Approfondimento

In Ticino una sola famiglia accoglie un migrante minorenne

Contrariamente ad altri cantoni, questo è l'unico caso a sud delle Alpi. Ne abbiamo parlato con la nuova mamma di Adem, una psicoterapeuta del Luganese

foto Ti-press
20 marzo 2018
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Aveva 13 anni, quando è arrivato al centro di registrazione di Chiasso. Alle spalle lascia in Etiopia sua madre e numerosi fratelli. Alle spalle ha anche una faticosa odissea fatta di campi profughi, jeep stracolme nel deserto, maltrattamenti e barconi di fortuna; un enorme business dove i migranti, grandi e piccoli, sono la nuova vacca da mungere di organizzazioni criminali. Adem ha attraversato tutto questo a soli 13 anni. Oggi ne ha 15, vive nel Luganese con la famiglia Schoepf che ha due figli (di 12 e 14 anni) e da settembre va in terza media a Gravesano. È l’unico migrante minorenne non accompagnato affidato ad una famiglia in Ticino.

Tutto è iniziato al campo di calcio

«L’ho conosciuto nell’autunno del 2016, perché giocava a calcio con mio figlio maggiore. Mi ha colpito per il suo sorriso e perché dopo allenamento e doccia si rimetteva gli stessi indumenti usati in campo. Così ho scoperto che era qui solo e stava al foyer della Croce Rossa di Paradiso per richiedenti l’asilo minorenni», spiega Simona Spinedi Schoepf. La incontriamo a Breganzona nel suo studio di psicoterapia, ci racconta come ha conosciuto Adem (nome cambiato dalla redazione) e come il destino della sua famiglia si è legato a questo adolescente dallo sguardo intelligente e deciso. C’è stata prima curiosità, poi sintonia, ora affetto: «Adem è come un figlio per noi, lo abbiamo accolto nella nostra famiglia lo scorso agosto perché vogliamo che abbia le chance migliori per farcela in Svizzera. Con noi, può integrarsi più velocemente, va in classe con mio figlio maggiore. Parla bene l’italiano e anche il dialetto. È immerso quotidianamente nella nostra cultura, mangia il nostro cibo, potrà sfruttare anche la nostra rete sociale. Lui ha un effetto calmante sui nostri due figli. Per loro è un’esperienza di accoglienza straordinaria che sta cambiando la loro visione del mondo. Tutto ciò avrà un impatto sui loro progetti futuri.

Adem è un grande regalo», dice la donna. Dal primo incontro all’affido è passato quasi un anno. «Ha legato subito con mio figlio maggiore, se la intendevano anche se uno parlava inglese e l’altro italiano. Ha iniziato a venire a cena da noi, poi durante qualche weekend. Giocavano insieme, ridevano, guardavano la tivù», racconta. E subito diventa un appuntamento fisso. Ovviamente con l’autorizzazione da parte della direzione del foyer della Croce Rossa.

‘Era straziante riportarlo al foyer’

«Ogni domenica sera era straziante riportarlo al foyer, ci stavamo tutti legando a lui», dice. La psicoterapeuta specializzata in trauma osserva il ragazzo, sa che ha vissuti difficili, ma conclude che l’ambiente della famiglia non riattiva ricordi spiacevoli. Anzi, è un luogo protettivo. Con il marito decide di annunciarsi come famiglia affidataria. «Pensavo potesse semplicemente traslocare da noi, ma abbiamo dovuto fare le pratiche dell’affido», ricorda.

‘Il gruppo di amici è la loro famiglia’

Non è un capitolo della sua vita che apre volentieri ma Adem, acquistando fiducia nella famiglia, ha iniziato a raccontare giorno dopo giorno la sua storia. Riferisce di essere partito con un fratello maggiore ma poi si sono separati. Lui arriverà solo in Libia dove deve lavorare per raccogliere i mezzi per la traversata. Vive tra gente dura, subisce maltrattamenti psicologici, ma tiene duro perché il suo obiettivo è la Svizzera. Quando arriva in Ticino, finisce in un centro a Stabio dove vengono smistati i minori e lì verrà separato dall’unico punto di riferimento che gli resta: un amico incontrato nel suo viaggio della speranza. Viene assegnato al Ticino, al foyer per minori non accompagnati a Paradiso. Inizia la scuola e il suo percorso lungo il quale incrocerà la famiglia Schoepf. «Questi ragazzi sono molto uniti tra loro. Il gruppo diventa la loro famiglia. I grandi si occupano dei piccoli. Ridono insieme, piangono insieme. C’è solidarietà tra loro», spiega Simona Spinedi Schoepf. Adem continua a vedere i suoi amici del foyer.

