Mendrisiotto

‘Il palazzo reale delle menzogne’, 6 anni al principe Selassié

La Corte delle Assise criminali di Mendrisio lo ha riconosciuto colpevole e condannato per truffa per mestiere e falsità in documenti

29 settembre 2022
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Sei anni di detenzione e 10 anni di espulsione dalla Svizzera. È questa la condanna emessa dalla Corte delle Assise criminali di Mendrisio nei confronti del sedicente discendente legittimo dell’ultimo imperatore d’Etiopia Aklile Berhan Makkonen Hailé Selassié. Il 66enne, cittadino italiano, è stato riconosciuto colpevole di truffa per mestiere e ripetuta falsità in documenti. Tra il 2007 e il 2017 l’uomo ha intascato circa 13 milioni di franchi da tre noti professionisti del Mendrisiotto. Non per riscattare i bond germanici, di un valore totale di 178 miliardi di dollari, di cui era in possesso, «ma per permettergli di vivere nello sfarzo», sono state la parole del giudice Amos Pagnamenta. L’atto d’accusa della procuratrice pubblica Chiara Borelli, che ha chiesto una condanna a 7 anni di carcere, è quindi stato interamente confermato. L’avvocato Andrea Minesso si è invece battuto per ll proscioglimento dal reato di truffa. La vicenda non può essere ritenuta chiusa: il legale ci ha già confermato la sua intenzione di rivolgersi alla Corte di appello e revisione penale.

‘Ricchissimo, ma in crisi di liquidità’

Nel ripercorrere la vicenda, il presidente della Corte ha evidenziato che «non c’è nulla di strano nel fatto che l’imperatore etiope abbia acquisito negli anni 20 titoli di Stato germanici». Il sedicente principe solo in un secondo momento del suo rapporto con uno dei professionisti truffati ha «introdotto le sue difficoltà economiche: parlava di problemi di liquidità – ha evidenziato ancora il giudice –. Possedeva enormi ricchezze che non poteva monetizzare, ed è in questo contesto che ci sono stati i prestiti». Detta in altre parole, «era ricchissimo, ma in crisi di liquidità». I versamenti, che hanno toccato anche le spese correnti del 66enne, «sono stati concessi sempre nell’ottica di incassare la somma garantita dai bond». La prima vittima in ordine di tempo «ha fatto delle verifiche minime, «chiedendo conferme sulla loro autenticità». A frenare ogni possibile altra verifica ci hanno pensato «la fittissima rete di menzogne e documenti falsi che giungevano all’insaputa della vittima stessa» e «l’accordo di confidenzialità, che aveva quale unico scopo quello di evitare domande».

‘Particolare intensità e volontà delittuosa’

Cosa ne sia stato del denaro «è una domanda retorica che non muta la sostanza dei fatti – ha aggiunto il giudice –. Mattone dopo mattone l’imputato è arrivato alla costruzione del palazzo reale delle menzogne». Le vittime avrebbero potuto accorgersi dell’inganno? «Col senno di poi sì – ha aggiunto il presidente –. Le vittime di truffa respingono l’idea di essere state ingannate, in modo direttamente proporzionale dal loro investimento emotivo ed economico. La truffa da parte di un vero amico è un vero colpo all’autostima». La colpa del ‘principe’ è stata ritenuta grave sia dal punto di vista oggettivo che da quello soggettivo. A giustificazione il presidente della Corte ha citato «la somma malversata di poco meno di 13 milioni», una «particolare intensità e volontà delittuosa» durata vari anni e «un agire per puro fine di lucro, per permettersi una vita da nababbo». Al momento del fermo Selassiè era in possesso di altri documenti falsi. «Non ha modificato il suo modo di agire: ha terminato unicamente perché denunciato e non perché si è reso conto di avere sbagliato».

Punti poco chiari nell’inchiesta

Nelle sue motivazioni, la Corte ha evidenziato anche alcuni «punti poco chiari» che non hanno trovato risposta nell’inchiesta. Tra questi il «titolo nobiliare» del presunto principe «sul quale non possono che esserci seri dubbi», l’origine dei bond ereditati (le versioni fornite durante l’inchiesta indicano come fonte l’ultimo imperatore prima, il padre e in ultimo momento la madre). «Piuttosto dubbia appare anche la possibilità di incassare questi bond – ha concluso Pagnamenta –. Una possibilità che appare improbabile e inverosimile: ha usato il denaro ricevuto in prestito per il proprio mantenimento: ci fosse stata una remota possibilità, ci si sarebbe dedicato anima e corpo ingaggiando magari il miglior team di legali».

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