Ticino

Il mercato del lavoro chiede profili diversi da quelli formati

Un’analisi della Supsi segnala nei prossimi cinque anni una forte carenza di manodopera locale. L’Aiti: ‘Ripensare la scuola’

Più tecnologia per i giovani lavoratori del prossimo futuro
(Ti-Press)

La demografia parla chiaro da anni: non cresciamo. Anzi, senza immigrazione tendiamo a diminuire di numero. Questo si ripercuote anche sul mercato del lavoro che in prospettiva, indipendentemente dalla robustezza o meno della dinamica economica futura, presenta un disallineamento tra domanda e offerta; in alcuni settori più marcato e in altri meno, ma con un deficit di fabbisogno di manodopera che andrà ad accumularsi da qui ai prossimi dieci-quindici anni. È quanto emerge da uno studio realizzato dal Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della Supsi per conto dell’Associazione industrie ticinesi. «Siamo molto preoccupati», afferma Oliviero Pesenti, presidente di Aiti. «L’evoluzione demografica è particolarmente negativa, lo sappiano. Un fenomeno visibile già da alcuni anni che porterà gravi difficoltà non solo al mondo industriale, ma a tutto il mercato del lavoro ticinese», spiega ancora Pesenti allargando il discorso a tutta l’economia. «L’industria è un settore di specializzazioni che già da tempo fa molta fatica a reperire sul mercato del lavoro i profili qualificati necessari». «E non è una questione salariale», precisa subito Pesenti. «Per convincere uno specialista a venire a lavorare in Ticino bisogna mettere sul piatto oltre a una retribuzione soddisfacente, anche altre condizioni sempre più richieste che ricadono nella sfera della responsabilità sociale d’impresa e dei servizi di welfare aziendale», ricorda il presidente degli industriali ticinesi.

Il dato di fatto da cui nasce la preoccupazione di Aiti è la constatazione che nei prossimi 10-15 anni decine di migliaia di persone lasceranno il mondo del lavoro ticinese per raggiunti limiti di età. Si tratta dei cosiddetti baby boomer che oggi hanno tra i 50 e 55 anni e che rappresentano la parte più ampia della piramide della popolazione che somiglia sempre di più a un’anfora a causa dell’invecchiamento. Le nuove generazioni sono sempre di meno e non rimpiazzano uno a uno chi esce dal mercato del lavoro per raggiunti limiti di età. «Sia gli occupati residenti permanenti, sia i frontalieri mostrano un invecchiamento», spiega il professore Carmine Garzia, professore di strategia aziendale e imprenditorialità alla Supsi e autore, con Edoardo Slerca, dello studio sul mercato del lavoro.

A fine 2020 – stando all’analisi della Supsi – c’erano 33mila attivi residenti over 55 (quasi 56’500 se si estende l’insieme agli over 50) e quasi 9mila frontalieri over 55 (18mila over 50). E questo in un momento in cui gli occupati hanno ripreso ad aumentare (235mila) dopo che erano scesi tra il 2017 (240mila, il massimo) e il 2020 (233mila). Nel contempo anche il numero delle persone attive hanno cominciato a scendere (175mila nel 2020, contro le 185mila del 2017), mentre le inattive (pensionati, disoccupati e scoraggiati) hanno ricominciato a salire (129mila nel 2020 contro le 120mila del 2017). L’unico sottoinsieme del mercato del lavoro ticinese che è aumentato costantemente negli ultimi 20 anni è quello dei lavoratori frontalieri (32mila nel 2002; 73mila a fine 2021).

Nei prossimi cinque anni un forte deficit di manodopera

«Fermo restando che attualmente tutte le previsioni a proposito del Pil sono da prendere con le pinze in quanto condizionate dagli eventi bellici in Ucraina e dal post pandemia, si possono comunque delineare tre scenari e tutti e tre presentano una espansione occupazionale positiva per quanto riguarda il mercato del lavoro ticinese», spiega il professor Garzia. «Nello scenario medio, i posti di lavoro aumenteranno di più di 15mila unità; nello scenario negativo (il più probabile, dati i risultati del 2021) l’aumento sarà di circa 9mila unità e nello scenario positivo di più di 22mila», afferma invece Edoardo Slerca.

