Ticino

‘Mafie, conoscerle per agire’

Così il comandante della Polizia cantonale dopo la risposta del Consiglio federale all'interpellanza di Romano. Ricorda Cocchi: con Fedpol un piano d'azione in Ticino

4 dicembre 2018
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La presa di posizione del Consiglio federale sull’interpellanza del deputato ticinese al Nazionale Marco Romano è dei giorni scorsi. Il governo ricorda che “la lotta alle organizzazioni criminali di stampo mafioso, quindi anche alla mafia italiana, costituisce una priorità” per l’Ufficio federale di polizia (Fedpol) e per il Ministero pubblico della Confederazione. Scrive a lungo, sottolineandone l’importanza, della cooperazione investigativa sul piano nazionale e su quello internazionale. Ma glissa sul tema di fondo posto da Romano. E cioè sulla decisione di qualche anno fa della Fedpol di centralizzare a Berna «il coordinamento delle proprie ‘antenne’ cantonali e dunque delle inchieste su mafia e terrorismo», osservava, interpellato dalla ‘Regione’, il parlamentare in occasione del deposito della propria interpellanza. E si chiedeva se l’operazione «si sia rivelata col tempo una mossa azzeccata oppure se non abbia fatto perdere alla Polizia federale, come temo, il contatto con le dinamiche locali». Con la realtà locale.

Matteo Cocchi, comandante della Polizia cantonale: dal suo punto di vista un’operazione azzeccata?
Non compete al comandante della Polizia cantonale esprimersi sulle strategie della Fedpol. Posso comunque affermare che il ‘gioco di squadra’ tra Polcantonale e autorità federali – in particolare l’Ufficio federale di polizia, appunto – funziona, secondo me, molto bene. Nell’ambito della sicurezza nazionale abbiamo infatti raggiunto, come polizia ticinese, maggiore centralità nella lotta al crimine organizzato, anche in considerazione della posizione geografica di confine del nostro cantone. Per esempio nell’azione di contrasto al terrorismo, la rete a livello nazionale e cantonale ha più volte dimostrato di essere estremamente efficace.

Ma la cooperazione tra Fedpol e Cantonale necessita di qualche correttivo o va bene così?
Non è mia abitudine dormire sugli allori, sia per quanto riguarda le attività della Polizia cantonale sia per quel che concerne i rapporti di collaborazione con altre forze di polizia. Lo impone del resto la lotta alla criminalità. Una criminalità che evolve, che muta a una velocità tale che a volte le istituzioni faticano a seguire. I costanti contatti a più livelli hanno portato però a dei miglioramenti che in futuro potranno essere ulteriormente rafforzati.

E che la collaborazione tra Fedpol
e Polizia cantonale “verrà ulteriormente rafforzata” lo preannuncia anche il Consiglio federale, rispondendo a Romano...
Da parte della Fedpol e da parte della Polizia cantonale, l’attenzione al fenomeno delle infiltrazioni mafiose nel nostro Paese non è mai mancata. Prova ne sia che, come spiegato anche recentemente dalla direttrice dell’Ufficio federale di polizia Nicoletta della Valle, stiamo lavorando insieme a un piano d’azione antimafia in Ticino.

Concretamente?
Dapprima analizzeremo il fenomeno per raccogliere le informazioni che ci necessitano sulle infiltrazioni mafiose nel nostro cantone e in seguito agiremo in modo coordinato a livello investigativo, senza dimenticare l’impiego di strumenti quali espulsioni e/o divieti di entrata in Svizzera. Ciò a dimostrazione di quanto detto prima: la collaborazione tra Polcantonale e Fedpol è positiva e orientata alla progettualità.

Il passaggio di inquirenti della Cantonale alla Polizia giudiziaria federale avviene ancora oppure l’emorragia è stata tamponata?
È un passaggio legato alle aspirazioni professionali che ogni agente possiede e su cui, ci mancherebbe altro, non esprimo giudizi. Se da un lato è vero che inquirenti della Cantonale sono passati nelle file della Fedpol, dall’altro noto che alcuni sono poi ritornati nel nostro corpo di polizia, che continua a mantenere un forte appeal per chi è alla ricerca di uno sbocco professionale nel settore sicurezza, in particolare come inquirente.

Comandante, le leggi vigenti in Svizzera sono sufficienti a contrastare in maniera efficace la crimi­nalità organizzata e segnatamente le associazioni mafiose italiane attive anche sul nostro territorio?
Sono cosciente del fatto che da più parti è stata sottolineata la mancanza oggi di strumenti legislativi adeguati per lottare efficacemente contro i fenomeni derivanti dalle infiltrazioni mafiose. In quanto comandante della Polizia cantonale sono abituato a lavorare nella maniera più efficace possibile con gli strumenti che ho a disposizione e ritengo che i risultati positivi degli ultimi anni, se pensiamo soprattutto alla diminuzione dei reati in generale in Ticino, lo testimonino. Sta invece al legislatore approfondire e se del caso potenziare l’arsenale giuridico, introducendo norme o modificando quelle esistenti, per contrastare meglio determinate forme di criminalità organizzata, come le associazioni da lei indicate.

La prossima settimana il Gran Consiglio si pronuncerà sul progetto di revisione della legge cantonale sulla polizia. Revisione proposta dal Consiglio di Stato e sostenuta dalla maggioranza della commissione parlamentare della Legislazione, ma oggetto anche di critiche. Questa riforma potrebbe rendere più incisive in Ticino le indagini sul crimine organizzato anche di stampo mafioso?
Certamente la possibilità di poter disporre, come Polizia cantonale e analogamente a quanto avviene già da anni in altri Cantoni, di strumenti d’inchiesta preventivi quali l’osservazione, l’indagine in incognito, l’inchiesta mascherata e la sorveglianza discreta faciliterebbe di sicuro l’attività degli inquirenti in molti ambiti investigativi. E non solo quelli legati alle infiltrazioni mafiose. Queste nuove norme, elaborate nel rispetto del quadro legale e conformemente alla giurisprudenza del Tribunale federale, permetterebbero agli agenti di agire con maggiore efficacia prima dell’apertura di un procedimento penale, per esempio nel quadro della lotta al traffico di stupefacenti e a reati come la pedofilia in particolare su internet.

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