Ticino

La ’ndrangheta prende il treno

Si sarebbe infiltrata nei cantieri ferroviari italiani. Sotto la lente della Dda di Milano pure due società appaltanti del consorzio ‘Mons Ceneris’

Indagini e misure cautelari (Ti-Press)
11 febbraio 2022
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La ‘ndrangheta avrebbe allungato i suoi tentacoli nei cantieri ferroviari di Rfi, il braccio operativo delle Ferrovie dello Stato italiane. È quanto ritiene sia accaduto la Direzione distrettuale antimafia di Milano. Stando all‘indagine del Nucleo di polizia economico-finanziario della Guardia di Finanza di Varese e Como, coordinati dal sostituto antimafia Bruna Albertini, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ’ndrangheta dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto avrebbero ottenuto in subappalto lavori che Rfi appaltava a ’colossi’ del settore, come Generale Costruzioni Ferroviarie spa (Gcf) del Gruppo Rossi e il gruppo Ventura. Trentasei le persone indagate per le quali il magistrato inquirente aveva chiesto la custodia cautelare carcere. Quindici quelle finite dietro le sbarre, quattro agli arresti domiciliari. Le altre persone continuano a essere indagate a piede libero. Fra cui i due fratelli Rossi, conosciuti anche in Canton Ticino.

Lavori di armamento e manutenzione dei binari

La Generale Costruzioni Ferroriare, al pari della Gefer (la cui sede è nel varesotto, così come un’altra impresa riconducibile al Gruppo Rossi), facevano parte del gruppo italo-svizzero ‘Mons Ceneris’ che ha realizzato il tunnel del Monte Ceneri. Oltre alle misure cautelare il gip di Milano ha disposto anche il sequestro di beni per 6,5 milioni di euro di cui un milione e mezzo di euro a carico di una impresa del Gruppo Rossi con sede a Cuveglio, in Valcuvia, a due passi dal confine con il Canton Ticino. Stando all’accusa i colossi che “avevano messo le mani in uno dei settori strategici” dell’Italia, nel periodo compreso fra il 2013 e il 2018 avrebbero ottenuto appalti per un miliardo e mezzo di euro. Soprattutto lavori di armamento e manutenzione dei binari distribuiti sull’intero territorio nazionale. Al centro dell’indagine della Dda milanese un complesso sistema di “subappalti mascherati” che coinvolgeva anche le grandi società appaltatrici, come i gruppi Rossi e Ventura.

L’inchiesta ticinese sul tunnel del Ceneri: ‘Finora non sono emerse fattispecie riconducibili al reato di organizzazione criminale’

Spesso gli operai che finivano nei cantieri non avevano “alcuna competenza professionale” e la documentazione che attestava la loro abilitazione era frutto di “falsificazione”. Non solo: il personale lavorava in “condizioni di sfruttamento”. Qualcosa di analogo sarebbe accaduto anche nel cantiere del tunnel del Monte Ceneri: al riguardo nel 2019 il Ministero pubblico ticinese ha aperto un‘inchiesta per presunta violazione della Legge sul lavoro e delle norme di sicurezza. L’indagine è tutt’ora in corso. Ne è titolare il procuratore pubblico Andrea Gianini. «Dall’inchiesta che coordino non sono emerse finora fattispecie riconducibili al reato di organizzazione criminale», afferma il pp interpellato dalla ’Regione’.

Al centro dell’inchiesta italiana, iniziata a seguito del fallimento dell’impresa di Cuveglio, le società appaltanti Gcf Costruzioni Generali spa, Gefer srl, Armafer spa, Globalfer spa, Salcef spa, Francesco Ventura Costruzioni Ferroviarie spa, Fersalento srl, Euroferroviaria spa. I lavori di armamento e di manutenzione della rete ferroviaria finiti al centro delle indagini riguardano diverse regioni, in prevalenza Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. Una ricostruzione, quella fatta dalla pm Albertini a valle degli accertamenti della Guardia di finanza, che la giudice per le indagini preliminari Giuseppina Barbara, come si legge nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere (380 pagine), ha condiviso solo in parte. La Dda aveva infatti chiesto i domiciliari per una imprenditrice, titolare assieme a due familiari del Gruppo Ventura, candidata poi ritirata di Pd-Leu-M5s alle Regionali in Calabria, che il gip ha respinto. Respinta anche la richiesta del carcere per i due fratelli titolari del Gruppo Rossi. Per alcuni di coloro che sono finiti in carcere il gip Barbara scrive che “dietro questa immagine ufficiale di imprenditori si nasconde il volto di uomini quantomeno contigui alla ‘ndrangheta, dalla quale mutuano metodi violenti per la risoluzione di controversie che possono insorgere sui loro cantieri o con gli operai che vi lavorano”. Gli inquirenti nell’imputazione per associazione per delinquere con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa citano anche un’intercettazione riguardante i grandi imprenditori: ogni gruppo controllava una Regione. Il Gruppo Rossi tutto il Nord Italia. I grandi gruppi che ricevevano gli appalti da Rfi, parte lesa, avevano quindi rapporti “con le numerosissime società a loro riconducibili ma fittiziamente intestate a prestanome”. Nell’ordinanza di custodia cautelare si parla a lungo del fatto che “il provento delle attività di fatturazione per operazioni inesistenti viene in parte utilizzato per il mantenimento economico dei detenuti e delle loro famiglie” e per dar “lavoro ai disoccupati in un’area particolarmente depressa del Paese e così rafforzando il prestigio della cosca”.

Dopo la diffusione della notizia degli arresti e dell’inchiesta, Rete ferroviaria italiana ha diffuso una nota per informare di essersi “subito attivata nei confronti delle imprese coinvolte al fine di acquisire ogni elemento utile per valutare le più opportune iniziative” e sottolinea di aver “già avviato un lavoro per rafforzare le azioni contro i tentativi di infiltrazione criminale negli appalti e dà la sua piena disponibilità per aprire un tavolo con gli organi competenti e contribuire a trovare ulteriori soluzioni, ancora più efficienti e tempestive”.

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