La diagnosi è sempre la stessa: 'il cambiamento climatico è determinato dalle attività umane'. Il compito dei media è evitare di diffondere fake news
«Abbiamo già perso 40 anni» da quando la comunità scientifica ha concluso che il cambiamento climatico è determinato in misura decisiva dalle attività umane, e non è il caso di indugiare oltre. Il climatologo Luca Mercalli ha una camicia che lui stesso definisce «verde clorofilla» e un papillon che mette una certa allegria, ma quando si rivanga la questione della relazione fra uomo e clima perde la pazienza.
Eppure la discussione continua: questione di pluralismo, dicono alcuni.
«È un dibattito antistorico, sostenuto da visioni del mondo in parte legate a precisi interessi economici. Poi c’è una questione ideologica: si rifiuta una propria responsabilità sui danni ambientali, perché implicherebbe scelte difficili, inclusa la possibilità che lo Stato metta le mani nelle nostre tasche e ci imponga alcune limitazioni. Allora si semina il dubbio: è la strategia di chi vuole ritardare decisioni nette, che hanno bisogno di un ampio consenso da parte dei cittadini».
Capita che anche gli scienziati sbaglino, però.
«Ma è da 40 anni che i climatologi esprimono la stessa diagnosi: se fosse una bufala, l’Onu non si metterebbe a fare questa battaglia di civiltà. Anche in medicina c’è un margine di incertezza, ma per curarsi si va lo stesso dal medico».
Cosa possono fare i media?
«Evitare di diffondere fake news. Qui non è più il caso di dare spazio a tutti. È urgente, perché nei processi naturali l’irreversibilità dei cambiamenti all’inizio non si percepisce del tutto, ma poi acquisisce in fretta una magnitudo capace di travolgerci. Non si vince contro la termodinamica».