Mendrisiotto

Mattia Frigerio, un giovane con... fantasy

Ha 27 anni, è del Mendrisiotto e rifugge le reti sociali. Lui preferisce scrivere romanzi. Infatti, in tre anni ha pubblicato quattro libri

Mattia Frigerio (foto Ti-Press/F. Agosta)
27 aprile 2019
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Essere un cantastorie. Per Mattia Frigerio, 27 anni appena compiuti, momò di nascita, scrivere è quasi una necessità. È il bisogno di narrare di mondi e personaggi: come i trovatori provenzali, come i poeti di strada. Le sue ‘chansons de geste’ (‘canzoni di gesta’) non sono popolate, però, di Orlandi (più o meno furiosi) e di Angeliche, bensì di figure fantastiche e guerrieri eleganti. Sta di fatto che in pochi anni – dal 2016 ad oggi – ha già pubblicato quattro opere: l’ultima, ‘Il respiro della nebbia’, è ancora fresca di stampa. E il seguito dei ‘fan’ già non gli manca. Anzi, essere riconosciuto come scrittore non gli spiace affatto. D’altro canto, Mattia ama tenere un contatto diretto con i suoi lettori, come è accaduto, di recente, in un incontro organizzato a La Filanda di Mendrisio, dove si è presentato con una borsa colma dei suoi libri e la voglia di confrontarsi. Tutto, confessa, è nato grazie a miti come Perseo e Odisseo. Folgorato da ‘Il Signore degli Anelli’, sono stati poi gli studi universitari a Lugano e l’impronta lasciata dai suoi docenti a convincerlo che i reami fantasticati potevano diventare delle storie da condividere. Del resto, non chiedetegli di scegliere fra le reti sociali e un buon libro: non avrà esitazioni, scarterà le prime.

Una volta di più le letture a cui si è iniziati da piccoli lasciano il segno e una grande passione.

Sì, una passione per la letteratura, per i racconti, per le leggende e soprattutto per la mitologia. Quindi i racconti leggendari dell’antica Grecia, le figure dell’Olimpo, eroi e semidei: tutto è cominciato da lì. Da piccolo, in effetti, leggevo tanto e creavo poi le mie storie con i pupazzetti. Crescendo ho iniziato a scriverle.

Una narrazione fantasy: anche qui le letture hanno avuto un’influenza?

In realtà, leggevo un po’ di tutto. Sono stato fortunato: grazie ai miei genitori ho divorato dai romanzi storici ai gialli. È vero che in famiglia sono stato l’unico a prediligere i romanzi fantasy. Le mie figure di riferimento? Soprattutto John Ronald Reuel Tolkien – l’autore de ‘Il Signore degli Anelli’, ndr – e George Martin – che ha firmato ‘Il trono di spade’, ndr –, e prima di loro, come ho detto, la mitologia greca e durante gli studi letterari Dante. La ‘Divina commedia’ è un fantasy, per certi versi. Può sembrare blasfemo, ma è un poema cristiano fantastico: la discesa agli inferi, la risalita e l’ascesa finale al Paradiso.

Perché proprio questo genere?

Perché si può spaziare. Non si è limitati da determinati confini. In effetti, mi piace organizzare il mio cosmo, senza dover tenere conto di ciò che esiste già. Lo creo io. Creo le mie ‘leggi’, la base su cui costruire il racconto. Certo, devo essere coerente con quanto ho creato. Ma sono solo io a sbagliare. Lo preferisco di gran lunga.

È un fatto di libertà espressiva.

Infatti, totale libertà espressiva.

Esclude di dedicarsi, un giorno, ad altri generi?

Non ci sono ancora riuscito (ogni volta che mi cimento finisco col cadere nel fantastico), ma mi piacerebbe. Avendo poi studiato letteratura provenzale – la tesi l’ha dedicata a Dante e la letteratura provenzale, ndr – vorrei scrivere sulla crociata albigese, in particolare immaginare un racconto dal punto di vista di chi ne ha fatto la cronaca. Ma, certo, servono tempo e pazienza. Ken Follet ne è un esempio: pubblica un libro ogni dieci anni. E si vede, dalla mano, dallo studio che ci mette, da una precisione assoluta. Romanza affiancando elementi storici importanti, senza mai snaturarli.

A questo proposito, autori preferiti?

Follet è di sicuro uno di questi. Amo la trilogia legata alla cattedrale di Kingsbridge. Inevitabilmente gli autori fantasy (Tolkien e Martin) e i classici. Sono perdutamente innamorato di Dante, Ariosto e i poeti provenzali.

In una recensione di uno dei suoi romanzi è stato accostato a George Martin («Magari»). Che effetto le fa?

Mi sono ispirato molto a lui, soprattutto nel registro linguistico. Che mi piace per la teatralità dei dialoghi, la modernità e il ritmo. Caratteristiche che ho cercato di riproporre, lavorando sulla mia cifra stilistica.

Resiste una curiosità: tuffarsi nel fantasy è anche un po’ una fuga dalla realtà?

Può darsi. La realtà non è che mi piaccia molto: troppo moderna, troppo tecnologica. Non sono una persona legata ai social media come facebook o twitter.

Insomma, non ha un profilo social?

No. Il che non è il massimo per la promozione dei romanzi, ma non fa parte di me. Lo rifuggo. In questi quattro anni ha preferito presentare il mio lavoro direttamente al pubblico. Un passo alla volta.

Cosa ne pensano i suoi del fatto di avere uno scrittore in famiglia?

Devo dire che ne sono contenti e fieri. Sono i miei primi lettori, d’altra parte. Divorano i miei romanzi, anche se non è il genere che apprezzano di più i miei famigliari. Ma è il mio genere.

Poi quattro libri in tre anni, non è poco.

Sono stato fortunato perché ero all’università. Essere studente mi ha favorito: avevo del tempo a disposizione. Adesso che lavoro scrivo principalmente d’estate.

Fin da piccolo ha frequentato il tatami: c’è un’affinità fra l’essere judoka e il fantasy?

C’è un grande collegamento. I miei sono romanzi di viaggio, di avventura. Ma c’è molto la componente del duello, del combattimento e la tematica della guerra: ho in mente l’immaginario dell’Iliade e dell’Odissea. Quindi la marzialità, l’eleganza e l’abilità nel combattimento, il fatto di riuscire a cadere in piedi senza emettere un rumore sono presenti. Posso definire i miei personaggi preferiti marziali. D’altro canto, il judo è una danza.

Per finire, nelle presentazioni le viene chiesto spesso cosa ha provato nel pubblicare un libro.

Ho pensato: ce l’ho fatta. E ne sono stato orgoglioso. Lo ammetto: vedere il proprio romanzo nella vetrina di una libreria fa piacere.

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