Compie cinquant'anni la rivista bimestrale di riflessione cristiana. Intervista a Enrico Morresi, responsabile da quasi vent'anni
Avevano iniziato a trovarsi in tempi complicati, era il 1954, almeno per loro giovanetti e titubanti, ma solo nei modi. Perché le idee erano già chiare allora, quando la “rivoluzione dei fiori” era là da venire e il vento conciliare non aveva ancora dispiegato tutta la propria forza. Papa Roncalli salirà al soglio di Pietro quattro anni dopo, nel 1958. Eppure quei ragazzi ticinesi discutevano e si confrontavano su un mondo che non condividevano – come spesso capita ai giovani – anche perché la fede, imposta dall’alto, non bastava più. Lo stesso gruppo di giovanotti e giovanette quattordici anni dopo, nel 1968, decise di tradurre la riflessione in articoli redazionali e nacqe ‘Dialoghi, rivista bimestrale di riflessione cristiana’. Era già iniziato il Concilio Vaticano II.
C’è da 50 anni, quasi un record per una pubblicazione esplicitamente cattolica. Da quasi vent’anni (iniziò nel febbraio 1999) la dirige Enrico Morresi, giornalista di lungo corso oggi in pensione e brillante ottantenne che ha deciso di passare il timone col numero 250, quello prossimo nelle case. Lo sostituiranno Alberto Bondolfi e Margherita Snider Noseda. Morresi c’era già dai primi battiti d’ala, dalle prime riunioni degli anni Sessanta, quando tutto sembrava rivoltarsi.
La nostra rivista è fatta da laici e i laici hanno sempre sofferto la presunzione del clero di avere in mano la soluzione di tutti i problemi. Il mio primo direttore al ‘Corriere del Ticino’, Giovanni Regazzoni, diceva: I prevat ’gan l’ipse dixit, che significa: chiudono la discussione citando Aristotele. La grande vicinanza che sentiamo noi con papa Bergoglio è la sua grande prossimità con la realtà, che nasce dall’esigenza della misericordia (alla quale noi stessi non siamo sempre stati fedeli, questo va riconosciuto). Che però è un dato essenziale della testimonianza di Cristo, il quale non faceva teorie ma era vicino alle persone. Nella Chiesa cattolica, come in altre chiese, si è dato sempre più ascolto alla classe che aveva studiato.
Ricordo che prima del Concilio si parlava di “partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa”. Mi pare fosse una definizione di Pio XII, e noi si pensava che fosse già gran cosa poter svolgere una specie di supplenza. In verità, il popolo di Dio sono tutti i battezzati e il corpo ecclesiastico è al servizio di questa base. Il Concilio ha superato le nostre attese, ricuperando questo principio, ma non è stato facile digerirlo da parte dell’establishment ecclesiastico. L’esigenza del discernimento, ossia l’essere vicini al caso concreto, vissuto, è essenziale come misura di rispetto di questa pari dignità e il fatto che questo papa lo sottolinei per noi è una grande consolazione.
La Chiesa cattolica, come tutte le chiese, ha una storia talmente lunga e meriti culturali talmente grandi che pesano su ogni proposta di cambiamento.
Infatti, e bisogna tenerne conto quando si giudica la velocità dei cambiamenti auspicati. Faccio un piccolo esempio. Sarebbe normale che quando non è disponibile un prete sia un laico, una donna, ad accompagnare un funerale. “Ma io voglio un prete”, direbbero le famiglie. Non è necessario, rispondo io, perché non si tratta di assolvere dai peccati o di celebrare l’eucarestia, ma solo di accompagnare il rito con una preghiera. Ma le abitudini sono difficili da superare. Questo per dire la pesantezza di certe tradizioni, che ‘Dialoghi’ ha cercato di smuovere, con molta fatica e deboli risultati.
