Mendrisiotto

Abusi sulle figliastre: un 'complotto che non regge'

Davanti alla Corte d'Appello un 42enne egiziano difende la propria innocenza dopo la condanna del dicembre 2017.

Ti-Press
24 gennaio 2019
|

«Per dimostrare che non mento sono anche disposto a sottopormi alla macchina della verità». Ribadisce fermamente la propria innocenza il 42enne egiziano comparso ieri davanti alla Corte d’appello e di revisione penale di Locarno presieduta dalla giudice Giovanna RoggeroWill. Lui che, in prima istanza dalla Corte delle Assise correzionali di Mendrisio, era stato condannato nel dicembre del 2017 a quattro anni di detenzione (vedi ‘laRegione’ del 20 dicembre 2017). La sua colpa? Ripetuti atti sessuali con fanciulli, vittime le figlie di primo letto dell’allora moglie (dalla quale ha avuto altre due figlie). Episodi accaduti per lo più tra le mura domestiche, tra il 2002 e il 2012: dai massaggi ai toccamenti sino ad arrivare agli strusciamenti nelle parti intime e, in un caso, al sesso orale. Vittime allora giovanissime le quali, soltanto in un secondo momento, hanno trovato il coraggio di affrontare quanto era successo. Ne era seguita l’inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Moreno Capella, un’inchiesta «difficile» ha ricordato ancora ieri in aula, vuoi perché «i fatti sono datati», vuoi per «il contesto familiare» in cui ci si è trovati ad operare, per «la presenza di bambine ancora in tenerà età», per una «situazione complessa anche dal punto di vista finanziario».

Quanto commesso, giudicato nel corso di un «processo indiziario», è però valsa la condanna a 4 anni (il pp ne aveva chiesti in prima istanza 4 e quattro mesi). Ieri in Appello, durante la requisitoria, Capella ha «difeso» la sentenza della Corte, la quale aveva «fatto proprie le tesi presentate dall’accusa». Una sentenza che «appare convincente e lineare nelle sue considerazioni e motivazioni». Quanto sentenziato dal primo giudice, Mauro Ermani, per la pubblica accusa «tiene sufficientemente conto di una certa dose di perfidia e di slealtà dell’imputato», ha poi aggiunto il pp, il quale ha chiesto una nuova condanna a 3 anni e 8 mesi (vedi correlato). Sulla stessa linea l’avvocato Sebastiano Pellegrini, legale delle due vittime: «Da fragilizzata questa famiglia è stata addirittura devastata». Un uomo, l’imputato, che si è macchiato di una colpa «gravissima se vista dall’ottica delle vittime». Avvocato che, dunque, si è associato alla proposta di pena dell’accusa, chiedendo inoltre la conferma delle indennità per torto morale già riconosciute in prima istanza. Di opposto avviso, invece, la difesa, rappresentata dalla legale Sandra Xavier. Avvocato che, nell’arringa durata diverse ore, ha voluto puntualizzare, analizzare e contestare tutte le incongruenze emerse durante l’inchiesta e delle quali – a mente della difesa – la Corte delle Assise criminali non ha tenuto debitamente conto. Per il 42enne – e lo ha ribadito ancora ieri in aula – quello ordito nei suoi confronti è stato un «complotto». A riprova di ciò Xavier ha ripercorso una lunga serie di dichiarazioni delle vittime e della loro madre, dichiarazioni che «continuano a non apparire credibili». Anche i messaggi sms intercorsi, conversazioni che appaiono «tutt’altro che autentiche e spontanee». Per la difesa si è trattato, in casi puntuali, di «frasi che ap- paiono strumentali». Dichiarazioni che – ha poi rilanciato – «non solo si presentano imprecise, ma si palesano nel loro insieme contraddittorie, non costanti e lineari tra di loro». Incongruenze riconosciute anche dal procuratore pubblico il quale, replicando all’arringa, ha riconosciuto come siano «talmente tante» al punto da arrivare alla conclusione «che in verità un piano (il complotto invocato dall’imputato, ndr) non esisteva». Xavier si è battuta per il proscioglimento del proprio assistito da ogni reato e, in caso di condanna, in via subordinata a una pena contenuta in un massimo di 36 mesi parzialmente sospesa, ovvero che il periodo da espiare non sia superiore al carcere già sofferto (ovvero all’incirca un anno). La sentenza, sarà consegnata alle parti nelle prossime 2-3 settimane.

Prima la fuga, poi l'estradizione che 'vincola' la pena

All’epoca del primo processo, l’uomo aveva disertato l’aula (due volte), arrivando così a un giudizio in contumacia. Poco prima del dibattimento si era presentato dall’avvocato per poi darsi alla macchia. Dove? In Svezia, raggiungendo la nuova compagna di vita. A condanna sentenziata, però, ne era seguito un ordine di arresto che, nel giro di un mese, aveva portato al fermo dell’uomo nel Paese scandinavo e alla conseguente richiesta di estradizione. Domanda alla quale le autorità svedesi hanno risposto affermativamente, seppur con qualche limitazione: non tutti i reati imputatigli potranno essere dibattuti nel processo d’appello (come ad esempio i toccamenti e la trascuranza degli obblighi di mantenimento). E la Corte presieduta dalla giudice Giovanna Roggero-Will dovrà giocoforza tenerne conto nella nuova commisurazione della pena. È per questo che l’accusa, nella requisitoria, ha chiesto la conferma dell’atto d’accusa ma, allo stesso tempo, una pena a 3 anni e 8 mesi (due mesi in meno rispetto alla condanna in primo grado). Questo perché, ci ha spiegato a margine del processo il procuratore pubblico Moreno Capella, la Svezia non ha riconosciuto l’estradizione per i reati punibili con meno di un anno di detenzione. ‘Dura lex, sed lex’; anche se degli altri (la Svezia in questo caso) ‘la legge è dura, ma è legge’.

Resta connesso con la tua comunità leggendo laRegione: ora siamo anche su Whatsapp! Clicca qui e ricorda di attivare le notifiche 🔔
POTREBBE INTERESSARTI ANCHE