Mendrisiotto

Cacciatore del Mendrisiotto in Appello chiede pena sospesa

Ricostruito il caso di omicidio colposo avvenuto a Chiasso. L’imputato, 53enne, aveva scambiato l’amico per un cinghiale uccidendolo

L’avvocato di difesa, Luigi Mattei
(Ti-Press)
22 marzo 2022
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«Come sto dopo averlo ucciso? Mi sto autopunendo. Non riesco più a vivere come prima. Evito le persone». Così il 53enne del Mendrisiotto che il 14 settembre 2019 durante una battuta di caccia nella zona Penz a Chiasso sparò, uccidendolo, al suo amico scambiandolo per un cinghiale, ha raccontato ai giudici i propri stati d’animo. L’imputato è tornato stamane davanti ai giudici, quelli della Corte di appello e revisione penale, dopo essere stato condannato lo scorso 28 ottobre alle Assise criminali di Mendrisio per omicidio colposo a 2 anni e 10 mesi di detenzione, di cui 6 da espiare e la rimanenza sospesa con la condizionale.

Ricostruita la giornata della tragedia: ‘Riconosco di non aver identificato la preda’

La Corte, presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will, è tornata alla ricostruzione di quella tragica giornata di due anni e mezzo fa. «Ad un certo punto io mi sono accostato a un albero caduto. Ho sentito un rumore di rami che si spezzavano. Lì il terreno è franoso e ghiaioso. Sono stato in attesa, ho visto una macchia nera a 20-25 metri di distanza, ho imbracciato il fucile e ho sparato. Ero convinto che fosse il cinghiale». Perché non ha aspettato di accertarsi cosa fosse quella macchia nera? Non voleva farsi scappare la preda?, ha chiesto la presidente della Corte. «Esatto. È così. Riconosco di non aver identificato la preda».

L’avvocato di difesa, Luigi Mattei, ha esortato il suo cliente ad essere più preciso. «Dopo aver sentito il rumore ho cercato di trovare la posizione migliore per un eventuale tiro. Davanti a me c’erano spazi, si vedeva abbastanza bene. Sono azioni che durano qualche secondo. Ho imbracciato l’arma, ho guardato nel mirino, ho visto la macchia nera, ho disassicurato il fucile e ho sparato».

L’imputato ha evidenziato: «Sono passati tre anni dai fatti, sono stato interrogato per ore al momento della tragedia. Adesso sono confuso e le vostre domande non mi fanno capire più niente. Non sono in grado di essere più preciso». L’avvocato Mattei ha spiegato che il suo cliente è in cura psichiatrica e che anche i medici hanno messo in rilievo una difficoltà del 53enne a precisare i fatti. Il legale ha messo in rilievo che il suo assistito soffre inoltre di acufene e di problemi di udito.

La procuratrice pubblica, Marisa Alfier, ha chiarito durante la sua requisitoria che i fatti non sono contestati e che il ricorso mira a richiedere una riduzione della pena, limitandola a 12 mesi sospesi per due anni, che è la stessa pena proposta in primo grado dal magistrato. La pp Alfier ha chiesto che l’imputato, incensurato, sia riconosciuto colpevole di omicidio colposo ma nei suoi confronti non ha pronunciato una proposta di pena, rimettendosi alla decisione della Corte. «Si è trovato in una situazione che ha creato lui stesso, che ha distrutto due famiglie, quella della vittima e la sua».

L’avvocato di difesa, nella sua arringa, ha ricostruito la situazione personale del proprio cliente, sottolineando le difficoltà del 53enne a spiegare una vicenda «che da tre anni a questa parte ripercorre costantemente davanti ai propri occhi». «Riconosce la gravità di quanto ha fatto. Gli psichiatri che lo hanno in cura hanno ravvisato in lui un forte senso di colpa». «Era irruente nella caccia – ha ricordato Mattei – ed era stato invitato dai due amici, tra cui la vittima. La zona in cui è accaduta la tragedia era impervia e lo so perché ho svolto un sopralluogo». Il 53enne aveva gli altri due colleghi molti metri più avanti – ha ricostruito l’avvocato – e riteneva che il rumore avvertito provenisse da destra a sinistra, ma il perito ha chiarito che l’imputato non può essere sicuro delle direzioni. «L’azione fatale, e mai negata, è stata quella di aver sparato dopo aver visto la macchia nera, senza identificare la preda. Che non voleva lasciarsi scappare. La responsabilità del 53enne non è in discussione. Ma egli ha implicitamente escluso che quanto si muoveva fosse una persona».

L’avvocato difensore ha messo inoltre in rilievo che «la tragedia si è consumata al massimo in due secondi, dove giocano le istintività, la foga. Siamo di fronte a un comportamento colpevole, ma avvenuto in pochi attimi e questo deve essere tenuto in considerazione in sede di sentenza, come precisa il Tribunale federale». L’avvocato Mattei ha chiesto in conclusione che la pena sia adeguata e che tenga conto degli aspetti oggettivi e soggettivi del suo assistito e ha chiesto la conferma della richiesta del suo ricorso, vale a dire che la pena sia posta al beneficio della sospensione condizionale. La Corte di appello emetterà la sentenza nelle prossime settimane.

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