Senz’altro il Concilio, per quanto si fosse concluso nel ’65, cioè prima della nascita di ‘Dialoghi’ come rivista. La rivista direi che è piuttosto figlia del Sessantotto, della libertà di parola: della voglia di espressione che tutta la società giovanile esprimeva. L’inizio fu influenzato anche da quella che ritenevamo un’esitazione eccessiva di Paolo VI rispetto al Concilio. Ti ricordi che Paolo VI aveva evocato a sé alcune cose, non le aveva lasciate decidere dal Concilio: per noi invece il Concilio significava la messa in moto di una riforma permanente. E questo non avveniva. ‘Dialoghi’ fu molto impegnata nell’esperienza del Sinodo svizzero, negli anni Settanta. Fu una delusione. Pensavamo di continuare in quella sede la riforma avviata: ma i “frenatori” ebbero il sopravvento. Penso, in Ticino, alla resistenza del ‘Giornale del Popolo’ di mons. Leber, come pure alla timidezza del vescovo Martinoli.
È difficile pronunciarsi perché c’è un dato nuovo. Gli strumenti culturali a disposizione della Chiesa, in particolare cattolica, non sembrano più adatti al modo di vivere delle nuove generazioni. Pensiamo alla questione femminile… Anche come innovatori o rinnovatori (credo lo avverta anche il papa), ci si sente incapaci di rispondere adeguatamente ai cambiamenti della società.
Nei nostri “cattolicissimi” paesi la frequenza alla messa domenicale è molto diminuita. Di questo non mi preoccuperei eccessivamente, perché ognuno può pregare a casa sua, Gesù del resto diceva: quando vuoi pregare entra nella tua camera; non: va in cattedrale a cantare. Ma non si può negare che la distanza tra i pulpiti e la piazza sia aumentata. Mi pare che sia questo il problema.
Papa Bergoglio va benissimo, ma quanti papa Bergoglio ci vorranno per ridurre il distacco? Lui ha la mia età: ottant’anni, per… finire il lavoro dovrebbe restare in carica almeno altri vent’anni, ma certo non lo potrà. I tempi del cambiamento arrischiano di essere troppo lunghi…
È un punto difficile da spiegare per noi di ‘Dialoghi’, perché non abbiamo solo cinquant’anni di rivista alle spalle ma anche ottant’anni sulla schiena. C’è troppa distanza tra noi e i giovani. C’è un rinnovamento da fare anche nella nostra redazione, che finora non è stato realizzato. Abbiamo bisogno di trentenni e quarantenni. Ce lo devono dire altri cosa si deve fare per entrare in comunicazione con le nuove generazioni. Questo è un punto serio. Da qui l’idea di festeggiare il cinquantesimo con un convegno sulla fede e i giovani.
Certo. Per quel che ci riguarda va anche detto che non sono molte le pubblicazioni cattoliche rimaste dal Sessantotto. Anche nel nostro piccolo Ticino. È rimasta ‘Spighe’, che era dell’Azione cattolica femminile, e poi naturalmente il ‘Giornale del Popolo’ con le difficoltà note. Insomma, è cambiato il mondo.
Vero, questa rimane. Anzi, ho l’impressione – ed è stata anche la nostra esperienza – che forse abbiamo ritenuto con una certa facilità che bastassero alcune riforme, soprattutto di strutture, per risolvere i problemi. In realtà oggi vediamo che il rapporto fra religione e società è molto più profondo e drammatico di come l’abbiamo pensato noi all’inizio degli anni Sessanta. Ricordo ad esempio che io all’epoca facevo una conversazione tutte le sere in televisione sul Concilio. Immagina cosa succederebbe oggi se proponessi alla Rsi cinque minuti per parlare del Sinodo... Il fatto è che non interessa a nessuno.
Perché i problemi dell’uomo sono sempre quelli e noi forse li abbiamo sottovalutati, insistendo solo sulle strutture della Chiesa per cambiare il rapporto fede-mondo. In realtà è più complicato.