Ticino

Cliniche e ospedali attendono ancora il lavoro ridotto

L'allarme è stato lanciato dall'Associazione delle cliniche private ticinese. Senza copertura pubblica, si rischiano licenziamenti

(foto Ti-Press)
10 luglio 2020
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Le cliniche e gli ospedali ticinesi saranno costretti a licenziare personale a causa del mancato riconoscimento, a differenza di altri settori, del lavoro ridotto? È quanto si chiede l'Associazione delle cliniche private ticinesi (Acpt) che in un comunicato esterna preoccupazione. Fino ad oggi, infatti, "le autorità preposte all’esame delle domande non è giunta alcune risposta. Si evocano problemi giuridici e intanto non si decide", si legge nella nota firmata dal presidente dell'Acpt Giancarlo Dillena. Sulle oltre 17 mila richieste introdotte dai vari settori economici 16 mila sono già state evase. "Perché si temporeggia sul settore ospedaliero?", ci si chiede. "È un fatto grave, che l’Associazione cliniche private ticinesi deplora, sollecitando una rapida evasione delle pratiche".
Le cliniche - si legge ancora - hanno garantito il pieno supporto al Cantone nella gestione dell'emergenza Covid. Parte del personale, quello necessario, ha lavorato al fronte per la cura dei pazienti, andando a completare i team dei reparti di cura e delle terapie intensive dei due centri Covid in Ticino. Altro personale ha dovuto restare a casa perché la continuazione dell’attività sanitaria, ambulatoriale e stazionaria, non urgente è stata proibita dalla Confederazione.

L'attività è ancora a rilento

Con l’inizio di maggio le limitazioni federali sono venute meno, ma "la ripresa dell’attività in alcuni settori è stata lenta e ancora oggi non eguaglia quella registrata negli anni passati, impedendo quindi la piena occupazione del personale", si fa notare. A essere tuttora chiusi, peraltro senza prospettiva di riapertura nei prossimi mesi, sono poi alcuni dei servizi accessori (es. ristorazione) che le cliniche gestiscono, con conseguente azzeramento del fatturato.

"Le strutture sanitarie private del Cantone non hanno per il momento goduto di alcun aiuto diretto da parte della Confederazione. Nonostante ciò hanno mantenuto i posti di lavoro. Il Cantone ha assicurato che manterrà inalterato il proprio contributo, che nella maggior parte delle strutture private copre poco più di un terzo delle entrate (il che significa che comunque due terzi degli introiti mancheranno comunque all’appello). Un atteggiamento certamente apprezzato dal settore, che spera abbia il seguito promesso", si continua. 

Nessun fondo né dalle casse malati, né dalla Confederazione

Gli assicuratori malattia hanno già fatto sapere - come d’altronde è il caso della Confederazione - che non intendono stanziare fondi per sostenere le perdite di incassi di cliniche e ospedali. "È un atteggiamento deplorevole, che potrebbe avere conseguenze estremamente negative. Le cliniche sono ora molto preoccupate e deluse anche per la dimostrazione di chiusura che è stata data dalle autorità competenti al riconoscimento del lavoro ridotto, diritto garantito di principio a tutti i lavoratori e le lavoratrici. Lo strumento del lavoro ridotto, promosso a gran voce a livello federale, non è fino ad oggi stato riconosciuto alle strutture sanitarie del cantone". "Se non vi sarà a breve un cambiamento su questo aspetto (che tocca anche il settore ospedaliero pubblico) - si sottolinea - le cliniche che fino ad oggi si sono assunte interamente il rischio dei mancati introiti potrebbero loro malgrado dover licenziare il personale in esubero in questo momento, con il rischio di lasciare scoperto il sistema sanitario nel momento di una prossima, verosimile nuova ondata epidemica". "Le strutture stanno facendo tutto il possibile per evitare questo, ma i segnali giunti ancora di recente dalla Sezione del lavoro della Divisione dell’economia non incoraggiano a sperare in una soluzione rapida e positiva della questione. A questo punto un interessamento diretto del Governo sarebbe più che mai auspicabile", si conclude.

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