
L'arcivescovo Ettore Balestrero, già titolare di importanti incarichi in Vaticano, poi nominato prima Nunzio Apostolico in Colombia e attualmente nella Repubblica del Congo, ha manifestato la disponibilità a patteggiare la pena con la Procura della Repubblica di Genova relativamente all'inchiesta per riciclaggio internazionale ed evasione fiscale che lo vede indagato insieme al fratello Guido, immobiliarista. Le indagini soni frutto anche di operazioni finanziarie avvenute a Lugano, i magistrati genovesi hanno posto come condizione la definitiva confisca da parte dello Stato italiano dei 7 milioni di euro sequestrati durante l'inchiesta all'alto prelato e ai suoi parenti.
Sul patteggiamento dovrà pronunciarsi il Tribunale di Genova. Gli inquirenti hanno ipotizzato un giro di capitali frutto di presunte truffe e rientrati in Italia attraverso una complessa rete di società disseminate con sedi nei Caraibi e il Canton Ticino, si tratterebbe di soldi relativi a un maxi contrabbando di carni dall'Argentina, risalente alla fine degli anni Novanta, che sarebbe stato gestito dal padre del prelato, Gerolamo. In particolare gli investigatori si sono focalizzati su una transazione del 14 settembre 2015, quando Balestrero ha effettuato una donazione da 4 milioni di euro al fratello, operazione che secondo la Guardia di Finanza sarebbe la prova finale. I milioni di euro sarebbero passati attraverso una società con sede alle Isole Vergini Britanniche, da una fiduciaria e da una banca ticinese e rientrati in Italia con lo scudo fiscale.
L'architettura finanziaria sarebbe stata costruita da un broker ticinese soprannominato nelle intercettazioni eseguite dalla procura di Genova "manina molla" (persona che non è indagata dagli inquirenti italiani), il prelato insieme al padre si sarebbe anche recato presso il suo ufficio in Via Nassa a Lugano. I pubblici ministeri ipotizzano che la donazione servisse in realtà a finanziare un'operazione immobiliare la ristrutturazione dei Bagni Lido a Genova. La decisione di patteggiare dei Balestrero non viene da loro ritenuta un'ammissione di colpa ma deriverebbe dalla difficoltà nel reperire la documentazione del caso. E l'arcivescovo, attraverso i suoi legali dice: "La scelta di patteggiare è dovuta a diverse ragioni. Fra queste, forse la più sentita è ridare serenità alla famiglia di mio fratello Guido e alla mia condizione ecclesiastica. Ciò mi ha fatto risparmiare tempo ed energie per la mia missione spirituale e, come sacerdote, sento l'obbligo di volgere la mente e i miei desideri alla mia missione e non al denaro". L'Arcivescovo ha dichiarato all'Ansa: "Si tratta di una vicenda esclusivamente familiare, che riguarda l'attività imprenditoriale di nostro padre negli anni '90 del secolo scorso. All'epoca mi trovavo all'estero in missione, molto lontano dall'Italia. Non ho mai conosciuto gli eventi di quegli anni e sono stato assolutamente estraneo ad essi. Quando ho donato a mio fratello la sua quota, l'ho fatto con atto pubblico e trasparente, convinto di non commettere nulla di illecito. Altrimenti non l'avrei fatto. Io e mio fratello abbiamo scelto di patteggiare, con dolore, perché riteniamo di non avere responsabilità penali, ma credo sia la scelta più confacente per ridare serenità alla famiglia di Guido e alla mia condizione ecclesiastica".