Culture

Alla ricerca del Sacro Umorismo (intervista a Elio)

Re Elio, signore di 'Spamalot'
2 gennaio 2018
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Dopo averlo visto al Teatro Nuovo di Milano, non vi sveleremo il finale. E nemmeno il lato nascosto di Lancillotto. Diremo solo che il ciclo arturiano in salsa Broadway è buonumore puro. Come moderni Elton John e Bernie Taupin, Elio e Rocco Tanica hanno firmato ‘Spamalot’, a Lugano il 23 gennaio alle 21 (MrRoy Productions, biglietteria.ch). Della sua trasposizione linguistica ci aveva riferito lo stesso Tanica il 4 dicembre. Ora parla l’Elio attore, il Re Artù sul quale ruota lo spettacolo diretto da Claudio Insegno.

Sanremo vi ha costretti a cancellare le date romane di ‘Spamalot’. Qui a Lugano ci si sente privilegiati...

Eh sì, davvero. Al di là dell’evidente scherzo, degli spettacoli che ho fatto in vita mia, questo è quello che fa più ridere. Se qualcuno ha voglia di passare una serata allegra, credo che questa sia l’occasione giusta.

Stavo proprio per chiederti 3 buoni motivi per vedere ‘Spamalot’...

Ridere è il primo. Avendo replicato già alcune decine di volte, affrontando pubblici di ogni tipo, posso affermare che piace a tutti. Piace anche agli abbonati dei teatri, che in genere sono ultrasettantenni che il più delle volte si addormentano, o che a teatro ci vengono proprio con lo scopo di fare un sonnellino. Il secondo motivo è che si tratta della prima volta che i Monty Python vengono rappresentati in italiano. Uno può dire “ok, non mi avete fatto tanto ridere, però ho assistito a un’occasione storica”.

Quanta responsabilità hai sentito?

Credo di essermi preparato a dovere. Ho rivisto il film per le parti in comune. Gli arrivi al castello sono tra le cose che mi fanno più ridere, insieme alla battaglia contro il Cavaliere Nero. Ho tentato di fare del mio meglio, come cerco di fare sempre. Il risultato alla fine, anche grazie a Rocco Tanica e Claudio Insegno, è lì da vedere. Chi ha visto il musical in versione inglese troverà delle minime differenze con la nostra per via della lingua. Già era un’impresa titanica trasportarli in italiano. Poi, per alcuni giochi di parole come quello tra “cymbal” e “symbol”, che in inglese suonano uguali, ci siamo inventati dei giochi di parole nostri. Il risultato non ha suscitato critiche da parte degli appassionati dei Monty Python, almeno sino ad ora. Anzi, solo complimenti. E per questo sono al settimo cielo.

Eravamo al secondo motivo...

Il terzo motivo è la bravura del cast, che abbiamo selezionato con particolare cura. Già dalla mia esperienza con ‘La Famiglia Addams’ sapevo che l’ambiente del musical brulica di talenti sconosciuti, bravissimi e pagati poco. Questa esperienza ha rafforzato la mia opinione. Io, Tanica e Insegno, ma proprio tutti, dal coreografo allo scenografo, fino al direttore d’orchestra ci abbiamo messo il massimo impegno nella selezione. Mi sembra che i fatti ci stiano dando ragione.

Anche la critica vi sta dando ragione...

Sì. E infatti, oltre a essere lo spettacolo più divertente, ‘Spamalot’ è anche quello che ha ricevuto le migliori critiche. Non mi era mai accaduto che proprio tutti i critici, che come tu ben sai sono cattivi, fossero concordi nel valutare. Ce n’è sempre uno che deve dire il contrario. Poi noi di Elio e le Storie Tese ne sappiamo qualcosa. A questo punto, stiamo aspettando che ne arrivi uno a dire “non mi piace”.

Non saremo noi i primi. A Milano si è riso, e il livello musicale era altissimo...

E allora c’è un terzo motivo-bis. Visto che siamo piuttosto caldi rispetto alle prime repliche, posso dire che siamo migliorati. Abbiamo preso confidenza con tutto quanto accade sul palco.

Appurato che ‘Spamalot’ è da vedere, vorrei parlare degli Elii usando parole dei Pythons. “Come gruppo decidemmo che non ci sarebbe stato alcun tipo di gerarchia interna precostituita”. Lo dice Terry Jones nel libro di Francesco Alò.

Sì. Devo dire che noi, anche “a nostra insaputa”, perifrasi che va molto forte in Italia negli ultimi anni, abbiamo molti punti in comune con loro. Dalla vita noiosa fuori dalla scena, un po’ da impiegati, all’intercambiabilità per le cose fatte da soli o in piccoli gruppi, vedi ‘Un pesce di nome Wanda’, dove c’è solo una porzione di Monty Python. In questo senso, anche ognuno degli Elio e le Storie Tese vive una vita propria, nella quale da solo o in sottogruppi ha sempre fatto cose extra.

