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Lavoro, più fragili del resto della Svizzera

Le transizioni in seno al mercato dell’impiego sono meno dinamiche rispetto a quanto avviene altrove. Un’analisi dell’Ustat

(Archivio Ti-Press)
14 settembre 2021
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La tripartizione classica tra occupati, disoccupati e inattivi non è sempre sufficiente a capire tutte le sfaccettature del mercato del lavoro. Un’analisi dell’Ufficio cantonale di statistica (Ustat) pubblicato nella rivista ‘Dati - Statistiche e società’ il primo giugno del 2020 dimostrava che l’approccio statico, generalmente riservato al mercato del lavoro, pur fornendo una buona descrizione della popolazione in un determinato momento, trascura gli aspetti più dinamici, come le transizioni tra uno stato di attività e un altro. In pratica non si considera il percorso individuale di chi è colpito dalla disoccupazione. Maurizio Bigotta e Vincenza Giancone, ricercatori Ustat, hanno cercato di andare oltre l’approccio statico proponendo un’analisi longitudinale delle transizioni in seno al mercato del lavoro con l’intento di mostrarne la dinamicità. Una delle basi di dati usate è quella della Rifos (Rilevazione sulle forze di lavoro in Svizzera). Sfruttando il potenziale longitudinale di questa fonte – si precisa nell’inserto ‘Extra Dati’ di settembre – è possibile osservare una stessa persona più volte nell’arco di 15 mesi. La popolazione di riferimento della Rifos è solo quella residente sul suolo nazionale, escludendo la manodopera transfrontaliera. I due autori precisano subito che non si intende fornire un’analisi approfondita della realtà ticinese, ma di aprire un nuovo cantiere analitico “per trarre e sfruttare informazioni più appropriate e centrate alla realtà economica”. Cosa emerge per il Ticino? Dinamiche che si conoscevano già, ma che questa analisi conferma ancora una volta: è più facile rimanere disoccupati e si rimane in tale condizione o in quella degli inattivi più a lungo rispetto ad altre zone del Paese.

Dal 2010 la Rifos è un’indagine continua che intervista una stessa persona quattro volte nell’arco di quindici mesi. In pratica ogni individuo viene quindi intervistato quattro volte a distanza di tre, dodici e quindici mesi dalla prima indagine, è quindi possibile sapere come lo stato di ogni persona cambia nel tempo. Stando a questa rilevazione in Svizzera, tra il 2011 e il 2019, la maggior parte della popolazione esercitava un’attività professionale e lo faceva già dodici mesi prima (il 60,9%). Un secondo gruppo della popolazione (il 27,3%) era invece inattivo e lo era ancora dodici mesi dopo. Una lettura semplice e diretta che potrebbe essere complicata – si spiega – introducendo altre scomposizioni dello stato di inattività: i disoccupati, i sottoccupati, gli scoraggiati eccetera. “Un approccio più semplice e intuitivo è quello delle probabilità condizionate: si calcola la probabilità di ritrovarsi in un determinato stato sul mercato del lavoro sapendo in che stato ci si trovava dodici mesi prima”, scrivono i due ricercatori. Nel caso specifico si può concludere che a livello svizzero la maggior parte di chi era occupato rimane occupato dodici mesi dopo (93,1%), una piccola parte (2%) diventa disoccupato e una quota più importante diventa inattivo (5%).

Il caso ticinese

Analizzando i risultati – sempre per il periodo 2011-2019 – delle probabilità condizionate di transizione tra i diversi stati d’attività, per il Ticino risulta una probabilità leggermente più bassa (92,1%) di rimanere occupato dopo un anno dalla prima rilevazione. Percentuale simile ce l’ha anche chi vive attorno al Lemano (92%). In entrambe queste regioni aumenta, rispetto alla media nazionale (2%), sia la probabilità di diventare disoccupato (2,9% per il Lemano e 2,7% per il Ticino) sia quella di diventare inattivo (5,1% per il Lemano e 5,2% per il Ticino). Le performance migliori si trovano nella Svizzera centrale e in quella nordoccidentale.

Per quanto riguarda la transizione dei disoccupati la situazione ticinese è meno favorevole rispetto a quella del resto della Svizzera. Il 43,3% dei disoccupati ticinesi riesce a trovare un lavoro a un anno di distanza, valore inferiore di 8,7 punti percentuali rispetto a quello nazionale e di 5,3 punti rispetto alla regione lago Lemano che si colloca penultima in questa classifica. Un risultato che si allinea con la maggiore incidenza della disoccupazione di lunga durata. Tra le grandi regioni, infatti, il Ticino è quella con la maggiore incidenza di disoccupati iscritti di lunga durata. I dati Seco relativi al 2019 mostrano che il 16% dei disoccupati iscritti a Sud delle Alpi lo è da più di dodici mesi. Nelle altre grandi regioni la quota si ferma al 13,9%, idem per il Lemano. La probabilità di diventare inattivi è invece inferiore in Ticino (16,7%) rispetto al livello nazionale (18).

Infine la transizione degli inattivi. Nel resto della Svizzera gli inattivi hanno il 10,9% di probabilità di rientrare nel mercato del lavoro da occupati, mentre il 2,1% di rientrare come disoccupati. La maggioranza degli inattivi rimane tale anche dopo un anno (87%). Anche la probabilità di lasciare questa condizione in Ticino è più bassa: 6,8%. Sempre in Ticino, si rimane inattivi con una probabilità maggiore (91,2%), mentre nel resto delle regioni non si supera mai l’88 per cento.

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