Culture

La prima volta di James Taylor

2 settembre 2015
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Ci sono due modi per accorgersi che un disco è un capolavoro. Il primo è leggere i titoli della stampa mondiale, e scoprire una generale unità d'intenti (celebrativi). L'altro è ascoltarlo in auto sulla cantonale, al caldo, in condizioni di traffico estremo, pressoché fermi, e scoprire che se anche un metro di strada ogni giorno diventa un chilometro, ci sono pomeriggi in cui la cosa poco importa.
“Before this world” (Concord Records) è il ritorno di James Taylor, 13 anni dopo “October Road” (2002), album dal quale non si discosta troppo, se per continuità si intendono (uno) gli inseparabili Jimmy Johnson (basso), Steve Gadd (batteria), Larry Goldings (piano acustico ed affini), Michael Landau (elettriche), e poi (due) l'orchestra e i fiati arrangiati da Rob Mounsey (tanto caro agli Steely Dan), e ancora (tre) alcuni vecchi compagni di viaggio come Luis Conte (percussioni), Yo-Yo Ma (violoncello), e pure Sting (armonie nella title-track). Per finire (quattro, anche per quantità), i coristi McCuller/Markowitz/Zonn/Lasley, celestiali alter ego della voce solista.

Ultra-autobiografico, fruibile anche in versione deluxe (chicche per feticisti e DVD del “making of”), “Before this world” brilla per la road-song “Stretch of the highway” e per “Snowtime”, summa del Taylor sudamericano di “Mexico” (gemma del '75) e “Only a dream in Rio” (perla dell'86). “Angels of Fenway” è un sontuoso inno ai Red Sox, squadra del cuore del cantautore (dichiarazione d'amore possibile solo in sport pacifici come il baseball), mentre la cupa e celtica “Far Afghanistan” è un nuovo capitolo di guerra visto con gli occhi di un soldato, cui fa da contraltare il ¾ “Montana”. Con “Today today today” in apertura e a ruota “You and I again” dedicata alla moglie – offerte in anticipo dal tour - l'album odora di Grammy, e sarebbe il 6° (uno per “Hourglass”, 1997, best album).

L'espressione che meglio descrive James Taylor è probabilmente "unjamestaylorable" (più o meno "non jamestaylorizzabile"), neologismo degli Elii coniato ai tempi di un cameo dell'americano sul loro "Eat the phikis" e che potrebbe riassumerne l'unità di genere e stile. Padre di un suono che ha attraversato indenne più di quattro decenni, fedele a sé stesso senza mai essere ripetitivo, JT a marzo diceva: “non so più cosa significhi realizzare un disco. Gli amici mi dicono che la gente non compra più queste cose, e di non esagerare con le aspettative. Non voglio risultare presuntuoso, ma Van Gogh vendette soltanto due dipinti, in vita. Io mi esprimo così, e questo è quanto sento di dover fare...”. A giugno, poco dopo l'uscita, “Before this world” - 5 stelle su 5, 10 su 10, l'offerta è libera - era N.1 della Bilboard. 

Evidentemente c'è una prima volta per tutti. Anche a 67 anni.

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