Ai tre scenari vanno aggiunti i posti che verranno lasciati liberi dai lavoratori correnti, per effetto di decessi e pensionamenti, che ammonteranno a circa 24mila unità nell’arco del quinquennio. «Ne consegue che i fabbisogni occupazionali oscilleranno tra le quasi 33mila unità nello scenario negativo e le 46mila dello scenario positivo».

Ovviamente non tutti i settori saranno toccati nella stessa misura da questa evoluzione. «Alcuni ambiti, pur mostrando una forte crescita occupazione in percentuale, generano dei fabbisogni contenuti, data la ridotta e relativamente giovane forza lavoro, con minori pensionamenti. I settori più maturi offrono spesso maggiori opportunità di occupazione, grazie all’elevato turnover generazionale», precisa il ricercatore della Supsi.

Lo studio della Supsi si è concentrato anche su quanti lavoratori formerà il sistema formativo ticinese. Tra il 2022 e il 2026 entreranno sul mercato del lavoro oltre 28 mila nuovi lavoratori, di cui quasi il 40% avrà una formazione di grado terziario (università) e circa il 60% di secondario II (apprendistato o scuola professionale a tempo pieno). «Nello scenario medio, nell’arco del quinquennio, considerando solo l’offerta di lavoro locale, vi sarà una scarsità di circa 12 mila lavoratori. Degli oltre 40 mila fabbisogni previsti, a circa il 25% verrà richiesto di possedere un titolo di grado terziario, a più del 40% sarà invece richiesto un titolo secondario, mentre non sarà richiesto alcun titolo particolare al restante 33%», spiega ancora Edoardo Slerca.

I disallineamenti si rifletteranno anche a livello di ambiti formativi, con il tessuto imprenditoriale che faticherà ad assorbire alcune competenze molto specialistiche. Il riferimento è all’amministrazione aziendale e diritto; ingegneria, attività manifatturiere ed edilizia; scienze sociali, giornalismo e informazione; scienze umane e artistiche. Per contro si registrerà una scarsità di professionisti in ambito informatico e pedagogico (circa 600 unità per entrambi). A questi si aggiungerà una scarsità di offerta sul fronte dei servizi, in particolare per la cura delle persone e l’assistenza (quasi 5 mila in meno del necessario); e degli ambiti professionali per cui i datori di lavoro non richiedono una formazione altamente specializzata (più di 12’500 lavoratori in meno) e per cui ci si attende che verrà effettuata una formazione specifica a livello aziendale.

Come colmare questo deficit di manodopera? «Incentivando l’occupazione femminile (con più asili nido, mense e doposcuola, ndr) che ha tassi di sottoccupazione tripli rispetto a quelli maschili e orientando le scelte dei giovani verso professioni che mostrano più capacità di assorbire manodopera», afferma da parte sua Stefano Modenini, direttore dell’Aiti.

Gli industriali: ‘Rivedere il sistema scolastico e formativo’

«I temi del mercato del lavoro, della formazione e della demografia devono avere la priorità assoluta nelle agende delle istituzioni», ricorda il presidente dell’Aiti Oliviero Pesenti. «L’analisi della Supsi fornisce una fotografia interessante dei profili professionali richiesti nei prossimi anni e potrebbe fungere da stimolo – alle autorità cantonali e alle organizzazioni professionali – per riflettere seriamente sul sistema scolastico e formativo ticinese che secondo noi dovrebbe essere orientato maggiormente, fin dalla scuola dell’obbligo, alla cultura tecnica e alla tecnologia in generale».

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