Culture

"Sgt. Pepper's" tirato a lucido

1 giugno 2017
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“Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” (che per maggiore rapidità chiameremo sin d’ora semplicemente “Sgt. Pepper’s”) torna nel suo Cinquantesimo in edizione deluxe.

Lo studio di registrazione come uno strumento

Quattro i mesi per realizzarlo. Non per pignoleria o perfezionismo, ma per il giusto tempo che merita il processo dell’invenzione. Si attribuisce a George Martin l’aver trasformato lo studio di registrazione in uno strumento musicale, concetto già caro ai Beach Boys di “Pet Sounds”. “Sgt. Pepper’s” è il primo disco della storia a non contenere intervalli tra una canzone e l’altra, in modo da essere percepito come un’unica esecuzione, senza interruzioni.

“Sgt. Pepper’s” o “Pet Sounds”?

Scuole di pensiero dal tono malinconico assicurano che il destino dei Beach Boys (e quello del suo leader Brian Wilson, giorno e notte al pianoforte a cercare la canzone perfetta) fu segnato dall’uscita di “Sgt. Pepper’s”, senza il quale la musica avrebbe celebrato lo scorso anno “Pet sounds” come vera Bibbia. McCartney disse di essersi ispirato all’opera di Wilson, così come Martin, che definì il disco dei Quattro di Liverpool “il tentativo di eguagliare Pet sounds”. “Sgt. Peppers’s”, dunque, o “Pet Sounds”? Si dovrà credere a Paul, o a Brian, che si disse folgorato sulla via di Los Angeles da “Rubber soul”, due anni prima?

La copertina

Artista di riferimento dell’arte pop britannica, le intuizioni visive, i dipinti misti a collage di Peter Thomas Blake (‘Sir’, come stabilito da Buckingham Palace nel 2002 per meriti artistici) hanno illustrato con grande forza la British invasion. Tra le cover più note spiccano il singolo benefico “Do they know it’s Christmas time”, dalle tinte rosse di beatlesiana memoria, e gli album di Who, Oasis, Weller e Clapton. Del collage di ‘Sgt. Pepper’s’, Blake disse di aver pianificato di inserire “una lunga lista di persone meritevoli di esserci, ma non ci sono state tutte”, a testimonianza della “forza della cultura inglese e dell’eredità lasciata nelle ultime sei decadi”. Per rimediare a ciò, festeggiando nel 2012 i suoi 80 anni, l’artista produsse una versione aggiornata di quella copertina, nella quale appaiono tutti quelli rimasti fuori nel ‘67 (Elton, Bowie e Monty Python inclusi). Sempre di quel disco, si dice che il compenso stanziato per l’artista fosse stato di 200 sterline (una tantum, senza l’ombra di royalties). Con self control tipicamente britannico, Blake si dichiarò “dispiaciuto”.

Capolavoro, ma anche no

“Innovativo”. “Pietra miliare”. “La più importante innovazione musicale”. “Il primo vero concept album nella storia della musica”. “Tra i 1001 album da ascoltare prima di morire”. Eppure non ci sono solo likes per “Sgt. Pepper’s”. Tra i più efferati detrattori dell’opera c’è la rivista “Melody Maker”, che nel 1988 lo definì “il peggior disco mai prodotto”. Ma ci fu anche chi lo considerò “il punto più basso del rock and roll”, e chi organizzò sondaggi intitolati “il disco che non vorresti più ascoltare” e “il presunto miglior album di sempre”. Altre stroncature vennero dal Guardian nel 2007 (“forse non il peggiore, certamente il più sopravvalutato”), dal musicista e autore Bill Drummond (“la cosa peggiore accaduta alla musica”), fino al coraggioso Keith Richard, che lo accusò di essere “un polpettone di spazzatura”.

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