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Cosa si fa in Ticino per aiutare i malati di Alzheimer

E le loro famiglie, ora che si parla di nuove cure, ma la strada sarà lunga. Intervista sulle demenze a Ombretta Moccetti (Alzheimer Svizzera)

(Ti-Press)
9 giugno 2021
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«Voglio andare da mia madre. Dov’è mia madre? Portami da mia madre». Che però è morta da anni. È uno degli esempi che Ombretta Moccetti utilizza per spiegarci cosa capita a un malato di Alzheimer o altre demenze in uno stadio avanzato, e di conseguenza quel che devono affrontare i suoi familiari. «Si tratta di malattie che distruggono progressivamente l’identità, tanto che l’accompagnamento negli anni del proprio caro che cambia viene anche denominato ‘lutto bianco’», spiega la responsabile del Centro competenze Alzheimer e altre demenze, patologie che colpiscono oltre 144mila anziani in Svizzera, oltre 7'600 in Ticino. Erano 6'300 nel 2019, il che fa intuire quanto sia significativo l’aumento dei casi correlato a quello della speranza di vita. Speranza che determina anche l’incidenza di genere, col 67% di casi tra le donne. Una cura non c’è, anche se proprio l’altro giorno sono giunte notizie incoraggianti circa una nuova terapia anti-Alzheimer (vedi sotto). Ma negli ultimi vent’anni la medicina ha fatto pochissimi passi avanti dal punto di vista terapeutico, «anche se si sono compresi meglio la natura delle demenze, i loro meccanismi e la probabilità che i fattori scatenanti siano molteplici».

‘Approccio multiforme’

In attesa di qualche cura almeno parziale, a correre in soccorso fin dal 1992 è la rete di servizi sul territorio sviluppata dal Centro, grazie agli sforzi congiunti di Alzheimer Svizzera e Pro Senectute. «Si comincia con lo sportello telefonico per identificare i bisogni di famiglie e specialisti (091 912 17 07, ndr), poi li si indirizza verso vari tipi di supporto», spiega Moccetti: «Ci sono anzitutto i gruppi di attivazione cognitiva, che tramite neuropsicologi e animatori aiutano a tenere in esercizio la memoria e il contatto sociale, due aspetti spesso correlati nel contrastare il decorso delle demenze». Poi ci sono i centri diurni, che permettono una presa in carico dalle 9 alle 17, e gli atelier ‘Tincontro’, per chi ha ancora un certo livello di coscienza e necessita di consulenza psicoterapeutica. Non si dimentica la famiglia, «alla quale offriamo gruppi di autoaiuto nei quali scambiarsi consigli e confrontarsi con degli esperti». Un approccio simile ai Caffè Alzheimer sul territorio, che seguendo un’idea olandese riuniscono attorno a un tavolo gli interessati e dei relatori specializzati. Ma c’è anche la consulenza ad hoc, perché ogni caso è diverso dall’altro. Lo dimostra proprio l’esempio della mamma: «In alcuni casi, quando l’orientamento nella realtà è ancora indicato, si consiglia alla famiglia di ricordare con tatto al malato che la madre non c’è più, in altri più gravi questo diventa inutile, anzi, rischia di mandare in ansia una persona per la quale quella è ridiventata una presenza reale e che non si sente più creduta dai suoi cari. Ecco allora che bisogna dare valore alle emozioni, ricordare insieme, magari fare due passi per distrarsi… Naturalmente non è per niente facile per chi è coinvolto», ovvero da uno a tre parenti per malato, «anche perché spesso può capitare di dover ricominciare da zero dopo poche ore. Per questo il nostro è un supporto che unisce l’intervento di volontari qualificati, anche a domicilio, con la consulenza pratica e psicologica. Siamo convinti che la miglior risposta sia un approccio integrato e multiforme». 

Ci si mette anche il Covid

Nell’ultimo anno ci si è messo anche il Covid, che ha costretto alla chiusura iniziale dei centri diurni e a grandi problemi nel seguire le attività in istituti e case anziani, ha cancellato i Caffè e fatto saltare le Vacanze Alzheimer, «un progetto speciale che permette a un malato e a un suo parente di viaggiare insieme a un assistente dedicato. Ciò consente ai familiari di ritagliarsi momenti di svago e allo stesso tempo ha un effetto incredibilmente positivo sulla ‘presenza’ dei malati, dunque anche sul morale dei parenti che vedono ‘tornare’ almeno in parte il loro caro come lo hanno sempre amato e conosciuto». Durante pandemia e lockdown «abbiamo cercato di ovviare ai problemi rafforzando l’assistenza domiciliare, ma l’effetto della mancata socializzazione e dello stravolgimento delle routine è stato tremendo, soprattutto su chi era ancora parzialmente autonomo: in molti di questi casi abbiamo visto peggioramenti drastici. Ora per fortuna stiamo ripartendo».

IL FARMACO

Per una cura bisogna attendere

“Una luce all’orizzonte”. L’associazione Alzheimer Svizzera (Alz) saluta così l’approvazione di un nuovo farmaco anti-Alzheimer da parte della Food and Drug Administration statunitense. Ma è la stessa Alz a mettere in guardia contro facili entusiasmi: il farmaco chiamato Aducanumab ha bisogno ancora di molte sperimentazioni e la sua efficacia, se dimostrata, appare comunque limitata agli stadi precoci della malattia. Due studi preliminari sono giunti a risultati contrastanti. Il farmaco potrebbe dimostrarsi efficace nel combattere almeno parzialmente la formazione di placche proteiche che distruggono le cellule cerebrali, il meccanismo alla base della propagazione del morbo.

L’Aducanumab “non è un rimedio miracoloso”, ricorda Alz, e la sua approvazione in Svizzera richiederà ancora tempo: la domanda presentata all’istituto svizzero per gli agenti terapeutici Swissmedic è di pochi mesi fa, e alla questione dell’efficacia si aggiunge quella della copertura da parte delle casse malati. L’approvazione americana infonde comunque fiducia a un ambito della ricerca medica che negli ultimi decenni ha visto investimenti milionari seguiti da scarsi risultati, col conseguente abbandono dei lavori da parte di alcune grandi aziende farmaceutiche.

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