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Le nature di Jean e Marguerite Arp e di Fritz Overbeck

Due mostre, alla Fondazione Arp a Solduno e al Castello San Materno di Ascona, per approfondire il rapporto tra arte e vita

Fritz Overbeck Estate II o Giovani bagnanti presso l’Aue 1908
30 agosto 2021
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Due chilometri di distanza, due mostre concise, due artisti lontani e vicini a un tempo: ad accomunarli è lo stesso amore per la natura fonte di vita e di ispirazione, ma che dà poi origine a due percorsi molto diversi nonostante siano coetanei.

Al Ronco dei Fiori la natura è anche realtà fisica che dialoga con il luogo espositivo grazie a un’ampia finestra che dà sul parco sottostante: l’osservatore sposta lo sguardo dalle opere esposte e ne ritrova l’affinità con quelle che vede nel luogo dove vissero Marguerite Hagenbach (1902-1994) e Jean/Hans Arp (1886-1966). I quali, quando si sposarono nel 1959, acquistarono la tenuta Ronco dei Fiori per poi viverci insieme gli ultimi anni del loro connubio. Arp è ormai famoso, da decenni ha individuato la sua cifra in un linguaggio astratto ispirato alle forme e alle leggi che presiedono ai fenomeni naturali: la genesi, la crescita, il deperire delle strutture organiche. Ciò che condurrà poi a una concezione d’arte radicalmente nuova, fondata non più sull’imitazione delle forme, ma sulla assimilazione evolutiva degli stessi processi che – e questo è l’intento della mostra – si rinnovano nel tempo e perdurano anche nel corso degli ultimi suoi anni di vita, quando Arp dimostra ancora un’inesauribile voglia di sperimentare.

In certo qual modo la mostra ci immette nel suo laboratorio privato e consente di assistere al processo creativo basato sulla combinazione sempre variabile di alcune forme precostituite in bilico tra figurazione, astrazione e possibili richiami naturalistici: si tratta di una serie di sagome di carta i cui contorni stilizzati rimandano alla figura umana, spesso femminile, ma anche ad anfibi o anfore. Ma noi ne conosciamo anche l’interna linea di sviluppo: all’inizio è un singolo elemento che spicca sul bianco o sul nero dello sfondo, poi diventano due, tre, si infoltiscono, creano dinamiche, danno vita a strane composizioni. Infine si staccano dal fondo e acquisiscono autonomia: diventano forme tridimensionali, Poupées in bronzo alluminio o vetro, fino a trasformarsi in strane sculture biomorfe in marmo Cristallina di Peccia. Per questo ampio spazio è dedicato alle opere su carta – disegni, dipinti, collage e découpage – e in particolare all’insieme delle Poupées nelle loro diverse declinazioni: dalla Poupée borgne (1963) in bronzo, alla “bambola” in vetro di Murano (1964). Queste sculture – una sorta di commiato da parte di Arp legato anche alla fisicità del territorio ticinese, ai suoi materiali – si staccano da quanto Arp aveva realizzato fino a quel momento e svelano quanto le caratteristiche architettoniche e paesaggistiche del Ronco dei Fiori lo abbiano ispirato.

Poco distante, il Museo Castello San Materno di Ascona accoglie una rassegna dedicata a un importante paesaggista tedesco: Fritz Overbeck (1869-1909). Nato a Brema e formatosi all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, che a quell’epoca aveva un ruolo determinante nello sviluppo della pittura di paesaggio, nel 1894 si trasferisce nella rinomata comunità artistica di Worpswede, luogo isolato e rurale, non lontano dalle rive del mare del Nord, lasciando alle sue spalle la città, luogo di crescente industrializzazione e di forti tensioni sociali, per vivere in un rapporto di armonia con la natura e gli umani. Chi ha seguito le attività museali del borgo capirà le ragioni di questa mostra e non tarderà a trovarvi tutta una serie di fili che legano Ascona e il Monte Verità con Werspede e i suoi artisti, alcuni dei quali presenti pure nella Collezione Alten qui esposta, tra cui Otto Modersohn e sua moglie Paula Modersohn-Becker, oggi considerata un’antesignana dell’espressionismo tedesco, ed è probabilmente la più nota di loro.

In quel piccolo villaggio agreste Fritz Overbeck si lascia assorbire dalla malia del posto, dal fascino dei canali che attraversano la brughiera, dalle vaporosità dei tramonti madidi d’acqua, dai vecchi salici o dai viottoli contornati di betulle, dalle casupole dei contadini con tetti di paglia, ma soprattutto dai giochi di nuvole e di colori che smuovono l’immensità del cielo, dalle ombre lunghe dei notturni rischiarati da una grande luna. Ottimo disegnatore e grande incisore, nella sua pittura egli oscilla tra naturalismo, impressionismo e simbolismo, sembra attenersi al dato di natura ma lo carica non di rado di soffuse sensazioni interiori, capace com’è di rendere “un’atmosfera di campane lontane”, di creare spazi che si perdono all’infinito. È questa varietà di linguaggi ma anche di emozioni, di combinazione di forme e colori a suscitare l’interesse dei collezionisti dell’epoca. “A cosa servirebbero le nostre capanne di paglia, i sentieri tra le betulle, i canali della brughiera, se non avessimo questo cielo che nobilita tutto, anche le cose più insignificanti? […] Questo è il paesaggio al quale mi sento affine”. Così scriveva Overbeck nel 1903 a proposito di Worpswede, ma in mostra trovano spazio anche alcune opere con i paesaggi dell’isola di Sylt e dei dintorni di Davos dove egli ha soggiornato a lungo per stare accanto alla moglie Hermine ricoverata nel sanatorio per via della tubercolosi. Purtroppo tre soli giorni dopo il loro ritorno a casa, carico di speranze, l’8 giugno 1909, Fritz Overbeck muore a causa di un ictus. Sarà la moglie a salvaguardarne l’opera oggi raccolta nell’Overbeck-Museum di Brema.

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