L'APPROFONDIMENTO

Il viadotto di Melano come Genova: era a rischio crollo

Il tratto autostradale nel Mendrisiotto presentava gli stessi segnali d'usura del ponte Morandi, ma è stato totalmente rifatto

17 agosto 2018
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Esordio analogo ma destino diverso per il Ponte Morandi di Genova e il viadotto fra Capolago e Melano. Accomunati dallo stesso utilizzo autostradale, dalla stessa data di entrata in servizio (fine anni 60) e da una tecnica costruttiva simile (elementi prefabbricati in calcestruzzo armato precompresso uniti fra loro), il primo è crollato per incuria dopo 50 anni, mentre il secondo dopo 35, fra il 2003 e il 2004, è stato demolito e ricostruito con un altro metodo a spese di Confederazione e Cantone Ticino. Motivo: «Il calcestruzzo precompresso dava chiari segnali di inadeguatezza sul lungo termine, dovuto all’usura e ai fenomeni di fatica, ovvero sollecitazioni che singolarmente non sono un problema, ma ripetute milioni di volte portano alla rottura della struttura senza preavviso», spiega alla ‘Regione’ l’ingegnere Denis Rossi, l’allora capoprogetto per la demolizione e ricostruzione del viadotto di Melano. La fase esecutiva del ‘Progetto Generoso’, così era stato denominato, era stata appaltata a un consorzio italo-ticinese e nell’estate 2004 è terminata 39 giorni prima del previsto e con un risparmio del 10% sul preventivo fissato in 127 milioni.

Limiti e pregi del precompresso

Le strutture prefabbricate precompresse sono costruite assemblando elementi in calcestruzzo armato precompresso attraversati da trefoli d’acciaio ad altissima resistenza che con la loro messa in trazione comprimono il calcestruzzo conferendogli le caratteristiche meccaniche desiderate. Nella realizzazione di viadotti e ponti, la messa in compressione di più moduli posati in serie porta a ottenere il risultato statico progettato. «Si tratta di un metodo diffuso in tutto il mondo – annota Denis Rossi – ma poco utilizzato in Svizzera, dove ben presto ci si è resi conto dei suoi limiti. Il costante monitoraggio cui sono sottoposte le nostre vie di comunicazione ha permesso d’individuare un serio problema nel viadotto di Melano. I segnali erano molto evidenti: non avrebbe retto per molti anni ancora. Da qui la decisione di procedere con la demolizione integrale e la ricostruzione secondo il metodo del ‘calcestruzzo monolitico’ gettato in opera, già usato con successo negli anni 70 e 80 per il completamento delle tappe successive dell’autostrada A2 in Ticino, in particolare con i grandi viadotti in Leventina e sul Monte Ceneri». Qui i trefoli d’acciaio sono stati posizionati sul posto, in cantiere, e solo successivamente annegati nel calcestruzzo e posti in trazione.

Giunti ad alto rischio rottura

Molteplici – annota Denis Rossi – i problemi a suo tempo evidenziati nel viadotto di Melano: «Fra questi, uno dei principali riguardava i giunti di collegamento fra gli elementi di calcestruzzo precompresso. Poiché soggetti a degrado e usura sia per le infiltrazioni d’acqua, sia per la sollecitazione dell’accresciuto transito viario, i giunti rappresentano infatti uno dei punti deboli di questo genere di strutture. La loro manutenzione risulta complessa e vi è il rischio che sul lungo termine non mantengano la funzionalità richiesta. Da qui, insieme ad altri fattori, la decisione di smantellare e ricostruire con metodo diverso. Si è trattato del primo viadotto autostradale in Svizzera che invece di essere risanato è stato demolito e ricostruito». Nel frattempo i materiali e i metodi costruttivi «sono migliorati e anche oggi la prefabbricazione resta un metodo costruttivo utilizzato in tutto il mondo, grazie alla sua economicità e alla velocità esecutiva. Oggi come allora non mi risulta però essere molto utilizzato in Svizzera, dove si continua a preferire altri metodi, soprattutto per una questione di durabilità, di facilità manutentiva e di maggiore duttilità nel far fronte a sollecitazioni e deformazioni non previste in fase di progetto».

 

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