Culture

I modi di essere di Raphael Gualazzi

Raphael Gualazzi incontrato e intervistato da Angelo Quatrale
4 febbraio 2016
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di Angelo Quatrale
tratto dalla rivista Plug & Play n.6

Siamo a Londra in zona King Cross, all’interno di una sala prove enorme, antica e dall’aspetto vissuto, dove Raphael si reca quando deve allestire un nuovo spettacolo. Siamo lieti che abbia accettato la nostra richiesta d’intervista. Raphael sta facendo concerti in tutta Europa, con uno show brillante, ricco di belle idee e tanta buona musica. Un artista molto giovane che cresce musicalmente sempre di più. Le idee in chiaro, musicalmente parlando, le ha avute da sempre e riascoltando i suoi dischi si notano di volta in volta finezze e particolari sempre nuovi.

Grazie per averci concesso del tempo prezioso. Sei molto preso in questo periodo per le tue nuove pubblicazioni. Le produzioni degli inizi sono punti fissi per te o non ci pensi più ora? Dopo la creazione di una colonna sonora molto importante per il regista Pupi Avati, sei sempre proiettato verso il futuro?

Diciamo che ogni volta che si ascolta un nuovo brano musicale è una nuova esperienza (che sia mio o di altri), e ci sono emozioni nuove che vengono vissute. È importante guardare avanti e bisogna sempre creare e sviluppare un percorso artistico in evoluzione. Sicuramente bisogna prendersi del tempo per ascoltare dei brani composti, ma allo stesso tempo non soffermarsi troppo. Quello che cerco è la varietà nelle tonalità dei generi musicali. Se c’è spessore ed intensità nel vocabolario artistico, non c’è bisogno di esprimersi in un solo genere.

Il posto dove ci troviamo ora (Londra) mi sembra un posto ideale per un discorso di «melting pot» musicale e culturale. Nelle tue produzioni hai mischiato il jazz, il ragtime, con l’acid jazz, il funk, il blues e il gospel, cantando in lingue diverse. Per quanto riguarda la realizzazione della colonna sonora per Avati, ti hanno chiamato per portare la tua musica, o dovevi stare ad una «road map» dettata dalla sceneggiatura?

Il mio approccio a tutte le esperienze nuove è sempre di apertura, ascolto e rispetto dei consigli che generosamente mi vengono offerti. In questo caso Pupi è stato un «signore». Ha le idee molto chiare per quello che riguarda la musica, in base a quello che poi deve descrivere nel film. In un momento mi citava Cole Porter, piuttosto che riferimenti post-romantici di musica classica. È un grande appassionato di musica e musicista. Abbiamo lavorato in «simbiosi». Io ho messo il mio stile musicale ed i miei temi in base alla mia personalità, avendo avuto da Pupi dei riferimenti chiari e precisi. Nel film ci sono 2 temi musicali portanti, con contrabbasso, pianoforte e archi.

In questi giorni sei al lavoro per un altro disco o per collaborazioni con altri artisti?

Sto facendo dei concerti dal vivo, ma diciamo che sono molto concentrato sul nuovo album. Ci saranno degli ospiti, ma è un po’ presto per svelarli. Ho parecchie idee per la prossima produzione.

Parlaci un po’ della musica che ami e di come ti piace comporre.

Il tipo di musica che amo parte sempre da un approccio live, anche se poi l’album è da studio. La cosa più importante è l’energia e l’emozione che si creano. Tutto quelle che sono le regole matematiche, possono avere il loro valore, ma se non c’è l’anima del brano manca la sostanza. A volte è il tipo di atmosfera che c’è all’interno dello studio che dà la svolta. Ultimamente ho fatto un’esperienza a New York per un omaggio musicale ad un artista (che non posso ancora rivelare). Ho lavorato con un team newyorkese ed è stata un’esperienza meravigliosa e tutto molto semplice. C’erano magia, suono perfetto, concentrazione giusta e relax. Anche il produttore artistico era molto talentuoso e secondo me sono ingredienti fondamentali nella realizzazione di un album.

Nonostante i tuoi lavori siano impegnativi per quanto riguarda forme, arrangiamenti, armonie e melodie, restano tuttavia molto fruibili al grande pubblico. Cosa pensi in merito?

