Luganese

L’addio al vescovo Ernesto Togni, ‘un vero cristiano’

Aveva 96 anni, lunedì le esequie in Cattedrale. Il ricordo del ‘suo’ direttore Silvano Toppi

(Ti-Press)
11 novembre 2022
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Un episcopato relativamente breve, sette anni, otto anni col periodo di reggenza, poi una lunga vita lontano dai riflettori, che è terminata venerdì mattina: quella del vescovo emerito Ernesto Togni, defunto all’età di 96 anni. Le esequie saranno officiate da monsignor Pier Giacomo Grampa lunedì mattina alle 10 nella Cattedrale di Lugano, dove la salma di Togni sarà visitabile da sabato alle 10 in una camera ardente; domenica alle 15 sempre in Cattedrale è prevista una veglia di preghiera. Monsignor Togni verrà poi sepolto nella cripta della chiesa del Sacro Cuore, dove già si trovano altri vescovi.

Nato il 6 ottobre del 1926 a Brione Verzasca, dopo gli studi al Seminario San Carlo di Lugano (di cui fu in seguito docente) e alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, Ernesto Togni ricevette l’ordinazione presbiterale il 7 maggio 1950 proprio a Brione. Nel 1957 assunse la direzione del Seminario minore di Breganzona. Un’esperienza di 12 anni, probabilmente tra le più felici, a contatto con i ragazzi e dove, riporta una nota della Curia, "esprimeva la serenità del padre capace di leggere nel cuore dei suoi figli, cogliendone problemi, entusiasmi, difficoltà e attese". Nel mese estivo a Prato Leventina rivelava le sue origini montanare conducendo gli allievi sulle vette circostanti. Seguirono nove anni di servizio alle comunità di Tenero e Contra. Il 17 settembre 1978 arrivò l’ordinazione a vescovo di Lugano, quale successore di mons. Giuseppe Martinoli, chiamato a questo compito dal papa Paolo VI. Il motto episcopale: "Al servizio della vostra gioia".

Un cammino, si è detto, di durata piuttosto breve, ma pure contrassegnato da un momento eccezionale, la visita a Lugano di Giovanni Paolo II, papa Wojtila, che il 12 giugno 1984 celebrò una messa nello stadio di Cornaredo. Ma un anno dopo, nel giugno del 1985 ecco le dimissioni, accettate dallo stesso Wojtila, e rese effettive un anno dopo con l’arrivo di Eugenio Corecco. Il giornalista ed economista Silvano Toppi accompagnò Ernesto Togni lungo un tratto del suo episcopato, un percorso piuttosto tormentato come ricorda oggi. «Era una persona di una grande umanità, biblicamente direi ‘l’uomo giusto’, il vero cristiano, questa è la prima cosa che mi viene in mente. Ci conoscemmo da giovani, perché anch’io avevo frequentato l’Università Gregoriana di Roma. C’era una sorta di intesa e di amicizia. Probabilmente la sua grande umiltà gli creava certe difficoltà nell’affrontare i problemi della Diocesi ticinese, che come si vede ancora adesso è sempre composta da un clero particolare un po’ litigioso al suo interno. È un ruolo che richiede molta forza d’animo, e ricordo i problemi incontrati ad esempio da monsignor Bacciarini e dal vescovo Lazzeri (che ha lasciato la carica lo scorso settembre dopo 9 anni, ndr). Per quanto mi riguarda, nominandomi, un laico, direttore del Giornale del popolo fece un grande atto di coraggio, rompendo con la tradizione precedente. Però questa nomina non piacque ad alcuni movimenti presenti all’interno della Chiesa, quindi dovette affrontare delle avversioni abbastanza forti, ci fu una vera battaglia nei suoi confronti. Non solo questo, ma anche altre faccende interne che non è caso di star qui a raccontare, si imbatterono in quella che era una certa fragilità, fisica e psicologica, paradossalmente dovuta proprio alla sua umanità, una difficoltà di resistenza conclusa con una sorta di crollo che lo portò a lasciare. Vedendo le recenti dimissioni di monsignor Lazzeri, mi vien da pensare che sia una specie di costante nella storia ecclesiastica ticinese: ai vescovi si domanda moltissimo e in maniera alle volte un po’ forte. Penso che molti possibili candidati, ad esempio a monsignor Azzolino Chiappini possano aver rinunciato per questo».

Una grande apertura sociale

«Aveva un’apertura sociale molto forte – continua Toppi –, tanto che pure io venni accusato di essere un adepto della Teologia della liberazione, ma è sempre così: quando assumi un certo atteggiamento di molta apertura, nell’ambito cattolico si viene accusati di essere di sinistra, lo si vede anche con il Papa attuale, che viene definito catto-marxista. Ma non ci si pone mai la domanda se uno sia semplicemente un cristiano; di queste cose parlavamo spesso. Poi, lui aveva accettato anche un distacco dal Ppd, che a dire il vero era iniziato già con monsignor Leber, e anche questo suscitò qualche reazione». L’amicizia e la frequentazione continuarono negli anni. «Devo dire che ha poi avuto un senso di colpa nei miei confronti, per avermi messo nei pasticci, visto come erano andate le cose... Per seguirlo avevo lasciato un posto ben remunerato di capo del Dipartimento dell’informazione in televisione. Ogni tanto veniva a trovarmi a casa, con altre persone come monsignor Chiappini o don Crivelli, e questo discorso tornava...».

Dopo l’episcopato partì come missionario per Barranquilla, in Colombia. «Credo che per lui fosse una sorta di ancoraggio a un certo modo di essere ancora presente, e valorizzato cristianamente». Tenendo comunque sempre un contatto con il mondo cattolico ticinese. «Era molto vicino a monsignor Chiappini, lo aveva anche nominato suo vicario generale, credo che lo conoscesse già da quando era piccolo. Tornato dalla Colombia, rimase in Ticino», tra la Val Verzasca nella grande casa di famiglia e altre residenze, per poi trascorrere gli ultimi anni nelle case anziani di San Filippo Neri di Sonvico e Casa Cinque Fonti di San Nazzaro, in Gambarogno».

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