Ticino

Permessi, la polizia mette ancora il naso nei cassetti

La testimonianza di un professionista italiano: controlli a domicilio, sopralluoghi a sorpresa, colloqui-fiume

(Ti-Press)
23 giugno 2022
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Al netto d’un lavoro, di un domicilio e di tutte le carte in regola, cosa serve per ottenere un permesso di soggiorno in Ticino? «Tanto autocontrollo, la risposta pronta e la capacità di resistere a un’inquisizione che non è solo umanamente umiliante, ma alla fine appare come un enorme spreco di risorse, dettato da una procedura figlia di un’assurda presunzione di colpevolezza». Così ci dice un professionista che chiameremo Alberto*, che da questo labirinto ci è passato da poco. Cittadino italiano operativo su scala internazionale, è arrivato qui con un solido contratto per una storica società di notevoli dimensioni. Per ottenere un permesso B, nel giro di pochi giorni ha dovuto subire un interrogatorio presso la Polizia comunale di Lugano durato quasi tre ore, seguito da una perquisizione della sua abitazione, corredata dall’ormai famigerata conta di camicie, scarpe et similia.

‘Conosce i nomi dei vicini?’

«Prima di tutto», spiega Alberto, «mi hanno convocato un giorno per quello successivo, ma ho dovuto rimandare per un impegno di lavoro. A quel punto, quando mi sono presentato in Polizia, mi aspettavo il consueto accertamento amministrativo: avevo con me tutta la documentazione, dal contratto d’affitto a quello di lavoro, pensavo che la cosa sarebbe andata in modo spedito. Invece sono rimasto dentro due ore e quaranta minuti, dovendo rispondere a ogni sorta di domanda personale». Qualche esempio? «Mi hanno chiesto se conosco i nomi dei miei vicini, come mai i miei figli studiano altrove, se sono iscritto ad associazioni sportive o d’altro genere, come se l’integrazione di una persona in Ticino si potesse verificare contando le tessere che ha in tasca. Mi hanno domandato perfino se vado d’accordo con mia moglie, perché non si è ancora trasferita qua; ma al giorno d’oggi non si possono spostare le vite degli altri da un giorno all’altro, quasi fossero masserizie» (una sentenza del Tribunale cantonale amministrativo del 2017 precisa peraltro che il ricongiungimento familiare non è necessario per il rilascio del permesso B a un cittadino Ue).

La sensazione per Alberto è stata «che mi stessero bombardando di domande per cercare di farmi entrare in contraddizione o rilasciare dichiarazioni che si prestassero a una lettura negativa. Parlo la lingua e conosco i miei diritti abbastanza bene da sapermi difendere, ma a parte il fatto che non vedo la ragione di tanto accanimento, non oso pensare alle difficoltà in cui potrebbe incorrere chi ad esempio parla l’italiano meno bene di me».

‘L’impressione di un’imboscata’

Il colmo, comunque, è stato il sopralluogo presso la sua abitazione. «Durante l’interrogatorio mi hanno chiesto se acconsentivo a un sopralluogo immediato. Io avevo un appuntamento di lavoro improrogabile, già l’interrogatorio si era prolungato ben più del previsto e senza alcun preavviso. Ho dovuto rimandare e un agente si è dimostrato deluso, ha detto chiaramente che nel frattempo avrei potuto ‘sistemare’ le cose. Evidentemente temevano che potessi imbastire chissà quale situazione fittizia. L’impressione era davvero che cercassero di tendere un’imboscata».

Alberto precisa che «i toni sono rimasti sempre cordiali, mi è davvero parso che non ci fosse nulla di condizionato dal mio caso personale: temo che il meccanismo sia così per tutti, che facciano sempre così». Quando ha chiesto di rimandare d’un giorno l’ispezione, gli hanno prima fatto elencare per filo e per segno tutti i dettagli di casa sua, «evidentemente per poter poi individuare eventuali contraddizioni». Il giorno successivo «sono venuti e hanno fotografato tutto. Hanno preteso di contare gli abiti, mi hanno fatto aprire i cassetti della biancheria intima, hanno controllato gli elettrodomestici. Mi hanno posto domande come se temessero che mi stessi inventando chissà cosa, pur essendo incensurato e con un mestiere che chiunque può venire a controllare».

Alla fine di questa sciarada, Alberto spera chiaramente di non avere altri problemi e di poter legittimamente rimanere nel cantone in cui lavora e vive, ma si chiede: «Anche senza stare a considerare eventuali altri controlli e appostamenti – avevano già provato a ‘entrare a dare un’occhiata’ a casa mia senza avvertirmi, ma il padrone non li ha fatti entrare –, due agenti sono stati di fronte a me o a casa mia per almeno quattro ore. Al di là della spiacevolezza di tutta la questione e dei dubbi sul rispetto dei miei diritti, vorrei sapere se questa gestione delle risorse umane e dei soldi pubblici possa essere considerata ragionevole».

*il vero nome è noto alla redazione

COME FUNZIONA

Decide il Cantone,
ma c’entrano i Comuni

La prassi riguardante la concessione dei permessi di soggiorno in Ticino si direbbe in qualche modo ‘rilassata’: dopo numerosi ricorsi accolti dal Tribunale federale, lo scorso settembre il Dipartimento delle istituzioni aveva in effetti comunicato un cambiamento, ridimensionando la possibilità di condizionare il rilascio o il rinnovo di un permesso alla verifica del ‘centro di interessi’, ovvero il luogo in cui oltre a lavorare si vive in tutto e per tutto e si hanno amici e famiglia: concetto sfuggente e spesso poco compatibile con chi fa una vita da globetrotter. Le revoche sono pertanto crollate – come spiegato dalla ‘Domenica’ qualche settimana fa – passando dalle 260 del 2019 (dovute anche al recupero di arretrati, secondo il Di) alle 66 del 2021.