Le mie fonti d’ispirazione sono state sempre maestri come Fats Waller ed i grandi del ragtime. Hai fatto un’osservazione giusta poiché sono modelli impegnativi che passano però con leggerezza. È una musica che tutti abbiamo dentro di noi, quando il jazz era popolare fino ai grandi exploit nell’era di Benny Goodmann e Duke Ellington, lo si ballava e ci si divertiva. Anche nella mia vita cerco di vivere giorno per giorno al massimo delle mie possibilità cavalcando un grande sogno.

Hai collezionato tanti successi come «Happy mistake», poi l’incontro con la produttrice Caterina Caselli. Com’è stato questo incontro?

Ho un contratto editoriale con Peermusic, con Franco Daldello. Al mio ritorno dagli Stati Uniti dopo alcune collaborazioni nel 2008, c’eravamo confrontati su alcune mie composizioni e stavamo cercando un partner. Non ci potevamo immaginare di essere piaciuti a Sugar-music. Mi ha chiamato per un’audizione e mi sono confrontato con Caterina, che è una persona di grandissima sensibilità musicale. Mi ha dato in mano da subito la produzione del disco «Reality and fantasy» del 2011. Mi fa comunque sempre piacere collaborare con altre produzioni per fare nuove esperienze.

Cosa pensi sia davvero importante nel fare musica?

La cosa più importante è essere onesti con sé stessi in termini musicali ed artistici, riguardo alla propria filosofia nello scrivere. Ho sempre sostenuto sin dall’inizio (dai tempi del primo album che ho realizzato in 5 giorni) la fusione dei generi musicali. Tanti apprezzano questo mix, altri invece desiderano cantare le canzoni di altri autori. Per esempio grandi successi come «Nel blu dipinto di blu» di Domenico Modugno sono brani così belli e semplici. Nel mio caso ascolto autori che compongono in maniera «difficile», ma allo stesso tempo molto immediati. Anche nella poesia, amo leggere Palazzeschi come pure Giovanni Pascoli e Pablo Neruda.

Come giudichi la tua vita, ti reputi fortunato nel fare quello che fai?

È una grandissima fortuna fare quello che nella vita piace. Seguire le proprie passioni, anche se poi il tutto richiede molto impegno (per esempio non esistono le domeniche e le festività); ma è sicuramente un privilegio. Una professione meravigliosa. Qualche tempo fa non andavo a letto molto sereno, sono spesso in giro (aerei ecc.), e questo mi ha fatto riflettere alla dimensione umana e sull’importanza del vivere bene, con le persone a cui tieni. Sono molto orgoglioso e soddisfatto del mio lavoro e ci metto tutto quello che ho.

Parlaci del tuo modo di comporre.

Attualmente il mio approcio compositivo consiste nello sviluppare a priori la parte musicale adattandovi in un secondo tempo un testo.

Mi piacciono molto il tuo linguaggio e la tua forza espressiva. Il pubblico è unanime nel constatare una grande energia che ti vede sempre al massimo delle tue possibilità.

Molte grazie, quando sei sul palcoscenico devi dare completamente tutto quello che hai. Non ho mai avuto coreografie eccezionali o spettacoli con un impatto visivo impressionante. Sono nato come pianista e poi successivamente come cantante. Fondamentale è donarsi totalmente. 

Come vedi il prosieguo del tuo lavoro?

Ci sono tanti aspetti della mia musica che vorrei sviluppare maggiormente. Intanto voglio migliorarmi in quello che concerne gli arrangiamenti. Cantare e suonare una mia canzone mi stimola molto per continuare a studiare e sperimentare. Ho sempre ascoltato jazzisti per capire quel mondo, il loro fraseggio ed approccio. Per esempio Errol Garner, non sapendo le note, si faceva suonare da un altro pianista il tema, guardava, ascoltava e memorizzava le note suonate. Ognuno ha il suo modo di essere. Musicalmente e non, bisogna essere sé stessi, nel rispetto dei generi musicali.

Ciao Raphael, grazie per la chiacchierata e tanti auguri per il futuro.

Grazie a voi e a presto...

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