Ticino

Il Consiglio di Stato chiede a Berna di riaprire più in fretta

Si spinge per la riapertura di ristoranti e bar, cinema e teatri, strutture sportive al coperto. Anche i Grigioni chiedono maggiori allentamenti e più test

21 febbraio 2021
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Datevi una mossa. È questo il senso della presa di posizione inviata dal Consiglio di Stato all’esecutivo federale. Consultato sugli allentamenti previsti da Berna – dal 1° marzo potrebbero riaprire negozi, musei, zoo, giardini botanici e impianti sportivi all’aperto –, il governo ticinese li ha sì condivisi, ma li ha anche definiti “troppo prudenti sia nei tempi che nei contenuti”. Per questo ha chiesto “fermamente” di anticipare la seconda tappa di riaperture al 22 marzo e di includervi anche ristoranti, bar, cinema e teatri. Quanto necessario, insomma, per ‘salvare’ dal lockdown le vacanze pasquali (dal 2 all’11 aprile). «Nonostante la presenza della variante inglese, più contagiosa, e un ritorno a una mobilità interna piuttosto sostenuta, il dato sui contagi nell’ultima settimana risulta il più basso da ottobre», ci spiega il presidente del Consiglio di Stato Norman Gobbi. «Questo ci rende ottimisti circa la possibilità di riaprire adeguando gli allentamenti già ogni due-tre settimane, cosa che sappiamo già essere possibile dopo l’esperienza della scorsa primavera».  

Naturalmente, spiega Gobbi, «non si tratta di tornare alla piena libertà pre-Covid, ma di muoversi con la massima prudenza». Berna aveva proposto di riaprire solo le terrazze dei ristoranti, e solo dal primo aprile. Una soluzione limitante e discriminatoria, secondo la presa di posizione del Consiglio di Stato. Soprattutto, nota Gobbi, «è fondamentale dare una prospettiva a settori come quello della ristorazione che rischiano altrimenti di subire oltre cento giorni di chiusura consecutivi, con prevedibili conseguenze economiche e sul morale».

A proposito di terrazze, è di sabato la decisione di prolungare fino al 15 marzo l’accessibilità di quelle degli impianti sciistici: almeno fino a quel giorno ci si potrà ancora sedere per consumare il proprio pasto da asporto, pur in numero massimo di quattro persone per tavolo e con l’obbligo di mantenere le giuste distanze. Un’eccezione, questa, che il capo del Dipartimento federale dell’interno Alain Berset aveva definito “contraria al diritto” e a sua volta discriminatoria. Il direttore del Di dissente: «Si tratta di contesti particolari, all’aria aperta e facilmente controllabili. Imporre di disperdersi a consumare i pasti in situazioni precarie mette a dura prova una popolazione già stanca, che comprensibilmente fatica a percepire la logica di certi divieti. D’altronde, vorrei vedere se il consigliere federale quando va a sciare si siede nella neve per mangiarsi il suo panino e bere la sua Rivella».

Tornando al messaggio rivolto a Berna, oltre alle riaperture anticipate al 22 marzo per bar e ristoranti, almeno in orario diurno, si chiede che lo stesso sia possibile per “cinema, teatri e strutture sportive e ricreative all’interno, pur con limiti di capienza”, e di pianificare già non solo una seconda, ma anche una terza fase di allentamento. Ben vengano la riapertura dei negozi e l’innalzamento a 15 del numero di persone che possono riunirsi all’aperto, ma si vorrebbe anche aumentare a 10 il numero di persone che possono ritrovarsi al chiuso. Infine si chiede di elevare da 18 a 20 anni il limite di età per consentire il ritorno a tutte le attività sportive e culturali, mentre “scetticismo è espresso sull’opportunità di riaprire anche le competizioni”. Dal primo marzo si vorrebbe anche consentire lo sport all’aperto senza contatto fisico a gruppi fino a 15 persone, e fino a 5 al chiuso. Il tutto, ovviamente, “con la riserva che la situazione rimanga stabile”.

GRIGIONI

Più autonomia per chi fa test

Intanto anche Coira ritiene “troppo unilaterali e troppo lenti” i provvedimenti previsti dalla Confederazione. Il governo retico chiede che venga lasciata maggiore libertà ai cantoni, specie a quelli che come i Grigioni si impegnano attivamente nell’esecuzione di test a tappeto. “Oltre alle misure restrittive”, si legge in una presa di posizione, “svolgere test in maniera attiva e preventiva rappresenta un’alternativa valida che deve trovare un riscontro positivo quando si tratta di decidere allentamenti”. Quanto alla ristorazione, si chiede che almeno all’esterno venga consentita già a partire dal primo marzo. Se ciò non fosse possibile, allora si domanda che almeno i take away possano mettere a disposizione posti a sedere al loro esterno. Anche per cinema e teatri viene invocata una riapertura (con mascherine) già dall’inizio del mese prossimo.

Tornando ai test, “ai Cantoni che dispongono di un buon sistema di monitoraggio occorre permettere di procedere a riaperture in tempi più brevi, in quanto eventuali sviluppi negativi vengono individuati più rapidamente. Inoltre questo incentivo motiverebbe i Cantoni a portare avanti una buona attività di monitoraggio e avrebbe risvolti positivi sulla motivazione della popolazione e dell'economia a partecipare attivamente”. Sempre in riferimento al cosiddetto depistaggio, “il Governo constata con stupore che la strategia della Confederazione non prevede il coinvolgimento di ulteriori misure, tra cui i test preventivi”, ma punta sulle chiusure e su imposizioni che “paiono arbitrarie”, ad esempio “permettere determinate manifestazioni sportive, ma non permettere attività di ristorazione all’aperto”.

Ma i test a tappeto sono davvero una soluzione? Tornando in Ticino, Gobbi invita alla prudenza: «È vero che in alcuni casi possono permettere di fermare subito un eventuale focolaio: lo abbiamo visto procedendo in questo senso alla Scuola media di Morbio Inferiore. Una somministrazione indiscriminata rischia però di creare un falso senso di sicurezza in chi, risultando negativo, potrebbe abbassare la guardia nei comportamenti quotidiani». Quanto alla richiesta di maggiore autonomia cantonale avanzata da Coira, «per noi resta comunque importante mantenere massimo coordinamento e coerenza a livello nazionale. Ciò non toglie che le autorità federali debbano anche prestare attenzione alle specificità locali: nel nostro caso, ad esempio, al paradosso di un lockdown affiancato da regioni italiane come Lombardia e Piemonte, dove ristoranti e bar sono aperti».

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