Ticino

Omicidi in libertà condizionata. 'Ma il danno non lo paghi lo Stato'

Il Consiglio di Stato respinge la proposta di introdurre la responsabilità dell’ente pubblico, in discussione sul piano federale dopo i casi di Marie (2013) e Lucie (2009)

Ti-Press
21 settembre 2018
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Si chiamavano Marie e Lucie. Vittime, entrambe, della violenza di due omicida con una condanna alle spalle, e che dopo anni di prigione erano riusciti a ottenere la libertà condizionata o il regime aperto. Braccialetto elettronico al piede, si sono nuovamente resi autori di reato. Due casi – Marie nel 2013 nel Canton Vaud, Lucie nel 2009 nel Canton Argovia – che hanno scosso l’intero Paese e che potrebbero portare a un’aggiunta nel Codice penale, affinché “l’ente pubblico competente si assuma la responsabilità per il danno che risulta se una persona condannata per un grave reato di natura violenta o sessuale è liberata condizionalmente o beneficia del regime aperto e, in tali circostanze, commette nuovamente uno di questi reati”. Il testo è stato depositato in Consiglio nazionale da Natalie Rickli (Udc) e la Commissione degli affari giuridici, decidendo di dare seguito all’iniziativa parlamentare, ha avviato una consultazione a cui recentemente ha preso parte anche il Consiglio di Stato. Bocciando, categoricamente, la proposta: sia nel principio di fondo dell’iniziativa, sia nell’attuazione avanzata dalla Commissione.

Il progetto preliminare in consultazione prevede che indipendentemente dall’esistenza di un atto illecito o di colpa da parte dei dipendenti pubblici lo Stato sarà ritenuto responsabile se una persona condannata per un certo tipo di reato (tutti i reati gravi che pregiudicano l’integrità fisica, psichica o sessuale di un’altra persona), ottenuto un alleggerimento dell’esecuzione delle pene e delle misure, provoca un danno a seguito della recidiva.

L’iniziativa Rickli, scrive il governo cantonale nella sua presa di posizione, introdurrebbe un “sistema di responsabilità” che metterebbe “in discussione” quello del “reinserimento progressivo delle autrici e degli autori dei reati, di cui il regime aperto e il rilascio anticipato con la condizionale sono importanti strumenti”, e non permetterebbe di continuare a raggiungere “altrettanto efficacemente” l’obiettivo dell’esecuzione della pena, ovvero “fare in modo che la persona non commetta più reati dopo essere stata rilasciata”. L’introduzione del concetto di “responsabilità dell’ente pubblico”, a mente dell’Esecutivo ticinese, avrebbe come conseguenza “una notevole diminuzione del numero di autorizzazioni di regime aperto e di rilascio anticipato con al condizionale”.

I “nuovi oneri finanziari” che l’iniziativa potrebbe generare sarebbero assunti soprattutto dai Cantoni, e al lato pratico “l’iniziativa comporterebbe poi un inevitabile incremento dei giorni di carcerazione, generando un importante aumento dei costi legati all’esecuzione delle pene (risorse umane e logistiche in particolare), a carico dei Cantoni”. E questo perché, scrive il Consiglio di Stato, “de facto le autorità cantonali non correrebbero più il rischio di liberare il detenuto anticipatamente, non potendo escludere in maniera assoluta il rischio di recidiva, aumentando così il numero dei giorni di detenzione e comportando, giocoforza, l’affollamento delle strutture carcerarie esistenti”. Il detenuto rimarrebbe nella sezione chiusa sino all’ultimo giorno di detenzione senza poter più transitare dal carcere aperto e venire liberato al raggiungimento dei due terzi della pena. “Paradossalmente poi – si legge ancora nella presa di posizione ticinese – questa iniziativa condurrebbe a un reinserimento più difficile del detenuto, il quale sarebbe messo in libertà senza un’adeguata preparazione e quindi sarebbe esposto a un rischio concreto di recidiva”. Oltre allo scenario di un aumento del numero dei ricorsi contro le decisioni di rifiuto dell’allentamento della pena, il Consiglio di Stato “non da ultimo” sottolinea che “l’implementazione dell’iniziativa creerebbe una disparità di trattamento difficilmente comprensibile e giustificabile tra le vittime di reati commessi nell’ambito del regime aperto e le vittime di altri reati commessi in circostanze diverse, in pratica due pesi e due misure”.

La consultazione nel frattempo è stata chiusa. Dopo le valutazioni della Commissione, toccherà alla Camera bassa deliberare. 

Congedo, semiprigionia e liberazione condizionale: nessun automatismo 

Congedi, semiprigionia, liberazione condizionale. Oggi in Ticino la ‘gestione’ del regime progressivo della pena, finalizzato alla risocializzazione del detenuto, è affidata all’Ufficio del giudice dei provvedimenti coercitivi. Un regime che prevede il primo congedo dopo aver scontato un terzo della pena, la semiprigionia dopo aver espiato metà della stessa (con passaggio al carcere aperto dello Stampino: si esce di giorno per lavorare, si rientra la sera) e la liberazione condizionale raggiunti i due terzi della pena. Nessun automatismo però. Ergo: il detenuto chiede di beneficiare di queste agevolazioni; il giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc) decide.

Cosa che il gpc fa dopo un’approfondita valutazione, verificando anzitutto che non vi siano né il rischio di fuga né quello di recidiva quando il detenuto si trova all’esterno del carcere perché in congedo o in libertà condizionale. Per questo raccoglie i preavvisi della Direzione del penitenziario, dell’Ufficio dell’assistenza riabilitativa e del medico, ma anche, per le persone giudicate colpevoli di gravi reati contro l’integrità della persona, quello della Commissione per l’esame dei condannati pericolosi. Un sistema collaudato, che finora non sembra aver generato problemi tali da metterlo in discussione. Gli ‘airbag’ insomma non mancano. Se ad esempio la persona reclusa che ha ottenuto il passaggio allo Stampino dovesse sgarrare, il gpc oppure la Direzione del penitenziario, in base al Regolamento sulle strutture carcerarie, avrebbe la possibilità di trasferirla nuovamente nella sezione chiusa. Come rileva il Consiglio di Stato, la traduzione in norma dell’iniziativa Rickli da un lato creerebbe grosse difficoltà alle già sovraffollate carceri ticinesi, dall’altro pregiudicherebbe il conseguimento dell’obiettivo indicato dall’articolo 75 del Codice penale svizzero: “L’esecuzione della pena deve promuovere il comportamento sociale del detenuto, in particolare la sua capacità a vivere esente da pena”. Il raggiungimento di questo obiettivo va verificato, da parte dello Stato, gradualmente. La fiducia in quel detenuto è stata ben riposta? Difficile dirlo se lo si tiene dietro le sbarre fino all’ultimo giorno da espiare come da condanna.

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