Cantone

‘Ecco la scuola che vogliamo’

Bixio Caprara, presidente del Plr, sulla riforma del Decs, la sperimentazione e i valori educativi

8 giugno 2018
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“Dove gli scolari annoiati come me hanno potuto conoscere la potenza generativa della scuola, al di là dei suoi effetti di assoggettamento e di uniformazione? La risposta è una sola: a lezione, durante l’ora di lezione”. Così scrive Massimo Recalcati in ‘L’ora di lezione’. Ma cosa dev’essere la scuola dell’obbligo ticinese, oggi sottoposta a riforma? «Un luogo dove si valorizzano le qualità di ognuno. Perché bisogna dirlo: non siamo tutti uguali» risponde senza esitare Bixio Caprara, presidente del Plr che settimana prossima (giovedì 14) affronterà in Comitato cantonale la sperimentazione approvata dal parlamento e oggetto di referendum popolare.

Il suo partito ha criticato parecchio ‘La scuola che verrà’, il progetto varato dal Decs. Perché?

La proposta dipartimentale in effetti non ci andava bene. Questo va detto in modo molto chiaro. Il problema di fondo, il quesito iniziale non risolto, è capire quali sono i punti deboli della scuola media in particolare, perché è questa la priorità della riforma. L’intero dibattito, in sintesi, si concentra quasi tutto sugli attuali livelli, A e B, di formazione. Ora, la questione è che in Ticino spesso e volentieri si considera il percorso professionale di livello B. In realtà si deve andare oltre. Sono convinto che già nell’impostare la proposta di scuola media occorre tener conto dei vari percorsi scolastici che si aprono, con grande flessibilità e permeabilità.

Quasi un pregiudizio di fondo?

Infatti. Io credo che alle Medie si deve parlare chiaramente ai ragazzi. Magari ricordando loro che lo studio un po’ di fatica la comporta. C’è chi ha più facilità nell’apprendere e chi fa più fatica, ma l’impegno non deve mancare. Le faccio un esempio. Io ho quindici apprendisti e tutti mi devono portare le pagelle. Guardo sempre e solo due note: condotta e applicazione. Tutto il resto è di solito corollario delle prime, perché se il ragazzo s’impegna normalmente le sue note sono positive. È dunque essenziale un’attitudine all’impegno. E questo va detto. Con le riflessioni del caso nel secondo ciclo.

A suo giudizio questa sottolineatura non è evidente nel progetto del Decs?

No. Secondo me si dà eccessivamente peso al concetto di inclusione per permettere a tutti gli allievi di raggiungere il massimo possibile. Noi diciamo sì al massimo possibile, ma delle proprie possibilità. Perché c’è chi già in terza Media ti dice di non essere motivato allo studio. Come lo recuperiamo per evitare che si trasformi in caso problematico? Ecco perché è necessario agganciare la scuola media a quanto può capitare dopo. Il problema vero è che tutti i docenti delle Medie sono accademici; ne consegue che non parlano del mondo professionale. C’è quasi un muro invalicabile. Non a caso nella ‘Scuola che verrà’ non si parla mai del percorso professionale. Nel resto della Svizzera la realtà è diversa.

Perché è così importante considerare questa realtà già alle Medie?

Per una questione di pari dignità. Per offrire da subito un ventaglio ampio di percorsi formativi.

Così da indirizzare meglio l’allievo?

Noi parliamo di un’offerta differenziata. Dopo i primi due anni di osservazione, il secondo biennio delle Medie dovrebbe permettere una differenziazione dell’offerta così che il ragazzo possa scegliere sulla base dei propri interessi se orientarsi verso materie più teoriche o più dedite a una certa concretezza.

Ma non è già così oggi con i livelli A e B? Perché cambiare allora?

Il livello assegna una valutazione di merito, ovvero dire chi va bene e chi no. Credo si debba superare questa logica. Oggi il ticinese che percepisce il salario più alto [Sergio Ermotti, Ceo di Ubs, ndr] non ha un bagaglio accademico; ha fatto un percorso professionale. Ammesso che il salario possa essere metro di giudizio per stabilire il successo personale, però è un dato. Dunque è questione di competenze e armonioso sviluppo delle proprie attitudini. In Svizzera esistono sistemi “passerella” che permettono di cambiare e allargare la propria formazione. Il mondo non finisce dopo la scuola media. Non parliamo più di livelli, ma constatiamo che vi sono ragazzi con attitudini e volontà diverse rispetto allo studio.

Caprara: ‘Un bravo docente sa insegnare anche senza direttive’
 
I livelli A e B, oggi alle Medie, vengono spesso vissuti da allievi e famiglie come una penalizzazione o promozione...

È vero. Al contempo però non si può nemmeno tenere assieme ciò che fatica a starci. E qui non è in discussione l’integrazione degli alunni, perché in molte materie questa è realtà. In alcuni casi invece, ad esempio matematica, si notano gap evidenti. Incolmabili. Dopodiché una certa innovazione, dopo oltre quarant’anni, ci può stare. Il mondo va avanti e non siamo conservatori. È giusto porsi domande e fare verifiche. Come è giusto contrapporre modelli diversi, magari tramite un’analisi oggettiva delle situazioni e coinvolgendo i docenti.

Docenti che spesso lamentano di essere trascurati.

Beh, la scuola sa andare avanti anche senza la politica e senza seguire per forza alcune direttive. Un bravo insegnante sa cosa fare. Senza per forza dover imporre direttive dall’alto, sulla base di alcune teorie magari scoperte in Finlandia. Sul futuro della riforma molto dipenderà anche da come il consigliere di Stato [Manuele Bertoli, direttore Decs, ndr] la racconterà. Non credo si debba continuare a insistere sull’inclusività. Siamo già campioni del mondo in questo campo, perché unico Cantone con la scuola media unica.

La domanda di tutte le domande: la scuola è solo luogo di formazione o anche agenzia di problemi sociali?

Bisogna stare attenti. Non si può mettere troppa acqua nel vino. Là dove vi sono problematiche sociali bisogna intervenire con personale specializzato, ma non si può al contempo far svolgere al docente anche il ruolo di educatore. Vi sono diversità e difficoltà che la scuola non può risolvere.

Una questione di agenzie educative?

Diciamo che oggi l’istituzione famiglia sta attraversando un periodo complicato. A parte ciò, troppi genitori non svolgono il proprio ruolo. Vi sono anche “orfani” di famiglie sposate. Poi vi sono figli che hanno trovato la funziona paterna o materna altrove, nella società.

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