‘Non bisogna essere psicologi per ospitarli’

Adem è musulmano, si alza ogni mattina alle 5 a pregare e frequenta la moschea. La sua fede è una delle poche cose che lo lega ancora alla sua terra. Per certi aspetti ha ancora i piedi in due mondi, quello che si è lasciato alle spalle e quello in cui vive oggi. «Mi chiedevo cosa pensasse di me, di una donna, di una madre che vede uscire di casa per andare a lavorare. Ma erano dubbi infondati: lui non giudica. Ogni tanto penso che comunque quando inizierà ad uscire non fumerà e non berrà, perché il suo credo glielo impedisce», dice Simona Spinedi Schoepf. Da grande Adem sogna di fare il medico, tornare in Etiopia e aiutare la sua gente. Di tanto in tanto, fa qualche incubo. «Sogna di venire aggredito. È legato a ciò che ha vissuto scappando. Ha nostalgia della sua famiglia ed è incerto per il suo futuro. Tutto ciò gli causa momenti di tristezza, dove è taciturno». Chiediamo alla psicoterapeuta, esperta in traumi, se ci vogliono competenze professionali per ospitare e seguire ragazzi con questi vissuti oppure è alla portata di tutti o quasi. «Non bisogna essere psicologi per diventare genitori, non sai mai cosa ti aspetta ma impari strada facendo», precisa. Quando c’è un vissuto traumatico è meglio affrontarlo – dice l’esperta – perché si rischia di sviluppare, anche anni dopo, la sindrome post traumatica da stress, ossia un’ansia invalidante e reazioni sproporzionate di allerta come se il pericolo fosse imminente. «Cambia tutto sapere che non sei completamente vulnerabile e hai figure di riferimento», spiega.

‘Famiglie scoraggiate da chi gestisce l’accoglienza dei migranti’

Una sessantina di famiglie vodesi accoglie 120 migranti a domicilio. Una decina di villaggi nel Cantone mette a disposizione appartamenti a rifugiati. Un’accoglienza che fa scuola in Svizzera perché si è capito che ospitare i rifugiati in famiglia accelera la loro integrazione, facilita l’apprendimento della lingua e anche il passaggio ad un lavoro, grazie alla rete sociale di chi li alloggia. Inoltre, costa meno e aiuta a ridurre i pregiudizi. Una solidarietà promossa dalle autorità di vari Cantoni romandi come abbiamo raccontato in un ampio reportage. Non è la via scelta dal Ticino dove una sola famiglia (vedi sopra) cresce un migrante minorenne. Sarebbe una via percorribile in Ticino? «Così come accogliamo in famiglia minori residenti con situazioni problematiche, potremmo farlo con adulti o minori migranti destinati a restare. Potremmo trovare delle famiglie interessate, alcune si sono anche annunciate, ma ci hanno raccontato di essersi sentite scoraggiate da chi gestisce l’accoglienza dei migranti», spiega Andrea Milio, coordinatore dell’Associazione ticinese famiglie affidatarie. L’Atfa conta 155 famiglie affidatarie che accolgono 180 minori e undici famiglie SoS. «Abbiamo collocato temporaneamente in famiglia qualche minore migrante che non stava bene nel foyer. Non era facile per la lingua e la differenza culturale, ma supportando le famiglie può funzionare». Intanto il Cantone ha optato per mettere quasi tutti i minori non accompagnati nei foyer della Croce Rossa. Chiediamo all’esperto quali sono i vantaggi di un istituto e quali quelli della famiglia. «In famiglia la persona di riferimento è una sola, il ragazzo è seguito in tutti i suoi bisogni. Il foyer è una struttura educativa, dove un istitutore segue più minori e varia perché lavora a turni. Sicuramente in famiglia il migrante assimila più velocemente la cultura locale e si integra più rapidamente. Nel foyer i giovani stanno in gruppo e faticano a imparare l’italiano. Sono due soluzioni diverse che andrebbero adeguate ai bisogni dei minori migranti», precisa Milio. Le famiglie affidatarie percepiscono 1’500 franchi al mese per minore (escluse le spese per la salute). In un foyer la retta è ben superiore.

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