Mendrisiotto

Assoldato per una rapina a Ligornetto

La Corte delle Assise criminali ha condannato a 22 mesi (di cui 13 sospesi) il 31enne rumeno che il 9 maggio 2017 ha assaltato un distributore con una pistola

Era il 9 maggio 2017 (Ti-Press)
6 giugno 2018
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Pistola in pugno, è entrato nel distributore di via Cantinetta 16 a Ligornetto, e lo ha rapinato. L’autore, un 31enne rumeno, è comparso oggi davanti alla Corte delle Assise criminali di Mendrisio. Il giudice Amos Pagnamenta lo ha condannato a 22 mesi di detenzione, di cui 9 da espiare (gli altri 13 mesi sono sospesi per un periodo di prova di 2 anni) e lo ha espulso dalla Svizzera per 10 anni. L’uomo, che ha un padrino nel Canton Zurigo, ha espresso il desiderio di rimanere in Svizzera per riprendere in mano la sua vita «e pagare i danni che ho commesso». Il 31enne è il terzo uomo assodato dai presunti capobanda (padre e figlio) che hanno preso di mira il Mendrisiotto, e in particolare Ligornetto, dall’inizio dello scorso anno a finire davanti a una Corte. Nei confronti di padre e figlio, ha spiegato il Procuratore pubblico Nicola Respini, «dopo varie peripezie il Tribunale d’Appello di Milano ha concesso la loro estradizione alla Svizzera». Estradizione che, però, «non ha ancora potuto essere eseguita perché i due hanno pendenze in Italia. In un qualche momento arriveranno». La Corte ha respinto due aggravanti inserite nell’atto d’accusa. La prima è l’azione in banda, dato che il 31enne ha partecipato unicamente a un colpo (e mezzo, considerata anche la tentata rapina), un numero non sufficiente per dire che faceva parte della banda. La seconda è l’utilizzo di un’arma da fuoco o di un’altra arma pericolosa perché la pistola non è mai stata trovata e quindi non è stato possibile accertare se fosse vera – come l’ha descritta la commessa e come sostenuto dall’accusa visto che è stato fatto il movimento di carica – o di plastica. Il Pp Respini ha chiesto per l’imputato una condanna a 2 anni e 10 mesi da espiare e 10 anni di espulsione.

Un tentativo prima del ‘colpo’

I fatti risalgono all’8 e al 9 maggio dell’anno scorso. L’imputato ha conosciuto padre e figlio a inizio mese. «Dopo qualche giorno mi hanno proposto di commettere materialmente la rapina – ha raccontato l’imputato –. Mi hanno detto che la commessa del benzinaio era d’accordo e che un poliziotto della dogana li avrebbe avvertiti sulla presenza o meno dei controlli». Il bottino – «mi hanno detto che potevo trovare 50mila euro» – sarebbe poi stato diviso a metà. Nel pomeriggio dell’8 maggio l’imputato e il figlio del presunto capobanda hanno raggiunto Ligornetto. Il 31enne non è però entrato nella stazione di servizio. «Era finito l’effetto degli stupefacenti di cui avevo fatto uso – ha spiegato –. Ho avuto un attimo di lucidità: non sono una persona a cui piace fare del male o cose del genere». Il giudice Pagnamenta ha accolto l’attenuante della desistenza invocata dall’avvocato Benedetta Noli, che si è battuta per una massiccia riduzione della pena, possibilmente sospesa, proposta dall’accusa ritenendo il suo assistito «vittima di un piano subdolo di manipolazione». La scena si è ripetuta l’indomani mattina. «Ho fatto uso di cocaina a casa di padre e figlio e mi hanno riproposto di fare la rapina perché era tutto pronto». Raggiunta la stazione di servizio con il più giovane e presa l’arma che gli era stata fornita, il 31enne è entrato nel negozio. «Ho chiesto un pacchetto di sigarette. Quando la commessa si è girata ho estratto la pistola, ma non ricordo di avergliela puntata, e le ho detto di darmi i soldi che aveva in cassa». Racimolato il bottino – 1’956,70 franchi e 4’545 euro, non recuperati –, l’imputato ha raggiunto a piedi Clivio, dove lo aspettava il figlio.

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