Mendrisiotto

Edy Gaffuri, poliziotto per una vita

Il responsabile della Gendarmeria del Mendrisiotto si accinge ad appendere la divisa al chiodo dopo 42 anni di servizio. Ecco come è andata

Il capitano Edy Gaffuri (foto Ti-Press/L. Crivelli)
5 maggio 2018
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Più che di giorni è ormai questione di ore, e il capitano Edy Gaffuri appenderà definitivamente la divisa al chiodo. In Polizia cantonale ci ha passato 42 anni, insomma una vita. Prima gendarme, poi istruttore e ufficiale, quindi su su nella scala gerarchica: capoposto a Chiasso, poi i Reparti speciali, il Reparto mobile 1 e infine la testa della Gendarmeria Regione Mendrisiotto. Renato Pizolli, portavoce della Polizia cantonale, non esita a definire il suo ex capo degli inizi (a Chiasso) un esempio e un motivatore, anche in momenti di difficoltà e stanchezza.

Capitano Gaffuri, in questi anni è stato testimone di grandi cambiamenti. Che differenza c’è fra la Polizia di ieri e di oggi?

Il lavoro della Polizia è senz’altro cambiato. Innanzitutto, a fronte delle esigenze giuridiche che richiedono diversi documenti e atti a supporto delle inchieste. Penso solo alla stesura dei verbali: quando ho cominciato bastava un foglio con le dichiarazioni di imputati o prevenuti. Andava bene così. Adesso ci vogliono tre pagine solo per i preamboli giuridici. Affinché il verbale sia valido occorre seguire le indicazioni del Codice di procedura penale. Negli incarti ci finisce più carta rispetto a 20, 30 o 40 anni fa. Per arrivare a definire dei reati il lavoro è molto più prolisso e complesso: del resto, bisogna trovare le prove. Un lavoro necessario per risolvere i casi. E che è importante sia istruito dagli stessi agenti sul campo.

E la criminalità come è cambiata?

Per quanto concerne la criminalità violenta (l’uomo mascherato per intenderci), stavamo forse peggio 30 anni fa. Nella memoria del Mendrisiotto ci sono le rapine con sparatorie, che hanno lasciato a terra anche delle vittime – sulle labbra di Gaffuri affiorano i nomi, ndr –. Si può dire che c’erano eventi molto più cruenti rispetto a quelli che capitano oggi. Quelli che sono aumentati sono semmai i numeri: la popolazione è cresciuta; le persone si muovono di più e in quantità sempre maggiore; e soprattutto c’è la libera circolazione, che crea grossi problemi. Nella massa, infatti, si mischiano anche i malandrini, e noi come Polizia, pur facendo capo a banche dati coordinate a livello europeo e mondiale, abbiamo delle difficoltà nell’acquisizione di dati utili a identificare certe persone.

La frontiera resta permeabile alla criminalità.

Lo è da sempre. Di fatto, tutto è legato al movimento delle genti a cui si aggrega la criminalità. Che, a volte, ‘gira’ a una marcia più veloce della nostra. Possiamo solo anticiparla o prevenirla o rincorrerla con inchieste che sfociano poi in ordini d’arresto, permettendoci di riacciuffare chi, in un primo momento, ci aveva superato.

Oggi, però, la collaborazione con le forze dell’ordine italiane appare più stretta ed efficace. Lo dimostrano operazioni recenti: il furto sventato alla Loomis di Chiasso o i numerosi arresti effettuati negli ultimi anni a cavallo del confine al seguito delle rapine.

La collaborazione in sé c’è sempre stata. Ai tempi era soprattutto interpersonale. Oggi ci sono anche degli enti preposti a coordinare queste cooperazioni; e i benefici ci sono.

Come vede il futuro della lotta alla criminalità?

Come vedo il futuro? La Polizia è vigile e cercherà sempre di prevenire. Di essere aggiornata. Vedo, però, e qui parlo a titolo personale, a tinte chiaroscure (ma più scure che chiare), l’avvenire, a causa dei grossi movimenti di popolazioni. Sono flussi immensi che portano, sì, povera gente, brava gente, ma che nascondono anche persone che cercheranno solamente di trarre profitto dalla situazione. Che sia con la forza o con l’inganno, tenteranno di commettere dei crimini. Poi queste persone se ne andranno e le forze dell’ordine si troveranno in difficoltà. Questo, almeno, è il mio pensiero.

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