Certi controlli, però, evidentemente proseguono. La responsabilità è dell’Ufficio della migrazione, sottoposto alla Sezione della popolazione del Dipartimento delle istituzioni, ma – come nel caso di Alberto – a dare man forte sono i Comuni di residenza: colloqui e sopralluoghi sono stati effettuati dalla Polizia comunale di Lugano. «Per quanto concerne le procedure di verifica che vedono coinvolti cittadini stranieri, la competenza gestionale è della Sezione della Popolazione, Ufficio della Migrazione. L’Ufficio controllo abitanti e la Polizia comunale sono eventualmente a disposizione per supportare l’Ufficio della Migrazione con cui gli accertamenti vengono coordinati», spiega Paolo Di Martino, capo dell’Ufficio controllo abitanti (Uca) a Lugano. Silvia Gada, caposezione Popolazione del Dipartimento delle istituzioni, aggiunge che «per gli accertamenti sui soggiorni fittizi l’Ufficio della migrazione si avvale della collaborazione della Polizia cantonale», ma «le autorità comunali possono comunque svolgere gli accertamenti da loro ritenuti necessari anche nel contesto delle pratiche di cittadini stranieri. L’esito di questi approfondimenti può essere segnalato all’Ufficio della migrazione».

‘Non sono interrogatori’

Dopo aver ricordato che «è importante sottolineare come gli accertamenti sulla presenza effettiva sul territorio di un cittadino straniero restano centrali, anche per gli stessi Tribunali», Gada ci tiene a precisare: «Nessuna persona straniera è sottoposta a interrogatori, ma può essere richiesta da parte dell’Ufficio della migrazione alla Polizia cantonale una verbalizzazione amministrativa, per determinare la sua presenza effettiva e consentirle in tal modo di esporre le proprie osservazioni. In casi singoli e puntuali, sempre e soltanto con il consenso della persona straniera interessata, la Polizia cantonale può procedere a un sopralluogo amministrativo a seguito della verbalizzazione». Anche per Di Martino «il termine ‘interrogatorio’ è improprio rispetto alla reale tipologia di incontro che viene svolto. L’Uca, nell’ambito dei propri compiti di accertamento, ha la facoltà di convocare il cittadino, sia esso svizzero o straniero, per dei chiarimenti, per accertare la situazione e per conoscerne le intenzioni. Non si tratta dunque di interrogatori di un’inchiesta penale, ma di accertamenti di natura puramente amministrativa. La durata di tali incontri è tuttavia variabile e dipende dalle circostanze specifiche del singolo caso». Di Martino aggiunge che «qualora risulti appropriato, è altresì possibile eseguire dei sopralluoghi presso l’abitazione. Questi vengono previsti in particolare per confermare quanto già dichiarato dall’interessato o accertare le informazioni a disposizione. I sopralluoghi sono sempre concordati con l’interessato e avvengono solo con il suo consenso e solo in sua presenza».

Mutande e fotografie

Venendo alla famigerata ‘conta delle mutande’, dal Cantone Gada ridimensiona la portata e l’intrusività dei controlli: «Lo scopo di questi accertamenti amministrativi, è bene precisare, è di constatare se sono presenti segni che l’abitazione sia regolarmente vissuta. Non si è mai proceduto al controllo mirato di effetti personali o spazi chiusi, senza che la persona straniera abbia concesso l’autorizzazione alle autorità preposte di svolgere il sopralluogo amministrativo e la presa di immagini». Da Lugano, Di Martino ci scrive che «non è possibile generalizzare le operazioni di accertamento che vengono svolte. Quando necessario, per rapporto agli obiettivi delle verifiche dell’Uca, quest’ultimo può accertare l’allestimento dell’abitazione e la presenza di effetti personali. Anche in questi casi, il tutto avviene sempre con il consenso della persona interessata. I rilievi fotografici, quando assunti, sono da considerarsi quali elementi probatori della situazione accertata nell’interesse di una procedura il più possibile trasparente e oggettiva, che possa permettere all’interessato di esercitare i propri diritti e all’autorità amministrativa di poter svolgere i propri compiti».

Ma è vero che la polizia cerca d’intrufolarsi a casa d’altri anche quando non c’è nessuno? Per Gada «non ci sono sopralluoghi senza preavviso e la persona straniera, o una persona di fiducia da lei designata, deve sempre dare il suo consenso ed essere presente. Il padrone di casa, qualora si trattasse di un’abitazione in affitto, può scegliere di esprimersi sulla frequenza della presenza del suo inquilino, ma la persona straniera sarà informata in merito anche in occasione del verbale amministrativo». Di Martino aggiunge: «È opportuno premettere che il locatore è tenuto per legge a notificare all’Uca l’arrivo, il cambio indirizzo o la partenza di tutti i nuovi inquilini che ospita presso locali di sua proprietà. È pertanto naturale per l’Uca avere dei contatti diretti con i proprietari di appartamenti, stabili o con le amministrazioni immobiliari. Al di fuori di questo, i sopralluoghi presso le abitazioni vengono espletati con il consenso e la presenza della persona interessata dagli accertamenti» (Alberto ribadisce: la Polcom si è presentata all’uscio mentre lui era al lavoro, senza preavviso).

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