Ticino

‘Salari, le differenze dovute al genere sono un’eccezione’

Gian-Luca Lardi, vicepresidente dell’Unione svizzera degli imprenditori, relativizza i dati: ‘Meno del 4% e non il 20% come si narra’

‘Ci vorrebbero più donne nei settori economici a prevalenza maschile’
(Ti-Press)

«Le aziende con una struttura salariale discriminatoria nei confronti delle donne sono un’eccezione e non la regola». Stando a Gian-Luca Lardi, vicepresidente dell’Unione svizzera degli imprenditori (Usi), «dai primi dati dell’analisi indipendente dei salari a cui le aziende con oltre 100 dipendenti devono sottoporsi per legge, emerge che le differenze salariali non spiegabili da fattori oggettivi sono molto inferiori a quanto afferma, per esempio, l’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo che stima questa differenza in 1’512 franchi di media al mese». «Per la prima volta disponiamo ora di cifre effettive, forniteci dai controlli salariali imposti dalla legge ai datori di lavoro, e questi mostrano differenze molto inferiori», continua Gian-Luca Lardi. Certo, rimanendo ai dati dell’Ufficio federale per l’uguaglianza che stimano il gap salariale del 20%, di cui circa la metà (45%) non è spiegabile, è comprensibile che le donne si indignino e la politica rivendichi dei correttivi. «Premetto che non c’è nessuna ragione per retribuire una donna con un salario inferiore a quello di un uomo per il solo fatto che appartenga a un altro genere. Ribadiamo che a parità di formazione, competenze ed esperienza deve corrispondere uguale salario. Questo è assodato. Il compito delle associazioni economiche è però anche quello di rendere attenta la politica e l’opinione pubblica che le cose non stanno così. Spesso ci troviamo di fronte a una narrazione politica che distorce la realtà. I risultati delle analisi effettuate da specialisti neutrali nelle aziende mostrano differenze salariali non spiegabili che ammontano in media a circa il 2-4% e non il 20% come sentiamo dire spesso. L’obiettivo, anche dell’Usi, è quello di azzerare questo divario», continua Lardi.

Come fare, allora? Gli interventi legislativi mirano anche a questo: a forzare un percorso. «I cambiamenti della società vanno già in questa direzione. La trasformazione del mercato del lavoro ha luogo, ma ci vuole tempo perché sono caratteristiche generazionali. Non credo però che ciò possa avvenire in modo coercitivo. Una cosa che lo Stato può fare è quella di incentivare sempre più giovani donne verso professioni tradizionalmente ‘maschili’ e viceversa. Spesso le differenze salariali nascono dal fatto che ci sono settori economici storicamente a prevalenza maschile o femminile. Bisognerebbe tentare di invertire questa situazione anche favorendo la conciliabilità tra famiglia e lavoro. Obiettivo che potrebbe essere raggiunto attraverso una collaborazione tra pubblico e privato principalmente nel settore degli asili nido, per esempio», conclude Lardi.

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