Arte

Christo dal no allo zero

Una riflessione sull'artista morto domenica per andare oltre il feticcio del “celebre artista che impacchettava il mondo”

Christo e Jeanne-Claude di fronte a "Wrapped Oil Barrels", opera del 1958-59 esposta a Berlino nel 2001.(Keystone)

Nel 1968 le edizioni Planète di Parigi pubblicano ‘Les Nouveaux Réalistes: Un manifeste de la nouvelle peinture’ di Pierre Restany, il critico francese che fu mentore e promotore del successo di una schiera di artisti poi diventati famosi e influenti come Yves Klein, Mimmo Rotella, Arman, César e Christo (elenco pochi nomi con un criterio eminentemente sonoro).

Il capitolo uno ha per titolo “dal no allo zero”, il due è “la morte dell’arte” (con un paragrafo che recita “il gesto affettivo è oggettività”), il quattro dice “il battesimo dell’oggetto” e a pagina 57 leggiamo che il denominatore comune degli approcci iscritti al Nouveau Réalisme è “il riconoscimento dell’autonomia espressiva del reale sociologico… ogni frammento oggettivo della realtà ne è dotato… ogni parcella del reale rinchiude in sé una virtualità significante”. L’artista si appropria direttamente della realtà, attraverso un frammento o un aspetto di questa, senza trascrivere o concettualizzare e così l’oggetto “è liberato, raggiunge la propria piena autonomia espressiva. Comincia la vera avventura degli oggetti”. Yves Klein sorpassa tutti e si proietta direttamente nel vuoto, vola, lancia filamenti di oro nella Senna, brevetta il blu puro infinito (o definito tale). Pinocchio ne era stata una anticipazione poetica e aveva beffato Geppetto scappando a fare marachelle e sfuggendo al suo controllo (questo lo aggiungo io).

Una breve parte del libro è dedicata a Christo: il suo “percorso appropriativo è doppio: imballaggio e allineamento”. Con il primo atteggiamento egli “irrealizza curiosamente l’oggetto, rischiando di renderlo un feticcio e ritualizzando il gesto di appropriazione”. Il secondo atteggiamento viene definito “più netto, privo di ambiguità… Il 3 luglio 1962 alle nove di sera la rue Visconti di Parigi, all’altezza di rue de Seine, fu sbarrata a sua cura da un muro di barili”. La nota a piè di pagina precisa che “tutte le precauzioni erano state prese per la salvaguardia dell’ordine pubblico che si turbò da solo”. Poi: “La dimostrazione delle possibilità architettoniche del materiale fu probante: eleganza, articolazioni flessibili, unità nella diversità (ciascun barile avendo la propria specifica morfologia plastica, la matericità e colore determinato dal livello di ossidazione del metallo…)”.

Non riusciamo in questo modo frammentario a ricostruire la poetica di Christo né a contestualizzarla storicamente. Intanto Restany non affianca a Christo Jeanne Claude, la sua compagna e metà della marca che ha occupato una parte consistente del sistema artistico e commerciale. Poi dobbiamo evitare di affiancare in modo riduttivo il lavoro della coppia alla corrente del Nouveau Réalisme. Vi è poi la componente progettuale che si esprime attraverso la produzione di disegni, bozzetti e altri elementi molto importanti nella filiera produttiva.

La citazione della pubblicazione di Restany ci aiuta per intanto però a smarcarci dal feticcio del “celebre artista che impacchettava il mondo” e dal disagio indotto dalle recenti degenerazioni del suo lavoro come la magnifica turlupinatura collettiva realizzata nel 2016 sul lago d’Iseo, battezzata Floating Piers e da alcuni lombardi ribattezzata Fotting pirls.

Christo and Jeanne-Claude è anche una marca, espressione di un modello imprenditoriale significativo, la cui missione d’impresa è di devastare una realtà esistente in modo effimero e riducendo al minimo i danni visibili: i suoi lavori sono eseguiti sempre con grande maestria dalle maestranze bulgare messe all’opera e per individuare i danni prodotti occorre impegnarsi un po’.

Tutto ciò è interessante anche se appartiene, più che alla storia dell’arte, alla storia dell’imprenditoria nel capitalismo commerciale e alla antropologia del comportamento pecoreccio di flotte umane disposte a danneggiarsi per raccontarsi una presunta estasi.

Per tornare alla questione artistica possiamo aggiungere due cose. Confezionando e occultando un oggetto o un monumento o un paesaggio, l’artista lo cancella e annulla, svuota (l’espressione “dal no allo zero” citata da Restany significa “dalla negazione all’annientamento”) e ci suggerisce che quel vuoto ha una componente di mistero che è propria di ogni opera d’arte. Ci viene anche preclusa la consapevolezza concreta del contenuto e se vogliamo risolvere il mistero dobbiamo spacchettare il manufatto e con ciò distruggerlo in quando manufatto artistico (sia quando lo è in effetti, sia quando ne è la presunzione). Così, occultando il contenuto di una vetrina, cosa che Christo e Jeanne Claude facevano con i loro Storefronts, ci dicono: non sai cosa ti vende questo negozio; non sai cosa c’è un questo gabinetto e se lo vuoi sapere devi spacchettare, entrarci e uscire dalla tua aspettativa, dove risiede la tua speranza di felicità, strutturata o posticcia che essa sia.

Vi è un’ultima cosa per tentare di leggere come mai certe turlupinature hanno così grande successo di pubblico. Restany nelle sue righe insiste sull’importanza della componente sociologica e parla di capacità catalizzatrice del comportamento. Sul lago d’Iseo lo stimolo fu particolarmente triviale ma anche in quel caso la promessa di un’emozione generava in molti la sensazione emotiva di camminare sulle acque.

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