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Casi complessi a scuola, Breggia: via al progetto ‘Time Out’

Partita quest’anno alle elementari una sperimentazione: un’iniziativa che permette di lavorare con i bambini senza allontanarli dalla classe di origine

L'iniziativa è rivolta ad allievi che manifestano un disagio importante (Ti-Press)
6 ottobre 2021
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Il nome del progetto evoca una metafora sportiva: «Si tratta di concedere a un bambino un proprio spazio per riposare, una pausa per ‘allenarsi’ individualmente, per poi rientrare in classe e continuare il percorso». È ‘Time Out’, un’interessante sperimentazione avviata un paio di settimane fa alle scuole elementari di Vacallo. Una nuova opportunità offerta nell’ambito delle Unità scolastiche differenziate (Usd) create dieci anni fa per far fronte ai cosiddetti casi complessi in classe, che qualora dovesse funzionare potrebbe venir estesa, a partire dai prossimi anni scolastici, ad altre sedi in altre regioni del cantone. Ne abbiamo parlato con Rezio Sisini, caposezione Scuole comunali del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport (Decs), con Patrizia Bettello, ispettrice scolastica per Mendrisiotto e Basso Ceresio, e con Alessandra Chiappelli, coordinatrice dell’Usd di Vacallo.

La novità? ‘Non si allontana il bambino dalla classe d’origine’

«La grossa novità di Time Out rispetto alle altre Usd è che non si allontana più il bambino dal contesto scolastico originale – ci dice quest’ultima –. L’allievo che manifesta il disagio esce solo momentaneamente dalla classe ma continuando a farne parte, in modo da effettuare con lui un lavoro individualizzato principalmente sulle competenze scolastiche e sulle abilità sociali. Nel frattempo la classe di origine e il docente hanno modo di ripensare l’accoglienza e di mettere in atto strumenti e strategie specifiche con il supporto del personale Time Out. Le prese a carico avvengono di regola una o due volte alla settimana e per un periodo limitato durante l’anno scolastico (fra quattro e otto settimane, ndr)». Come già per le Usd ‘canoniche’, il target è rivolto a bambini che hanno le risorse cognitive per affrontare le lezioni, ma che necessitano di più tempo per adattarsi al contesto scolastico. Time Out di fatto quindi è una Usd innovativa nell’impostazione, ma che condivide con le altre otto classi di questo genere create nell’ultimo decennio nel cantone un denominatore comune fondamentale: è l’ultimo strumento messo in campo dalla rete di supporto scolastico, dopo una serie di interventi prioritari precedenti che non hanno dato l’esito sperato.

Un aumento della complessità negli ultimi vent’anni

Nell’insieme dei casi che una volta venivano definiti ‘difficili’ rientrano tipologie di vario genere. Dal bambino aggressivo con compagni e/o docenti a quello che dimostra altre problematiche comportamentali che ne pregiudicano l’adattamento all’ambiente scolastico e alle sue esigenze. Spesso sono bambini con fragilità socioaffettive o emotive. «Si tratta di casi con i quali la scuola pubblica sempre più frequentemente deve confrontarsi – spiega Sisini –. Situazioni che in precedenza si verificavano perlopiù alle scuole medie, mentre oggi spesso capitano alle elementari se non già alla scuola dell’infanzia. Per questo, da circa vent’anni è iniziato il processo di formazione del sistema che ha portato alle Usd, sperimentate per la prima volta durante l’anno scolastico 2010-11». Un debutto coinciso con l’abrogazione delle vecchie scuole interne ai centri educativi minorili (Cem) Von Mentlen a Bellinzona e Vanoni a Lugano. «Nel 2015-16 la sede di Acquarossa è stata la prima scuola elementare del cantone che ha ospitato un’Usd, un’esperienza rivelatasi molto positiva e che ha portato dal 2017-18 alla cantonalizzazione del progetto con le prime quattro Usd fisse». Oggi sono otto, sparse fra le sedi di Bellinzona, Lugano, Muralto e Vacallo.

Coinvolto lo 0,25% degli allievi delle elementari

In totale, i bambini che frequentano le Usd in Ticino sono una quarantina. Ossia lo 0,25% circa dei 14’500 allievi delle scuole elementari. Una netta minoranza sul totale, ma anche in confronto ai bambini che manifestano qualche altro tipo di vulnerabilità e non riescono perciò ad aderire alle richieste del contesto scolastico. «È molto importante sottolineare che alle Usd si arriva soltanto se la situazione lo necessita, dopo che la rete ha ponderato la questione e soprattutto dopo che sono state messe in atto, senza benefici, altre strategie – evidenzia Bettello –. Gli interventi primari, che hanno un’elevata percentuale di successo, coinvolgono naturalmente i docenti titolari che mettono normalmente in atto la differenziazione didattica, il servizio di sostegno pedagogico (Ssp) ed eventualmente ulteriori figure scolastiche specifiche. Per un buon 80-90% dei casi complessi queste misure sono sufficienti per risolvere la problematica e permettere al bambino di proseguire serenamente il proprio percorso scolastico. In alcuni casi questo primo livello non è abbastanza perché per il docente titolare non è possibile far fronte da solo alla situazione. Allora si fa ricorso a un operatore specializzato. Le Usd sono pensate per quei casi per i quali nemmeno con questo secondo livello d’intervento si ottengono risultati apprezzabili».

