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La politica ticinese tra bianchini e social

Un’analisi sulle elezioni 2019 per il Gran Consiglio illustra come cambiano il modo di fare campagna e il profilo degli eletti

(Ti-Press)
14 giugno 2022
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"Chissà quante mani sudate le toccherà stringere" si narra abbia detto Gianni Agnelli, l’ineffabile ‘signor Fiat’, a un conoscente che lo informò di volersi buttare in politica. Anche in Ticino la presenza sul territorio – gli eventi, gli aperitivi, le cene – si conferma fondamentale per il successo di una campagna elettorale, come d’altronde è ragionevole che sia a livello locale: conoscere personalmente il candidato è ancora un criterio fondamentale per decidere se (non) votarlo. Ma al vecchio bianchino in bettola si sono aggiunti altri elementi decisivi, quali l’uso dei social e perfino il ricorso a consulenti d’immagine. È quanto emerge dall’analisi che Andrea Pilotti e Oscar Mazzoleni, dall’Osservatorio della vita politica regionale presso l’Università di Losanna, hanno dedicato a ‘La contesa per le elezioni parlamentari ticinesi del 2019’. L’indagine si basa su un questionario standardizzato inviato ai candidati al Gran Consiglio (734, su 16 liste): hanno risposto in 455, restituendo un campione statisticamente significativo. Con Oscar Mazzoleni vediamo cosa ne emerge.

La prima cosa che salta all’occhio dalla vostra analisi è che oggi, per farsi eleggere, occorre essere molto attivi su diversi canali: sono divenuti centrali i social network e i portali web, ma anche manifesti e pubblicazioni tradizionali restano essenziali, per non parlare di assemblee, comizi e interventi sui media. Qual è il profilo ‘giusto’ in questo contesto?

Sono vincenti l’abilità e l’impegno nel muoversi in diversi ambiti, da quelli più classici alle interazioni sulle reti sociali. Sono più importanti del passato la visibilità e la riconoscibilità personali. Nel corso degli ultimi decenni, le campagne elettorali hanno visto un ritrarsi dei partiti – penso a quelli tradizionali – rispetto ai loro stessi candidati. Ne sono un riflesso la crescita dei voti personali e di panachage. I candidati sono spinti a distinguersi – e a competere — in cornici diverse rispetto alle vecchie riunioni e comizi, incontrando elettori e altri politici in occasioni trasversali e interpartitiche. Lo stile personale, la simpatia, la presenza sul territorio – comunque importanti da sempre – hanno di fatto preso il sopravvento sugli aspetti più ‘ideologici’ del partito. Non a caso risultano sempre più importanti anche figure come i consulenti di pubbliche relazioni, che curano l’immagine del candidato.

Eppure si direbbe che la spesa per le campagne locali sia minima: quasi un candidato al legislativo su due dichiara un esborso inferiore ai 250 franchi, e solo 4 su 100 spendono oltre 10mila franchi.

Non parliamo delle elezioni del Consiglio di Stato o di quelle nazionali. Per il parlamento cantonale, i soldi rimangono un fattore marginale rispetto all’impegno di prossimità (off e online), vero fattore distintivo tra chi viene eletto e chi no. In altre parole, l’investimento monetario – effettuato quasi sempre e solo di tasca propria, non dal partito o da altri donatori – non è comunque garanzia di successo.

Aiuta invece essere già in politica?

Sì. I fattori importanti sono proprio la notorietà e l’esperienza acquisite in precedenza. Gli ‘uscenti’ hanno maggiori probabilità di successo, grazie anche alla maggiore visibilità sui media. I dati ci dicono che, in genere, una cinquantina dei novanta granconsiglieri risulta rieletta. Anche perché è dal 1995 – con l’affermazione della Lega – che non si vedono grandi scossoni dal punto di vista delle formazioni politiche rappresentate in aula.

Se una persona abituata al Gran Consiglio di una ventina d’anni fa entrasse ora in aula, che differenze vedrebbe?

Certamente noterebbe una maggiore rappresentanza femminile, con un aumento significativo proprio nel 2019 (31 seggi contro i precedenti 22, ndr). Resta però da notare che le donne sono ancora sottorappresentate, costituendo solo un terzo dell’assemblea. Vediamo la spinta a infrangere questo ‘soffitto di cristallo’ anche nell’emergere di una formazione esclusivamente femminile come Più Donne.

In termini di formazione, cosa porta con sé la presenza femminile?

Si deve proprio a loro un significativo contributo all’innalzamento del profilo formativo del Gran Consiglio, anche perché vediamo che per avere successo la compagine femminile deve spesso partire da titoli più alti rispetto agli uomini. Va però anche detto che quell’innalzamento è generale: titoli di studio avanzati risultano correlati a probabilità triple di essere eletti. Con una sola eccezione: la Lega, il cui gruppo parlamentare è costituito da persone con titoli di studio generalmente medio-bassi rispetto agli altri partiti. Lega che però ha anche contribuito molto alla diversificazione dei profili rappresentati, contrastando in modo significativo la sovrarappresentazione delle professioni liberali.

Eppure nel 2019 abbiamo assistito a una sorta di ‘rivincita’ degli avvocati.

In effetti alle ultime elezioni abbiamo visto un significativo ritorno in auge di avvocati e notai, soprattutto nel Ppd e nel Plr, con un tasso di successo addirittura del 50% per le loro candidature. In generale, chi entrasse in Gran Consiglio dopo vent’anni noterebbe però un ambiente più vario, anche se non particolarmente giovane: solo il 18% dei membri del legislativo ha meno di trent’anni, mentre l’età media è di 46 anni.

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