Ticino

Recluta colpita, il padre: ‘Ho la prova che non è stato un gioco’

Si tratta di una fotografia dell'ematoma e delle ecchimosi sulla parte del corpo colpita dal lancio di oggetti. Intanto il giovane incassa il sostegno dell’Esercito

Ti-Press
19 ottobre 2018
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Il 14 settembre alla Scuola reclute di Emmen non è andato in scena un ‘‘semplice gioco’’. Lo assicura da noi interpellato D., il padre del ragazzo vittima dell’abuso immortalato dal video ormai diventato virale. E sono «prove oggettive: le condizioni della parte del corpo interessata dal lancio di oggetti. Ho un’immagine, una fotografia di questa parte offesa e, viste le estensioni di quell’ematoma e di quelle ecchimosi, posso assicurare che non sono sicuramente frutto di un lancio di ghiande o noci». Questa fotografia non può essere mostrata, in quanto agli atti dell’istruttoria preliminare, «ma c’è, ed è una prova oggettiva».

Quindi no, a Emmen non sembrerebbe essere andato in scena ‘‘un semplice gioco’’ come ha detto ieri, intervistata da ticinonews.ch, una delle reclute provenienti dal cantone presenti quel giorno. Di più: ‘‘È una balla che siano stati tirati sassi: nessuno aveva intenzione di fare male a qualcuno’’. Parole, queste, che lasciano D. «sgomento. Stando a questa intervista mio figlio avrebbe addirittura colpito un sergente maggiore con una noce, cosa che non è mai successa. Attendo serenamente l’esito dell’istruttoria, ma adirò alle vie legali nei confronti di chi mette in dubbio quanto da me dichiarato». Ad ogni modo ieri Philippe Rebord, capo dell’esercito, si è recato a S-chanf, dove è attualmente dislocata la Scuola reclute della Difesa contraerea 33. Per vederci chiaro, per parlare con i presenti, ma soprattutto per incontrare il ragazzo come aveva anticipato il Dipartimento federale della difesa. «L’incontro è andato bene – racconta D. a ‘laRegione’ pochi minuti dopo essere stato informato del tutto dal figlio –. Ha esternato al comandante la propria paura, perché dopo aver visto il filmato ha temuto di passare per bugiardo». Riguardo al timore della recluta, il comandante ha risposto «di stare tranquillo e che tutto è stato predisposto perché finisca in serenità la Scuola reclute». Sull’intervista rilasciata dall’altra recluta, invece, si apre uno scenario preoccupante. Già, perché il comandante avrebbe detto al giovane che «questa è una dinamica naturale quando succedono queste cose, e di non preoccuparsi: lui dà credito a quello che ha già visto».

E se Frank Zellweger, portavoce della giustizia militare, da noi contattato non rilascia alcuna dichiarazione sull’intervista dell’altra recluta ticinese né sull’istruttoria in corso, è D. a fornirci almeno le tempistiche: «La fase preliminare dovrebbe concludersi entro un mese». Istruttoria che, ci viene ricordato dal padre, «ha visto mio figlio chiamato a testimoniare in un secondo momento, essendo nata da una denuncia esterna. Da quello che so sono state sentite altre persone prima di lui». Le parole di Rebord comunque «confortano. Il capo dell’esercito non si muove in elicottero da Berna a S-chanf per incontrare un mitomane».

Ay: ‘Successe anche con la recluta a Coira’

Dichiarazioni dall’interno o atti come una raccolta firme in difesa dei superiori che «tendano a minimizzare l’accaduto non sarebbero una novità – rileva da noi raggiunto Massimiliano Ay, segretario del Partito comunista e membro del Sindacato indipendente studenti e apprendisti –. Quando nel mese di gennaio, grazie a una nostra segnalazione, emerse la vicenda della recluta ticinese vittima di abusi a Coira, si registrò lo stesso schema: partì una raccolta firme a sostegno del sergente».

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