Classi ristrette, lavoro individualizzato

E quindi che cosa si fa in un’Usd? «Viene proposto un percorso scolastico canonico, seguendo il calendario cantonale. Ma il numero di allievi che compongono la classe è molto ridotto rispetto alla norma (fra i 4 e i 7 bambini, ndr) e si cerca di rispondere a bisogni particolari – chiarisce Chiappelli –. Il lavoro è basato sullo sviluppo delle competenze trasversali, scolastiche e socioaffettive ed è basato su tre pilastri: accoglienza, benessere e responsabilizzazione. Si lavora su progetti individuali, che siano condivisi con le famiglie. Quest’ultimo aspetto è molto importante e da questo dipende anche la buona riuscita di un intervento. Abbiamo ad esempio avuto il caso di un bambino di prima elementare con forti problemi comportamentali e grazie all’impegno e al fatto che tutti hanno creduto nel progetto, è stato possibile inserirlo in una classe regolare nel giro di due anni». La decisione di reinserire i ragazzi nelle classi regolari viene valutata tramite una scala di rilevazione, «che indica la capacità del bambino di rientrare nel gruppo, generalmente facciamo dei reinserimenti graduali». In ogni caso, il progetto è pensato per essere attuato su un tempo determinato: «Di solito uno o due anni, in pochi casi di più».

Reinserimenti di successo

Il team di un’Usd è tipicamente composto da un docente titolare, da uno psicopedagogista che aiuta i bambini a trovare strategie per affrontare determinate emozioni e situazioni e da un coordinatore, che supervisiona e organizza il lavoro. Sono altrettanto previste attività specifiche con i centri psico-educativi: «Una parte terapeutica che non compete alla scuola», precisa Bettello. L’ispettrice sottolinea inoltre che gli interventi non riguardano solo il bambino, ma anche i docenti e in generale la classe di origine. «È molto importante il lavoro di preparazione con l’intero gruppo per garantire un’accoglienza positiva per tutti. Quando capitano queste situazioni, sono complesse da gestire per tutti e quindi vanno affrontate adeguatamente. Cito, per esempio, il caso di un allievo di quinta elementare che era uscito dalla propria classe per essere inserito in un’Usd, un processo dove c’è stata una sofferenza per tutti. Grazie al buon lavoro svolto, è stato reinserito gradualmente con successo alla fine dell’anno scolastico in previsione del passaggio alle scuole medie: i compagni lo hanno visto sotto un’altra luce».

Strumenti adeguati agli insegnanti

Ciò che conta, aggiunge l’ispettrice, è riuscire a sviluppare le competenze di ciascuno. «Negli ultimi decenni i cambiamenti sociali hanno portato a sviluppare la resilienza di tutti, bambini in primo luogo. Di motivi per essere speciali ce ne sono tanti, ci sono sempre più sfaccettature ed è sempre più importante ampliare la comprensione delle specificità degli allievi». Un compito affidato in prima istanza ai docenti titolari. Ma hanno gli strumenti per farlo? «Una delle nostre funzioni infatti è cercare di dare ai docenti gli strumenti per attuare una lettura sistemica delle situazioni e di ciò che i bambini manifestano. Si sta investendo molto per ampliare questa competenza nella rete scolastica. Il piano di studi del 2015 in questo ci aiuta, dando maggior flessibilità per poter sviluppare meglio le competenze. Sono sempre di più le evidenze scientifiche che dimostrano quanto importante sia il lavoro sulle competenze trasversali per lo sviluppo e la formazione dell’individuo».

‘Cambiata l’identità professionale del docente’

Una complessità che può intimorire le famiglie, ma anche i docenti. «In effetti – valuta l’ispettrice –, il lavoro del docente non può certamente più essere considerato individualista. Determinate decisioni vengono sempre più spesso prese come rete e ci rendiamo conto che il docente necessita di sostegno e strumenti puntuali. In occasione di formazioni, vengono ad esempio proposte delle simulazioni affinché l’insegnante possa confrontarsi con determinati disagi. È vero, l’identità professionale dei docenti è cambiata rispetto a una volta, ma trovo che si tratti di una sfida molto stimolante. Oltre a essere docenti di disciplina, accompagnano i bambini nella crescita attraverso l’apprendimento e l’impegno che mettono per farlo è tantissimo».

In cantiere un aggiornamento

Il lavoro fatto dal Decs, quindi, in collaborazione naturalmente con gli istituti scolastici comunali e i loro referenti istituzionali, è ampio e costantemente in evoluzione. «Negli anni c’è stato un aumento delle risorse messe in campo – conferma Sisini –. La Scuola deve essere pronta a reagire velocemente, di pari passo con la società. È importante essere propositivi per evitare il più possibile di ritrovarsi nella situazione di dover agire a posteriori rispetto alle situazioni che si presentano». A tal proposito, è stata avviata la riflessione attorno alle misure messe in campo per tutti gli allievi che hanno bisogni particolari, mantenendo le caratteristiche portanti della Scuola ticinese: l’equità e l’inclusività. Per questo è stato istituito un gruppo di lavoro che sta elaborando un primo rapporto – «atteso entro la fine dell’anno» –, una base dalla quale partire per aggiornare il progetto. Ma nel frattempo, come dimostra il caso di Time Out, l’attenzione verso gli allievi prosegue.

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