Ticino

Transfair: ‘Tutelare la privacy del personale sui treni’

La richiesta alle Ffs è di togliere nome e cognome dalla targhetta identificativa e sostituirli con un codice. Petizione firmata da 556 persone

18 ottobre 2019
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Aggressioni verbali o fisiche e minacce personali da parte di viaggiatori scontenti, fino ad arrivare ad atti di stalking. Sono «eventi ripetuti» con i quali il personale che lavora sui treni delle Ferrovie federali svizere (Ffs) è stufo di convivere.

Per questo motivo, il sindacato dei trasporti Transfair ha lanciato una petizione per tutelare la privacy degli addetti. Una petizione, presentata stamattina alla stampa, che in sei mesi ha raccolto 556 firme e chiede di sostituire il nome e il cognome presenti sulla targhetta con un numero identificativo. «Si legge sui media di viaggiatori che subiscono molestie verbali, o che vengono aggrediti da altri passeggeri sui convogli ferroviari in cui si trovano – rileva Tessa Jorio, presidente di Transfair - Ffs Regione sud –. Tuttavia, le aggressioni di cui è vittima il personale che lavora sui treni da parte di passeggeri rimangono in silenzio. Solo chi le ha subite continua a ricordarle, spesso con il timore di essere perseguitato anche nella sfera privata».

Vivendo così, va da sé, «con un’ansia non indifferente, che a volte porta a condizionare la propria vita sociale, nonché le abitudini e il proprio atteggiamento». Con lo sviluppo della tecnologia e dei social network, «è molto più facile rintracciare le persone a partire da nome e cognome» continua Jorio. Che aggiunge: «Nel corso della mia attività ho subito, come altri colleghi, diverse aggressioni verbali e fisiche». E quindi a nostro avviso è «chiara l’urgenza di togliere nome e cognome dalla targhetta identificativa, sostituendola con un numero. Ho voluto farmi promotrice di questa petizione promuovendo una raccolta firme che sostenesse questa richiesta volta a tutelare il personale da possibili ritorsioni. O quanto meno, a rendere più arduo rintracciare i collaboratori nella loro vita privata». Togliere nome e cognome non significa anonimizzare, annota. Perché «condividiamo l’importanza di permettere all’utenza una chiara identificazione di colei o colui che opera nell’ambito del servizio pubblico, ma questo può essere fatto attraverso il nostro numero identificativo, di cui già disponiamo». Una questione particolarmente avvertita dalle donne lavoratrici, risponde Jorio a domanda della ‘Regione’: «Con i social network è molto più facile rintracciare una persona. Non solo per vendetta, ma anche per un interesse morboso, cercando di sapere dove abita».

Anche l’Incaricato federale della proteztione dei dati e della trasparenza concorda con questa richiesta, rileva la segretaria di Transfair Gerardina Furlani: «Nelle aziende di trasporto pubblico il fatto che il nome sia indicato sulla targhetta è considerato un modo di fare marketing, di presentarsi ai clienti e di curare l’immagine. Questi interessi si contrappongono ai diritti dei lavoratori di tutelare la propria persona e la propria privacy e integrità fisica. Renderla nota può compromettere la sicurezza». La conclusione dell’incaricato è che «gli interessi di sicurezza degli impiegati prevalgono sugli interessi di marketing del datore di lavoro, e propone misure meno incisive, quindi un codice che porterebbe ai superiori un facile controllo».

E se la direttrice di Transfair - Regione sud Nadia Ghisolfi conferma che «il sostegno nazionale del sindacato a questa petizione è garantito, anche perché non so quali scuse potrebbero usare le Ffs per dirci di no», Roberta Cattaneo, direttrice regionale sud delle Ferrovie, presente in sala nel ricevere la petizione e le firme, afferma come questa «non è una soluzione che possiamo implementare a livello regionale, ma deve essere affrontata a livello nazionale». Ciò detto, è garantito «l’impegno, lunedì 28 ottobre, a consegnare a Berna queste firme e a chiedere di discutere questa tematica».

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