Bob McCabe, biografo dei Pythons: “Chi cambia il mondo non lo fa necessariamente facendosi notare. A volte lo fa mentre gli altri stanno guardando da un’altra parte”. Quando vi siete accorti di avere cambiato il mondo?

Premetto che il mondo non l’abbiamo cambiato. Restando nel nostro orticello, l’operazione di maggior impatto resta senz’altro ‘La terra dei cachi’, con la quale ci eravamo illusi di aver portato al Festival la parodia della canzone impegnata che invece tutta Italia ha interpretato come la canzone impegnata che mette alla berlina tutti i mali del paese. In altro modo, e lo vivo ogni giorno incontrando gente giovane, credo che abbiamo lanciato un messaggio di qualità, magari anche parlando di vaccate, a tutti quelli che decidono di intraprendere la carriera di musicista.

Lo stesso messaggio che lanciaste agli Skiantos dalle pagine di Repubblica, una ventina d’anni fa: “Mentre voi vi facevate le canne, noi studiavamo la musica”...

Questa proprio non me la ricordo (ride, ndr.).

Giuro sui vostri dischi che è la verità. L’inserto era ‘XL’. Ogni settimana un artista poneva una domanda scomoda a un altro artista, che la settimana successiva rispondeva...

Comunque con gli Skiantos abbiamo sempre avuto un rapporto di grande amore. Queste schermaglie pubbliche in realtà sono sempre state un gioco tra me e Freak (Antoni, ndr.). A parte il concerto con le due band sullo stesso palco, abbiamo fatto spettacoli insieme io e lui, divertendoci tantissimo. Era originale, e unico.

“Doppio manager, doppio camerino”. Ora che vi siete sciolti come i Litfiba, i master degli album chi se li tiene?

Quelli restano alla Hukapan, la nostra etichetta. In realtà continueremo a fare altre cose. Per quanto riguarda il gruppo, è una fatica talmente grossa ed è un miracolo così incredibile, siamo andati avanti così tanti anni che Elio e le Storie Tese non meritano una fine ingloriosa, semmai gloriosa.

A proposito di camerino. Non credi che ti mancheranno il pre-concerto, il backstage, l’attesa...

Chi può dirlo. Vedremo. In questo momento ognuno di noi non vede l’ora di riposarsi un po’. Se non si fa questo mestiere, non si può capire quanto sia difficile, sotto ogni aspetto. Su YouTube c’è un’intervista con Demetrio Stratos nella quale spiega perfettamente cosa accade in un gruppo, quali sono le difficoltà di carattere quotidiano. Stratos arriva a dire che un gruppo andrebbe considerato “un bene della comunità” e in questo senso andrebbe “sovvenzionato” (ride di nuovo, ndr.). E io lo sottoscrivo in pieno. È chiaro che è impossibile. Come è chiaro che uno dura fino a che può farcela.

Al funerale di Assago sul palco c’era scritto “R.I.P. 1980-2017”. Un momento indimenticabile di questi 37 anni?

Ce ne sono stati tanti. Certo, quando le signore anziane ingioiellate nella prima fila dell’Ariston hanno cominciato a battere le mani su ‘La terra dei cachi’... Davvero non me lo sarei mai aspettato. Ma anche a dicembre al Forum, quando tutto il pubblico ha urlato all’infinito ‘Forza Panino’.

Gli schermi del basket mostravano i tuoi occhi lucidi. Sembravi in difficoltà...

No, ero semplicemente contento. Penso che sia stato meritato per lui, per noi e per gli sforzi che abbiamo fatto in questi anni. Alla fine ho scoperto che in sala c’era la mamma di Feiez. La felicità è raddoppiata.

Pensi mai a che ruolo avrebbe oggi Feiez?

Lo stesso. Lui era quel 20% di qualità in più che non abbiamo mai più trovato. In un’unica testa c’erano tante abilità. Era un grandissimo tecnico del suono, oltre che un bravissimo cantante, oltre che un bravissimo chitarrista, e sassofonista...

Tornate a Sanremo da eterni secondi. Più secondo di voi c’è soltanto Toto Cutugno...

Abbiamo sempre sognato di essere come lui, nel senso che se avessimo guadagnato i soldi che ha guadagnato Toto Cutugno, ci saremmo ritirati molto prima.

Per finire: puoi fischiettarci il ritornello di ‘Arrivedorci’?

Sì, dunque: “Fiii, fi fi fii fiii...” (sintetizzando, ndr.). Abbiamo cercato di farci ispirare dai Procol Harum, dai Moody Blues, ma anche dai Pooh. Che restano comunque il nostro faro...

 

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