’organizzare una mostra, produrla».

Quante ne ha realizzate in un anno? «Una volta quasi una al mese, anni intensi; ora ho ridotto drasticamente. Quattro all’anno, di solito per come le ho pensate apriamo con una collettiva che inizia già a dicembre e si porta a gennaio; a seguire, due prima dell’estate e due dopo».

Con che spirito affronta una mostra? «Credo molto nella progettualità, organizzare per tempo, ragionare, lasciando all’artista anche la sua libertà. Porto avanti questa linea e l’allestimento è frutto di un dialogo, cercando di omaggiare lo spazio».

Nell’area espositiva ho visto il progetto fotografico ‘Body Architecture’, realizzato da Debora Barnaba, insieme al visual artist torinese Michele Liuzzi e dal prossimo 9 luglio, fino al sei agosto 2022, la mostra collettiva, ‘ESTATE’ (www.ghiggini.com). Lo spazio della galleria trasmette serenità. «È uno spazio aperto a laboratori artistici e anche ad altre discipline, penso a Mario Chiodetti, pubblicista, che ha portato in galleria i maestri di Pavarotti».

L’artista a cui è legata in modo particolare? «Federico Romero Bayter, colombiano, alle spalle vede un suo lavoro; con lui si è creato un rapporto sincero, di grande disponibilità».

Eileen, che ama i cavalli, parlando della sua esperienza esprime l’idea di avventura e sentiamo questo nel fluire delle sue parole, attente, aperte alla scoperta. Il padre, con il figlio Giacomo, agronomo, segue con passione una casa di famiglia a Cunardo. Ci sono cavalli, un terreno coltivato a mirtilli, l’orto, la vigna di Merlot, mucche Highlander e un pollaio. Tra i molti e conosciuti artisti, Emilio Ghiggini ha avuto un legame profondo con Gottardo Ortelli, pittore nato a Viggiù. Lo ricordiamo, prima di lasciarci.

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